martedì 5 maggio 2009

Vian: «Il Papa non va in Terra Santa a gettare ponti, ma ad aiutare la costruzione di ponti» (Bobbio)


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PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE IN TERRA SANTA: LO SPECIALE DI MISSIONLINE

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PELLEGRINAGGIO DEL SANTO PADRE IN TERRA SANTA (8-15 MAGGIO 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione del nostro grande Scenron leggiamo:

PAPA BENEDETTO XVI IN TERRA SANTA: PARLA GIAN MARIA VIAN

PELLEGRINO DI PACE

Per il direttore dell’Osservatore Romano, il capo della Chiesa cattolica «non va a gettare ponti, ma ad aiutare la costruzione di ponti». Tra cristiani, con ebrei e musulmani.

Alberto Bobbio

Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa mette in fila numerosi temi e verrà sicuramente giudicato su diversi piani: religioso, geopolitico, diplomatico. Il luogo è altamente evocativo. A Gerusalemme le tre grandi religioni monoteiste continuano, nonostante tutto, a convivere e a parlarsi.

C’è un ruolo specifico del Papa, capo di una di esse?

Il professor Gian Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano, che di mestiere fa lo storico, ragiona alla vigilia di un viaggio complesso: «Il Papa non va a gettare ponti, ma ad aiutare la costruzione di ponti. La Santa Sede conosce bene gli intrecci, sa che non è facile districare nodi di carattere culturale, ma anche politico e diplomatico. La sua posizione sul piano politico non è cambiata: la soluzione è due Stati, che abbiano lo stesso diritto alla sovranità e alla sicurezza. Insomma, pace nella giustizia per israeliani e per palestinesi. Tenendo distinta la questione dei luoghi santi per tre religioni, per la quale bisogna continuare a cercare qualche forma di garanzia internazionale. La Santa Sede continua a ritenere che la ricerca di soluzioni pacifiche e negoziali, attraverso la mediazione, sia l’unica linea possibile».

C’è il rischio che venga letto solo dal punto di vista diplomatico?

«La situazione politica in tutto il Medio Oriente è difficile. Ma il Papa non va lì a proporsi come mediatore. Intanto è un viaggio in Terra Santa, anzi un pellegrinaggio. Lo ha detto domenica scorsa in piazza San Pietro, un itinerario religioso. Comincia dal Monte Nebo, da dove Mosè osservò la Terra Promessa, e si concluderà al Santo Sepolcro, cioè le tappe della storia della salvezza. Un pellegrinaggio sui passi dell’amore di Dio, un pellegrinaggio di pace. Se gli uomini ascolteranno il messaggio del Papa, potranno applicarsi meglio a costruire i ponti di cui c’è bisogno in Terra Santa».

È il viaggio più importante del pontificato di Joseph Ratzinger?

«Fare classifiche è sempre difficile. Certo, non è abituale un viaggio di un Papa in Terra Santa. Vi sono stati solo due precedenti: Paolo VI nel 1964 e Giovanni Paolo II nel 2000. Le situazioni politiche e diplomatiche sono cambiate, ma ci sono due parole che li hanno sempre caratterizzati: dialogo e pace».

Oggi in più cosa c’è?

«Il rischio davvero elevato dell’estinzione delle comunità cristiane in Medio Oriente. Il Papa e tutta la Chiesa ne sono preoccupati, ma devono esserlo altrettanto ebrei e musulmani e l’intera comunità internazionale. Il dialogo, dunque, va rafforzato».

Il dialogo ha diversi piani: a cosa bisogna stare attenti in questi giorni?

«Intanto a quello tra i cristiani. Paolo VI incontrò il patriarca di Costantinopoli Atenagora proprio a Gerusalemme nel 1964 e fu un fatto storico, dopo oltre mille anni di incomprensioni e divisione. Da allora il dialogo con gli ortodossi ha fatto passi in avanti notevoli».

A Gerusalemme i cristiani litigano...

«Episodi che fanno rumore mediatico. In realtà il Santo Sepolcro, così minutamente articolato in zone liturgiche, a me non è mai sembrato un fatto traumatico. È quasi naturale che sia così: tutti accanto, gli uni e gli altri, Oriente e Occidente. È la dimostrazione della ricchezza della tradizione culturale della Chiesa. Lì si vede, meglio che da qualsiasi altra parte, che le strutture fondamentali della liturgia cristiana sono sostanzialmente uguali».

E Ratzinger ne terrà conto?

«Sta facendo di tutto per riavvicinare cattolici e ortodossi. Sa bene che le divisioni sono culturali più che dottrinali.
Nel Santo Sepolcro si è al cospetto di tutte le Chiese, unite dal luogo e dalla morte e risurrezione di Gesù, ma divise da interpretazioni culturali, visioni politiche, rivalità nazionali, pressioni ideologiche.
L’intellettuale Ratzinger ha sempre spiegato che per superare ogni divisione occorre tornare alle radici della fede comune, al Dio di Mosè, che si è incarnato in Gesù».

Perché il viaggio inizia in Giordania?

«Per le ragioni bibliche di cui ho detto, ma anche perché la Giordania è un buon esempio di convivenza tra cristiani e islamici, merito che va ascritto alla monarchia hashemita e a re Hussein. È un modello come lo è stato per molto tempo il Libano, purtroppo poi devastato da una guerra lunga e sanguinosa».

Ma il dialogo con l’islam tornerà anche a Gerusalemme...

«Significa che i rapporti sono buoni, che ci sono stati molti progressi nel dialogo, che non è vero, come qualcuno ha detto, che Benedetto XVI intende dare una stretta al dialogo tra le religioni. Non vuol dire che tutto sia a posto.
Restano, naturalmente, divisioni su questioni importanti: libertà religiosa, diritti umani, ruolo della donna. E il Papa non li nasconde. Ma il confronto va avanti, sul piano culturale».

Cioè l’islam ha capito meglio di altri Benedetto XVI?

«Io credo di sì. Altrimenti non lo avrebbero invitato nel terzo luogo santo per i musulmani».

Poi, il dialogo con Israele e gli ebrei...

«Aspetti diversi di un cammino irreversibile da quando Pio XI si scagliò contro Hitler, da quando Pio XII e la sua Chiesa salvarono moltissimi ebrei, da quando Giovanni XXIII si presentò agli ebrei come "Giuseppe vostro fratello", da quando Paolo VI approvò la Nostra aetate, che definì inaccettabile l’antisemitismo, da quando Giovanni Paolo II tornò in una sinagoga.
Nell’ebraismo affondano le radici della fede cattolica e non solo perché un Papa ha definito gli ebrei i "nostri fratelli maggiori". La preoccupazione di Benedetto XVI è che questo sia ben chiaro, anche dentro la Chiesa cattolica. Il pellegrinaggio servirà per mettere i passi accanto a queste radici, nella terra dove tutto è cominciato.
Bisognerà stare molto attenti nei prossimi giorni ai gesti e alle parole del Papa, ma soprattutto occorrerà leggerle con la mente libera, senza lasciarsi distrarre da inevitabili polemiche».

© Copyright Famiglia Cristiana n. 19 del 10 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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