martedì 1 dicembre 2009

La Svizzera, un esempio che ci fa paura. Il referendum sui minareti sta attirando la critica astiosa di tutte le beghine del «politicamente corretto»


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Referendum in Svizzera, Missili e campanili (Franco Cardini)

Referendum sui minareti: la delusione dei vescovi svizzeri e la soddisfazione dei lefebvriani (Asca)

Il no ai minareti in Svizzera: critiche dai vescovi e dall’Ue (Radio Vaticana)

I vescovi africani: la Chiesa non è seconda a nessuno nella lotta all'Aids (Radio Vaticana)

Sindone, Barbara Frale (Archivio Vaticano): una nuova prova dell’autenticità (Sussidiario)

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Il Papa a Bartolomeo I: "La Chiesa Cattolica comprende il ministero petrino come un dono del Signore alla sua Chiesa. Questo ministero non deve essere interpretato in una prospettiva di potere, bensì nell'ambito di una ecclesiologia di comunione, come servizio all'unità nella verità e nella carità" (Messaggio)

Quarantesimo anniversario dell’introduzione obbligatoria ed esclusiva del novus ordo: leggiamo e riflettiamo su due catechesi di Paolo VI

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No ai minareti, Mons. Vegliò: segnale negativo. L'ipocrisia ed il doppiopesismo dell'Europa che non si è scomodata per il Crocifisso

Divieto di costruzione di nuovi minareti in Svizzera: il commento di Vittorio Messori (Corriere)

Divieto di costruzione di nuovi minareti in Svizzera: il commento di Vian e di Ramadan (Corriere della sera)

Il Papa: Il crocifisso ha un «valore religioso, storico e culturale» (Tornielli)

La Svizzera decide per il no alla costruzione di nuovi minareti

Summorum Pontificum, Radio Maria prima emittente italiana a trasmettere la Messa secondo il rito tridentino (Izzo)

Incontro Papa-artisti: La vera bellezza non ha padroni (Pigi Colognesi)

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Modelli La Svizzera, un esempio che ci fa paura

di Gilberto Oneto

Il recente referendum svizzero sui minareti sta attirando la critica astiosa di tutte le beghine del «politicamente corretto».
Pur mascherato dietro dell'esito, appare però evidente che il fastidio sia generato dall'idea stessa di referendum, dall'avere cioè affidato alla libera volontà dei cittadini una decisione così importante che in Italia si ritiene prerogativa quasi sacra dell'autorità dello Stato. Così si è scatenata una nuova bordata di critiche alla Svizzera che si inserisce nello strascico dei recenti screzi economici e diplomatici legati al problema dei soldi depositati nelle banche della Confederazione.
In realtà entrambi i casi sono solo gli ultimi episodi di una «guerra» che dura da quando è nato lo Stato unitario italiano. L'atteggiamento è coerente con l'antico rancore che tutti gli Stati nazionali nutrono nei confronti della Svizzera, che considerano una fastidiosa anomalia, un cattivo esempio, non tanto in termini economici (in fondo è un microbo rispetto al resto del mondo) ma per quello che rappresenta per rispetto delle diversità, delle libertà individuali ed economiche, delle autonomie in un mondo che tende a essere tutto uguale, globalizzato e standardizzato.
Ma l'Italia ha molte più ragioni di altri per temere la Svizzera: essa è tutto quello che l'Italia non è, ma che tanti italiani vorrebbero che fosse. È un pericoloso esempio virtuoso. La Svizzera è il trionfo delle garanzie di libertà, del libero mercato, ma soprattutto della gelosa difesa di tutte le specificità, delle culture locali, del federalismo vero. È il posto dove i cittadini decidono a tutti i livelli come usare i propri soldi, come e se investirli. Qualche tempo fa gli abitanti di Losanna - per fare un esempio recente e conosciuto - hanno votato se dotarsi di una metropolitana e di quanto tassarsi per farla. L'hanno costruita, se la sono pagata e hanno controllato le spese. Una cosa del genere fa orrore allo Stato italiano che arraffa i soldi e ci fa quello che vuole e dove vuole senza renderne conto a quelli cui li ha estorti, che vive sulla maliziosa perequazione delle risorse e sul suo altrettanto malizioso «indotto». Oggi la democrazia diretta si è espressa su un tema che non riguarda tanto le tasche quanto la testa e il cuore delle comunità: una colpa ancora più grande agli occhi del centralismo giacobino, socialista e statolatrico.
La Svizzera è il contrario dell'Italia e questa - giustamente dal suo punto di vista - teme che quello che considera un focolaio di infezione possa diffondersi. Non è un caso che gran parte dei movimenti autonomisti e federalisti nascano e prosperino in aree vicine ai confini svizzeri.
La composizione stessa della Confederazione, fatta di quattro ceppi linguistici, di due religioni maggiori e di interessi variegati, è la negazione del principio dell'Italia «una di lingua, di sangue, di altare» e di tutto il resto delle menate patriottiche.
Per tutto il Risorgimento c'è chi ha pensato di «redimere» il Ticino. Nel 1898 si è inventata la storia delle «bande svizzere» in procinto di invadere la Lombardia: poche decine di emigrati che volevano dare man forte agli insorti milanesi e che sono stati fermati dalle autorità svizzere. Durante la Grande guerra si sono erette fortificazioni per difendersi da presunti attacchi svizzeri, in realtà prima per aiutare i tedeschi sul Reno e poi (dopo il solito cambio di fronte) per aggredirli alle spalle. Il fascismo si è inventato un ridicolo movimento irredentista, l'Adula. La Svizzera è sempre stata insultata dai nazionalisti (il «foruncolo» di Mussolini) e dileggiata come il paese del cioccolato e degli orologi a cucù. Salvo poi presentarsi a piagnucolare alla frontiera a chiedere asilo, sempre pazientemente concesso. Adesso li si accusa di ogni nequizia finanziaria e, ovviamente, di xenofobia. Se c'è un problema di espatrio di capitali non è colpa degli svizzeri ma dello Stato italiano, della sua oppressione fiscale e della sua incapacità a controllare le attività illecite. Se l'Italia non riesce a fronteggiare la prepotenza islamica non può prendersela con chi invece ci prova a farlo.
Lo Stato italiano odia la Svizzera perché è l'esempio di come dovrebbe essere uno Stato serio. La odia perché è la cattiva coscienza dell'Italia.

© Copyright Il Giornale, 1° dicembre 2009 consultabile online anche qui.

Mah...non condivido la seconda parte dell'articolo, mentre sposo in pieno la denuncia dell'ipocrisia politicamente corretta.
R.

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