martedì 1 dicembre 2009

Minareti, Il no svizzero, un conflitto europeo (Nicola Mirenzi)


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Il no svizzero, un conflitto europeo

Due studiosi di rapporti con l’islam, Stefano Allievi e Renzo Guolo, commentano l’esito del referendum sui minareti

Nicola Mirenzi

Segno dei tempi, presagio di più accesi conflitti, oppure semplice dabbenaggine del sentire populistico. Il no alla costruzione di nuovi minareti in Svizzera, sancito dal voto referendario di domenica nella Confederazione elvetica, interroga l’Europa intera sullo stato delle relazioni tra l’islam e il mondo occidentale. Lo dimostrano le numerose reazioni politiche, religiose e intellettuali suscitate dal voto, ognuna con la sua puntualizzazione, ma nel complesso oscillanti tra il sentimento di stupore e l’individuazione di un esempio da seguire. Ne parliamo con due esperti della materia, Stefano Allievi e Renzo Guolo, entrambi relatori oggi e domani del convegno “Musulmani 2G. Diritti e doveri di cittadinanza dei giovani musulmani di seconda generazione”.
Raggiungiamo Allievi, dell’università di Padova, a Bruxelles, dove si trova per presentare i risultati di una sua puntuale ricerca sui conflitti intorno alle moschee, condotta in undici paesi dell’Unione. «È un problema che non si può più sottovalutare», esordisce.
«L’esito negativo del referendum svizzero è una questione che riguarda tutta l’Europa».
Mentre la presenza musulmana cresce, nuovi conflitti esplodono e sono in corso trasformazioni profonde, è evidente «la mancanza di un’elaborazione e di una spiegazione precisa del fenomeno». Del resto, la sottovalutazione di ciò che sta avvenendo è abbastanza chiara «se si considera che la maggioranza dei politici e degli amministratori era convinta che l’esito del referendum sarebbe stato esattamente l’opposto». Tuttavia, Allievi considera sbagliato porre il problema nei termini di una banale diatriba architettonica. «Il punto non sono i minareti in sé», spiega, «in gioco c’è l’islam come religione».
Passati gli anni dello scontro di civiltà, sia nella versione pensosa del fortunato libro di Samuel Huntington sia in quelli più sbrigativi dei suoi interpreti, si pone il problema di come affrontare il conflitto tra il nostro mondo e la religione musulmana. «Bisogna affrontare il tema negli stessi termini con i quali è vissuto dalle persone stesse. Nessun conflitto è irrisolvibile di per sé. Però è innegabile che il riferimento allo scontro è usato da alcuni col fine di trovare delle soluzioni.
Mentre altri, quelli che chiamo gli imprenditori politici dell’islamofobia (tra cui si può annoverare la nostra Lega Nord), ne parlano solo per trarne un risultato politico».
Le responsabilità però non sono solo dei gruppi politici conservatori. È anche molta parte del discorso culturale e giornalistico che alimenta un piano di interpretazione inaccettabile. «Se nei discorsi pubblici intorno all’islam sostituiamo alla parola musulmano quella di ebreo, avremo la cifra esatta di quanto impronunciabili siano questi ragionamenti».
Anche per Renzo Guolo, sociologo dell’università di Torino, il voto svizzero mostra un rifiuto di accettare la religione islamica come «componente della cultura europea». È come se con questo pronunciamento popolare, venisse negata alla religione musulmana una «visibilizzazione nella sfera pubblica». Una presenza che invece è dal punto di vista demografico molto massiccia (i musulmani presenti in Europa, secondo le stime ufficiali, sono diciotto milioni). Ma a differenza di Allievi, Guolo è convinto che l’esito referendario ha due chiavi di lettura.
Da una parte, «c’è una specificità svizzera», visto che solo la democrazia diretta elvetica consente un quesito di questo genere. Però esiste la possibilità che il risultato sia elevato al rango di «modello da seguire dai gruppi conservatori continentali».
Per disinnescare gli effetti negativi del risultato, bisogna quindi evitare di condurre la discussione al muro contro muro. «È sbagliato contrapporre la posizione xenofoba a quella della chiusura identitaria islamica », spiega Guolo. «Ciò provocherebbe solamente un’ulteriore marginalizzazione dei musulmani, aumentando il loro senso di estraneità».
Ed è proprio su questo terreno che deve misurarsi il pensiero dell’inclusione, finora dimostratosi non all’altezza della situazione.
Perché mentre l’elaborazione conservatrice è riuscita, sia nella sua versione giornalistica (Oriana Fallaci), sia in quella politica (una parte del neo conservatorismo), a dare una legittimazione alla paura dell’islam, dall’altra parte c’è stata una risposta basata su un generico «universalismo» incapace di fornire risposte adeguate.

© Copyright Europa, 1° dicembre 2009 consultabile online anche qui.

...e soprattutto manca la parola tabu' che ancora nessuno, almeno fra i politicamente corretti, ha il coraggio di pronunciare: reciprocita'!
R.

1 commento:

euge ha detto...

Già Raffaella concordo. pare che la parola reciprocità sia pronunciata soltanto se intesa a binario unico.......! Non viene certo pronunciata con il senso che intende il Santo Padre.