lunedì 5 gennaio 2009

Se il Pontefice parla alle coscienze (Brunelli)


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Se il Pontefice parla alle coscienze

Lucio Brunelli

Era stato facile profeta, papa Benedetto, il giorno di Natale. Ancora non era scattata l'operazione militare israeliana «Piombo fuso» e i giornali non si occupavano della situazione insostenibile nella Striscia di Gaza. Ma tutto lasciava presagire la nuova carneficina.
Il Papa, nel tradizionale messaggio natalizio, avvisò il mondo che l'orizzonte in Terrasanta sembrava «tornare a farsi cupo, per israeliani e palestinesi».
Due giorni dopo, iniziavano i bombardamenti aerei israeliani, in risposta al lancio dei razzi di Hamas sul territorio di Israele. La macchina della diplomazia internazionale si è messa in moto stancamente, più per salvare la faccia che nella convinzione di poter incidere veramente.
Niente mina di più la fiducia che il ripetersi, sempre uguale e senza segni di speranza, di una situazione negativa già vissuta. Purtroppo il passare del tempo non è neutrale. Ogni volta si perde un'ulteriore quota di fiducia, si diventa più indifferenti o cinici. Vale, in piccolo, nella nostra vita personale. Accade in misura macroscopica di fronte a un conflitto lontano, che da troppo tempo marcisce e si incancrenisce, per la palese assenza di un soggetto internazionale forte, in grado di imporre la via del negoziato.
Non a caso nel suo primo intervento pubblico sulla guerra di Gaza, il 28 dicembre, Benedetto XVI ha invocato, prima di ogni altra considerazione politica, un «sussulto di umanità e di saggezza in tutti quelli che hanno responsabilità nella situazione».
In appena una settimana la voce del Papa si è levata ben tre volte. Il primo gennaio nella basilica vaticana, ha menzionato la «piccola ma fervente parrocchia cattolica di Gaza», il cui sacerdote era stato aspramente criticato per avere definito «criminale» l'effetto dei raid aerei su una popolazione civile già stremata dal blocco dei Territori, dalla carenza di acqua, elettricità, cibo e medicine. Infine ieri, all'Angelus, il Papa è tornato a ricordare con forza che «la guerra e l'odio non risolvono mai i problemi. La storia recente lo insegna…».
È una voce inerme, quella della Chiesa. C'è chi esprime nostalgia per gli accenti più forti e vibranti con cui papa Wojtyla condannò questa e altre guerre nel suo lungo pontificato. Ma solo in minima parte i toni misurati di papa Ratzinger si spiegano con la sua personalità meno esuberante. È il contesto politico e umano del conflitto, in realtà, ad essersi complicato negli ultimi anni. L'interlocutore palestinese di Giovanni Paolo II era Yasser Arafat. Il vecchio leader palestinese era di casa in Vaticano e ogni volta non si congedava dal Papa se questi non gli concedeva una personalissima benedizione. Oggi il mondo palestinese è diviso. A comandare nella striscia di Gaza sono i fondamentalisti filo iraniani di Hamas. Purtroppo alla loro iniziale ascesa contribuì anche una politica miope, che mirava a indebolire Arafat, creando zizzania in campo palestinese. La mancanza di risultati tangibili ascrivibili ai fautori della linea negoziale ha creato le condizioni per il crescente favore popolare per i duri di Hamas. L'influenza di Teheran nei territori palestinesi infine ha avuto come contraccolpo anche un maggior disimpegno da parte dei governi arabi dell'area sunnita mediorientale.
Così anche la Santa Sede, storicamente vicina al dramma delle popolazioni palestinesi senza patria, ha perso sponde e interlocutori importanti nella sua battaglia per una soluzione giusta e realista del conflitto. La voce del Papa è pura testimonianza, può parlare solo alle coscienze. Sul piano politico l'attesa è per l'uomo nuovo della Casa Bianca, Barack Obama. Gli Stati Uniti, alleati fedele di Israele, possono giocare e da sempre giocano un ruolo chiave nelle scelte dello stato ebraico. Ingenuo sarebbe aspettarsi chissà quale svolta, con la crisi economica destinata a catturare sempre più l'attenzione del nuovo presidente. Ma la speranza, si sa, è l'ultima a morire.

© Copyright Eco di Bergamo, 5 gennaio 2009

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma che palle!
Scusate l'espressione ma ci vuole in questo momento così delicato.
Qualcuno spieghi ai vaticanisti che i toni vibranti del papa magno e la sua gestualità tanto invocata dalla stampa non hanno impedito le due guerre in Iraq,il crollo delle torri gemelle,i genocidi in Ruanda,le guerre nei Balcani e nessuno dei conflitti per cui la levato il suo tono vibrante.
Dopo la storia dell'accento tedesco ci mancava anche il tono meno vibrante.
Ma che palle!
Saluti
Chiara

Anonimo ha detto...

Inoltre, l'ambito in cui si trova ad muoversi Papa Benedetto è assai più difficile di quello in cui si trovò a vibrare la voce del papa magno. Intendendo non solo gli eternamente irrisolti problemi internazionali, ma per una mutata, in peggio, situazione interna. Insomma, è in atto il tentativo di delegittimare la Chiesa nella persona del suo massimo rappresentante in terra. E alcuni, in Vaticano, non è estranei a tutto ciò. Taluni vaticanisti altro non sono che comode sponde.
Alessia

Anonimo ha detto...

Beh cara Chiara se vogliamo dirla tutta, dei gesti e degli appelli vibranti di cui questi signori si sentono " orfani", i signori della guerra, all'epoca e dopo, se ne sono altamente infischiati! Adesso veramente basta! lo volete capire oppure no che non attacca? lo volete capire oppure no che non tutti i lettori hanno l'anello al naso? Come ve lo dobbiamo spigare?

Raffaella ha detto...

Sono sicura che Brunelli non volesse fare un confronto fra i due Papi, ma fra le diverse situazioni geo-politiche.
Il temperamento di Benedetto XVI e' diverso, ma non meno vibranti e calorosi sono i suoi appelli, ben tre in pochi giorni.
R.

Anonimo ha detto...

Dici, Raffa? Mi auguro tu abbia ragione. Per quel che mi riguarda ricordo ancoa un certo articolo di Brunelli su Limes. Una assai fantasiosa ricostruzione dell'ultimo conclave ...
Alessia