domenica 4 gennaio 2009

Card. Bagnasco: Italia, tira fuori la tua forza (Giansoldati)


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Alle 12.21 di domenica 20 gennaio 2008 la Gendarmeria vaticana affermava: sono 200.000 i presenti all'Angelus. Urge correzione dei dati statistici

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Bagnasco: Italia, tira fuori la tua forza

ci sono le energie per uscire dalla crisi
«La politica sia responsabile e smetta di fare muro contro muro»


DI FRANCA GIANSOLDATI

CITTA’ DEL VATICANO – Quella forza tutta italica che «in genere emerge nei momenti più critici» farà «sicuramente» uscire il nostro Paese dalle secche. Il cardinal Bagnasco guarda avanti e invita gli italiani a non deprimersi. Lui che da anni denuncia il ritorno dei pacchi viveri, che aveva dato voce alla disperazione di tanti disoccupati, che aveva messo in guardia dai rischi di uno sfilacciamento del tessuto sociale, si appella a politici e imprenditori. Un appello bipartisan. «In momenti del genere, o se ne esce insieme, o non se ne esce proprio. Uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica». In buona sostanza chi ha la possibilità di dare di più, ha l’obbligo morale di dare di più.

Benedetto XVI il giorno di Capodanno ha detto che la crisi economica dovrebbe servire per una riflessione comune...

«Ci troviamo obiettivamente dentro una situazione critica che pesa maggiormente sulle fasce più deboli socialmente. E il rischio è che il tessuto umano possa ulteriormente sfilacciarsi, inseguendo ciascuno il proprio interesse».

Dunque?

«In momenti simili o se ne esce insieme o non se ne esce proprio. Uscirne da soli è l’avarizia, uscirne insieme è la politica».

Tra il Papa e il Capo dello Stato c’è convergenza, entrambi affermano che non bastano i rattoppi, che occorre mettere la povertà al primo posto..

«La povertà è una situazione che sul lungo periodo mette in forse la libertà politica e la coesione sociale. E’ fin troppo evidente che non si può tollerare che si allarghi la forbice tra chi ha e chi non riesce ad arrivare a fine mese. Per questo è necessario – come suggerito dal Papa – rivedere il nostro modello di sviluppo che è un insieme di fattori non legato solo al PIL, ma alle effettive opportunità di vita per ciascun cittadino. Questo richiede di affrontare con determinazione ed uniti la crisi, trasformandola - come auspicato dal Presidente della Repubblica nel Messaggio di fine anno - in un’occasione di crescita. Naturalmente si richiedono sacrifici, a cominciare da quelli che hanno di più».

Ci parla un po’ dei rapporti delle Caritas diocesane che le arrivano sul tavolo? E’ così tragica la situazione per tante famiglie?

«Facendo le visite pastorali mi accorgo che anche in una Regione del Nord più avanzato, come la Liguria, esistono diffuse sacche di povertà, spesso dignitosamente camuffate sotto uno stile di vita dimesso e senza pretese, a cui fortunatamente arrivano le parrocchie, la Caritas e le realtà di volontariato con beni di prima necessità. Tuttavia i pacchi-viveri così come il venire incontro alle utenze e agli affitti rappresentano ancora l’emergenza, da cui si deve uscire in direzione di una stato di vita più rispettoso delle elementari esigenze quotidiane».

La Chiesa insiste nell’inserire tra le povertà anche quella spirituale..

«Come ci ha ricordato Benedetto XVI in occasione della recente Giornata Mondiale della Pace, c’è un rapporto stretto tra la povertà spirituale e quella materiale. Quando si smarrisce la percezione di un destino comune e ci si concepisce come delle persone l’una slegata dall’altra, significa che si è perso già l’orizzonte entro cui stiamo. Più lo sguardo si accorcia e si fissa solo sul temporale, più si fatica a trovare delle soluzioni a problemi che non dipendono da ferree leggi economiche, ma sempre da libere scelte umane. I valori morali o hanno un fondamento trascendente che è Dio o diventano fragili e consegnate solamente a delle procedure umane».

A proposito: di questi tempi sembra essere esplosa la questione morale…

«L’ammonimento biblico suggerisce che “chi crede di stare in piedi guardi di non cadere”. In altre parole la tentazione di scegliere la via più breve e meno impegnativa è sempre in agguato. Un problema culturale, ma ancor più spirituale. L’uomo sa nel fondo cosa è bene e cosa è male, ma poi si lascia spesso sopraffare dal male perché più comodo e - all’apparenza - più a portata di mano. E’ un invito rivolto a tutti a stare vigilanti e a non scambiare mai il vero per il verosimile».

E in tutto questo il mondo politico litiga, litiga, litiga…

«Credo che una ragione sia legata alla necessità di avere una certa visibilità e dunque di rimarcare sempre e comunque la differenza. Un’altra ragione, invece, credo sia legata al momento di crisi che, attenuando il senso di sicurezza, fa tutti armati, l’un contro l’altro. Alla lunga chiunque capisce che il muro contro muro è inconcludente e dannoso».

Le è mai passato per la testa di regalare ad ogni parlamentare un Vangelo?

«Più che regalare materialmente un Vangelo, vorrei che comprendessero ciò che la Chiesa continua ad annunciare e cioè la bellezza e la speranza di Gesù Cristo, che è e resta la Buona Notizia per tutti gli uomini».

Perché ha deciso di riunire prossimamente la conferenza episcopale a Napoli?

«Perché si vuole aggiornare l’attenzione della Chiesa italiana verso una parte del nostro Paese, il Sud, che ha una fisionomia inconfondibile, fatta non solo di problemi, ma anche di possibilità. Napoli da questo punto di vista con la sua bellezza e la sua drammaticità è certamente un luogo che può fare scuola perché - come ha scritto il cardinale Sepe - “nessuno uccida la speranza”».

Perché i vescovi continuano a denunciare l’indebolimento della famiglia?

«Non è la Chiesa, ma l’Istat a dirci che più del 15 per cento delle famiglie attraversano una difficile congiuntura economica, il che indebolisce ulteriormente il nucleo fondamentale ed ineguagliabile della società. Essa è il grembo naturale della vita ed è la prima ed insostituibile scuola di umanità e di solidale convivenza tra le generazioni».

Cosa augura il presidente dei vescovi agli italiani per questo 2009?

«Di riscoprire la bellezza che tutti gli stranieri riconoscono al nostro Paese. Non è solo una bellezza paesaggistica ed artistica, è anche legata ad una particolare concezione della vita che ci fa essere intraprendenti senza diventare avventurieri, ci fa stare dentro la modernità, ma con un forte senso della storia e dunque con una buona dose di buon senso e di buona volontà, che in genere emerge soprattutto nei momenti più critici».

Per l’Epifania c’è la tradizione di regalare ai bambini una calza piena di dolciumi e carbone. Lei il carbone a chi lo manda? Ai politici? Agli imprenditori? Agli intellettuali?

«Comincerei a non distribuire carbone al prossimo, per non allargare le fila di quello sport che non ci fa onore e che consiste nell’attribuire sempre agli altri le responsabilità della crisi. Col sottinteso che a fare cambiamenti debbano essere sempre quelli della porta accanto. I dolci invece - se ne avessi abbastanza - vorrei regalarli a quanti – e sono la gran parte del nostro Paese – tirano avanti la carretta con dignità e responsabilità. Peccato che non sempre tutta questa bontà trapeli dalla comunicazione diffusa».

© Copyright Il Messaggero, 4 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

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