lunedì 5 gennaio 2009

Il Natale nella Roma di Gregorio Magno (Osservatore Romano)


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Il Natale nella Roma di Gregorio Magno

Una luce splendente ai tempi oscuri dei Longobardi e della peste

di Marilena Amerise

La prima menzione documentata della festa di Natale si trova a Roma.
Nel lussuoso codex noto come Cronografo filocaliano, redatto nel 354 da Furio Dioniso Filocalo, elegante calligrafo di Papa Damaso. Qui si indica per la prima volta come festa di Natale il 25 dicembre, giorno nel quale si apriva il calendario liturgico. La data risale a una tradizione cara ai Padri della Chiesa.
Anzitutto Tertulliano nell'Adversus Iudaeos (28), quindi Agostino vescovo di Ippona, nel De Trinitate (IV, 5, 9), ricordano come fosse ormai tradizione ricordare il 25 dicembre il natale del Signore; sebbene questo giorno oportet non in sacramento celebrari, sed tantum in memoriam revocari (Epistola, 55, 1).
Sisto III (432-440) decise di costruire nella chiesa di Liberio all'Esquilino - poi chiamata Santa Maria Maggiore - una cappella che ricordasse la grotta della Natività. Nel vi secolo era ormai nell'uso liturgico che il Papa officiasse tre messe in occasione del giorno di Natale, come attesta il Sacramentarium Gelasianum (II).
Il Pontefice che più di altri diede un rilievo fondamentale alla commemorazione del Natale fu però Gregorio Magno e in un momento storico particolarmente difficile: quando Roma era tormentata dai Longobardi e su di essa imperversava una terribile pestilenza.
È questo l'affascinante tema del volume di Massimiliano Ghilardi e Gianluca Pilara, Il tempo di Natale nella Roma di Gregorio Magno, pubblicato per i tipi della Società dell'Acqua Pia Antica Marcia (Roma, 2008). Uno studio nel quale gli studiosi illustrano dapprima rispettivamente la situazione della città e quindi raccontano lo svolgimento della solennità ai tempi di Gregorio. Il volume è arricchito da diversi testi e dalle orazioni del Sacramentarium gregorianum, nell'originale latino con traduzione italiana a fronte, volti a mostrare l'impegno letterario del vescovo di Roma sul Natale: testi per lo più pronunciati da Gregorio in diversi luoghi della città e incentrati su passi scritturistici dedicati alla venuta di Cristo. La traduzione di questi passi permette di entrare nel cuore del magistero di Gregorio Magno e di gustare la preziosità del suo linguaggio, ricco di metafore ma anche di toni drammatici e di potenza espressiva.
Da questo testo apprendiamo che fu Gregorio a stabilire in quattro settimane il tempo di Avvento in modo da racchiuderlo nel mese di dicembre. Le letture evangeliche stabilite per le domeniche di Avvento erano Matteo, 21, 1-9; Luca, 21, 25-33; Matteo, 11, 2-10; Giovanni, 1, 19-28. Viene ripreso inoltre l'uso della trina celebratio per il giorno di Natale.
La celebrazione cominciava nella notte della vigilia, il vescovo di Roma presiedeva a San Pietro per tutto il popolo l'ufficio vigiliare. Quindi, dopo la mezzanotte, ci si spostava a Santa Maria Maggiore per la celebrazione della prima messa ad praesepe. Prima dell'alba, una seconda messa veniva celebrata ad sanctam Anastasiam, per rispetto nei confronti dell'autorità bizantina che aveva sede sul Palatino. Da qui il vescovo di Roma con i fedeli tornava a San Pietro per l'ultima messa.
Le omelie sul Natale pronunciate da Gregorio Magno non solo rivelano i principi della sua esegesi ma mostrano la sua attività pastorale caratterizzata da un continuo e ricercato contatto con il popolo dei fedeli. Dai testi traspare la realtà storica e politica che la Chiesa di Roma viveva in quel periodo turbolento. Nella sesta omelia del quarantesimo capitolo di Ezechiele, ad esempio, Gregorio Magno presenta uno dei più toccanti e apocalittici ritratti di Roma dal quale risalta la commossa partecipazione alle calamitates ac tribulationes che agitavano la città e i suoi abitanti in quegli anni. La prima parte del volume narra quindi gli sforzi compiuti da Gregorio per la difesa della città e per il rifornimento di cibo.
Dalle pagine di Ghilardi emerge in maniera storicamente documentata la figura di un Pastore che alla cura animarum affiancava interventi e richieste per poter assicurare al popolo mezzi di sostentamento. Nel capitolo dedicato alla lingua e all'esegesi, Pilara ricorda lo spirito dolce ma pieno di determinazione di Gregorio: sensibile nei confronti del dolore e delle sofferenze ma intransigente verso il peccato "ad un popolo colpito da una crudelissima pestilenza, abbattutasi sulla città di Roma negli anni 589-590 con un gran numero di vittime, e ormai sconvolto dalle continue guerre, che dall'età ostrogota fino all'arrivo dei Longobardi funestavano l'Urbe, lasciando i suoi cittadini vittime della miseria e dello sconforto".
Le omelie per l'Avvento e per il Natale partono dalla tragica temperie per attingere luce e forza dal messaggio evangelico. La festa del Natale che Gregorio Magno organizza e struttura nella sua forma liturgica, diventa occasione per richiamare il cristiano alla necessità di ricercare se stesso per tramite della Parola. Le immagini sono fortemente evocative e bene hanno fatto gli autori a presentarne al lettore diversi passaggi sia come preziosa fonte storica di riferimento e sia come spunto di meditazione: "Il Creatore dell'universo, assumendo la carne della nostra sostanza, volle diventare fieno, affinché la nostra carne non rimanesse fieno in eterno. L'onagro trovò l'erba nel momento in cui il popolo pagano ricevette la grazia della divina incarnazione. Il bue non rimase con una mangiatoia vuota, nel momento in cui la Legge offrì al popolo giudaico la carne di Colui che, a lungo atteso, esso aveva profetato. Per questo il Signore, appena nato, viene posto in una mangiatoia, per significare appunto che i sacri animali, che presso la Legge rimasero a lungo digiuni, vengono saziati con il fieno della Sua incarnazione" (Moralia in Iob, VII, VII, 7).

(©L'Osservatore Romano - 4 gennaio 2009)

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