domenica 4 gennaio 2009
Zamagni: «Niente rattoppi, il Papa ci indica l'uscita dalla crisi. Benedetto vede più in là di certi economisti» (Anfossi)
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«Niente rattoppi Il Papa ci indica l'uscita dalla crisi»
Zamagni: «Lui vede più in là di certi economisti La sobrietà? È consumare meglio non di più»
Francesco Anfossi
Non servono «rattoppi nuovi su un vestito vecchio» per combattere la povertà, ha detto Benedetto XVI, parlando in occasione della Giornata mondiale della Pace.
E ha proposto un diverso modello di sviluppo economico, indicando nella sobrietà e nella solidarietà i nuovi valori guida per uscire dalla crisi. L'economia, la finanza (quella buona) come ponte tra vecchio e nuovo anno, tra passato e futuro al centro del messaggio cristiano.
Il Papa ha affrontato i nodi della crisi economica con un'analisi potente, sorprendente e profonda. Che però non stupisce l'economista Stefano Zamagni, ordinario di economia politica all'Università di Bologna, grande esperto di responsabilità sociale di impresa e consultore del Pontificio consiglio giustizia e pace.
«Il Papa si occupa di questi temi da tempo, soprattutto nelle udienze del mercoledì, dimostrando di saperne di economia più di molti economisti di fama mondiale».
Ma a cosa allude il Papa quando parla di «rattoppi» in economia?
«Allude alle misure cosiddette congiunturali. Benedetto XVI si riferisce a quelle misure di sostegno che non farebbero altro che produrre effetti neo-consumisti».
Dunque i vari pacchetti a sostegno dell'industria dell'auto, della finanza, delle banche, e via dicendo, adottati da molti governi dell'Occidente e anche del Terzo Mondo e dalla Cina.
«Se prendiamo provvedimenti a sostegno dei vari prodotti usciremo dalla crisi, ma peggiorando il modello di mercato che ha portato a questa crisi. Ecco cosa vuol dire attenzione ai rattoppi. Quando si supera la crisi ci si ritrova con gli stessi problemi strutturali. Invece la crisi deve essere occasione di ripensamento del modello di sviluppo mondiale».
Il Papa pensa a certe ricette basate sulla «decrescita», come quella della scuola francese di Latouche, che propone una sorte di rallentamento generalizzato per guarire?
«No, il Papa propone di continuare a crescere, ma con modalità diverse».
Con la redistribuzione della ricchezza e dei redditi, come dice Obama?
«La redistribuzione va bene, ma attenzione, non può essere confusa con interventi in chiave filantropica e assistenzialistica. Significa permettere agli esclusi di partecipare ai processi economici e ai mercati. È un'istanza economica, non solo etica. Non è pietismo. L'economia di mercato, per funzionare, ha bisogno di tutti. Se noi creiamo meccanismi di esclusione, affidando la macchina economica solo ai più bravi, ai più efficienti e ai più potenti, i meccanismi di inceppano».
Come è possibile conciliare sobrietà e sviluppo economico? Se si consuma di meno la produzione cala e si creano disoccupazione e povertà.
«Sobrietà non vuol dire consumare meno, ma consumare diversamente. Meno beni materiali e più beni immateriali, per esempio: i beni relazionali, culturali, di gratuità come i servizi alla persona fino a arrivare ai forum di discussione su Internet, che poi diventano un modo per produrre reddito. Coloro che hanno aperto un blog o un sito lo hanno fatto per relazionarsi con altri, ma in molti casi, in un secondo tempo è diventata un occasione per produrre reddito».
La scuola neoconservatrice sostiene: prima creiamo reddito, poi redistribuiamo.
«È una concezione pietistica. Il cosiddetto conservatorismo compassionevole. Il Papa sostiene esattamente il contrario: la redistribuzione è la causa dello sviluppo e non viceversa. L'economia di mercato è nata con la divisione del lavoro. Tutti devono essere interessati al gioco, al processo produttivo. Altrimenti il gioco salta. La divisione del lavoro è stata creata per consentire a tutti, ma proprio a tutti, di lavorare, compresi i meno fortunati di noi. In America Latina la ricchezza è concentrata, sostanzialmente bloccata, perché non tutti partecipano al gioco. L'equità è un fondamento economico. Per questo il Papa dimostra di saperne di economia più di tanti economisti».
Quali sono le scuole di pensiero economico a cui si ispira?
«Che l'equità è fondamentale in economia Keynes lo diceva in tutte le salse, anche se il contesto storico su cui fondava le sue analisi era diverso. Oggi il caposcuola è Amartya Sen. Ma soprattutto direi che l'equità economica è un'acquisizione della scuola francescana, cui va ascritta la prima elaborazione economica: Fra Bernardino da Siena, Fra Bernardino da Feltre, Guglielmo di Occam, Bonaventura da Bagnoregio. Furono loro i primi a dire che l'elemosima aiuta a sopravvivere, ma non a vivere, perché vivere è produrre e l'elemosina non è certo produrre».
© Copyright Eco di Bergamo, 3 gennaio 2009
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