venerdì 14 novembre 2008
Il giurista Iadecola: "Sbagliata la sentenza dell’ottobre 2007. Incerti stato della donna e ricostruzione della volontà" (Negrotti)
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ETICA E GIUSTIZIA
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Il giurista Iadecola: sbagliata la sentenza dell’ottobre 2007 Incerti stato della donna e ricostruzione della volontà
«Tutti i disegni di legge sul testamento biologico chiedono regole più stringenti e lasciano il medico libero di dissentire»
DA MILANO ENRICO NEGROTTI
«Una interpretazione che non convince perché è pericolosa: è in gioco il bene vita».
Gianfranco Iadecola, avvocato e già magistrato presso la Procura generale delle Corte di Cassazione, non si riferisce alla decisione – resa nota ieri – di respingere il ricorso della Procura generale di Milano, ma alla sentenza dell’ottobre 2007 della Suprema Corte che indicò alla Corte di Appello di Milano la strada per ammettere l’interruzione del sostegno vitale a Eluana Englaro.
«E il decreto ricostruì la volontà passata della donna in modo debole. Si tratta di una supplenza giudiziaria a una carenza legislativa: basta pensare che tutti i disegni di legge sul testamento biologico in discussione al Parlamento richiedono un atto scritto e aggiornato».
La Cassazione ha respinto l’ultimo ricorso. Ora il decreto della Corte d’Appello non ha più ostacoli: era un esito inevitabile?
È stata accolta la tesi del procuratore generale che ha ritenuto che il ricorso fosse inammissibile perché non rappresentava un interesse di tipo generale. Ma la questione più importante non riguarda gli aspetti procedurali di quest’ultimo atto, quanto la sentenza della Cassazione dell’ottobre 2007, che introduce un testamento biologico senza che vi siano le norme. Infatti se anche la Cassazione avesse accolto il ricorso, la questione sarebbe tornata in Corte d’Appello di Milano per accertare l’irreversibilità dello stato vegetativo di Eluana.
Era uno dei due criteri stabiliti dalla Cassazione. Perché non può bastare?
Quando il diritto entra in terreni che esulano dalle sue competenze, per esempio con valutazioni di ordine scientifico, deve essere assolutamente certo che le posizioni assunte siano ampiamente se non unanimemente condivise. Nel caso dell’irreversibilità dello stato vegetativo mi pare che la scienza non abbia dato ancora un parere definitivo. Così come non è unanime la qualificazione di atto medico all’alimentazione artificiale. Ma il procedimento riguarda un atto definitivo, che presupporrebbe una certezza assoluta. In questo modo invece si pongono le regole sulla sabbia.
E la ricostruzione della volontà della donna è stata adeguata?
Questo è un altro dei punti deboli. Innanzitutto il fatto che la Cassazione (nell’ottobre 2007) abbia stabilito un’uguaglianza tra la volontà passata e quella presente. Servirebbe invece una garanzia della persistenza di questa volontà: io non posso sapere che cosa Eluana direbbe oggi.
Non si può affidare al giudice una decisione che riguarda la morte di una persona sulla base di testimonianze che possono essere fallaci. Ricordo che tutti i disegni di legge sul testamento biologico in discussione non si affidano a una ricostruzione di volontà tramite testimonianze, ma ad atti precisi del paziente e con termini di durata di queste dichiarazioni.
Invece si è fatto puntato su una sorta di mancato consenso informato a un trattamento. Il medico non deve rispettarlo?
Anche su questo c’è da discutere. Si stabilisce burocraticamente che il medico debba considerare vincolante una volontà «espressa» in passato. Ma un punto importante nel dibattito in Parlamento sulle volontà anticipate è che il medico non può essere automaticamente obbligato a esaudirle: deve avere la possibilità di vagliare i trattamenti in scienza e coscienza.
Lei fa riferimento ai disegni di legge sul testamento biologico, che però non sono ancora approvati. Si può dire che la Cassazione ha fatto la legge?
In senso stretto no. Ha applicato norme costituzionali e convenzioni internazionali a questo caso, con soluzioni che si possono censurare ma che rappresentano un fenomeno di supplenza giudiziaria che si verifica quando ci sono vuoti della politica. La questione di fondo è che nel raffronto tra diritto costituzionale alla libertà e all’autodeterminazione, fino al rifiuto delle cure, e il principio dell’indisponibilità della vita, anch’esso presente in Costituzione, la Cassazione ha visto prevalere il primo. In accordo a una tendenza all’individualismo e al soddisfacimento della volontà personale che è presente nella nostra società.
© Copyright Avvenire, 14 novembre 2008
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