mercoledì 8 aprile 2009

«La nostra Settimana Santa nelle tendopoli» (Guerrieri)


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L'IMPEGNO DELLA CHIESA

«La nostra Settimana Santa nelle tendopoli»

Alessia Guerrieri

Una delle tendopoli allestite ieri alla periferia dell’Aquila. A sinistra l’arcivescovo Molinari (AP Photo/Alessandra Tarantino)

DA L’ AQUILA

Si avvicina a stringere le mani in segno di conforto, il volto di monsignor Giusep­pe Molinari è stanco per la notte passa­ta in tenda, ma lui è in mezzo a loro a porta­re preghiere e speranza. Il campo di Piazza D’Armi, quello di Acquasanta, poi Bazzano, Paganica, Onna; li visita uno ad uno l’arcive­scovo dell’Aquila. Vuole essere lì perché «è importante continuare a credere e sperare in­sieme, soprattutto in questo momento, quan­do la fede è più difficile».
I momenti di pre­ghiera nascono spontanei tra le tende, anche perché di chiese a L’Aquila ne sono rimaste ben poche in piedi, e poi gli sfollati hanno bi­sogno di sperare: «Per il Venerdì Santo – pro­segue Molinari – intendiamo celebrare il fu­nerale collettivo delle nostre vittime.
Atten­diamo in queste ore la conferma di Bertola­so ». L’arcivescovo e i sacerdoti distribuiscono parole e gesti di solidarietà perché agli sfolla­ti non resta che aver fede. Sfollati, in fondo, sono pure l’arcivescovo e i sacerdoti della Cu­ria: anche per loro la tenda è diventata una ca­sa. È un dolore composto quello che si per­cepisce nei campi. «Ho visto una dignità gran­dissima in questa tragedia», continua Moli­nari, forse perché non ci sono più lacrime da versare. Non serve ora dare colpe, insiste il presule, serve «salvare più persone possibili dalle macerie e aiutare i superstiti, visto che a loro manca tutto».
L’unica soluzione per u­scirne è la solidarietà. «Stiamo ricevendo so­stegno e aiuti dai vescovi e dalla parrocchie di tutta Italia e sono sicuro che questa cate­na di amore cristiano continuerà in futuro. Adesso stiamo portando la croce – conclude – ma come nel Vangelo di Giovanni ci augu­riamo di passare presto dalla morte alla vita». Uno sfollato tra gli sfollati. Tre tendoni sul­l’erba, sdraio come letti e piegate ordinata­mente ai piedi le coperte. Il giardino di Ga­briella, la sorella dell’arcivescovo dell’Aquila è diventato la dimora dei sacerdoti e dello stes­so presule. Un campo improvvisato in giardi­no, cinque preti in una tenda, tre suore e una laica nell’altra. La prima notte dopo il sisma è passata così, sotto la pioggia battente e con u­na temperatura di quattro gradi. «Ho dormi­to poco o niente come tutti - ha raccontato don Lucio Antonucci - sono ancora con il pi­giama e il cappotto come sono scappato dal­l’episcopio l’altra notte. Il freddo è stato pa­recchio, anche se avevamo molte coperte».
Don Vittorio Narducci non se la sente di par­lare; ha il volto ferito dai calcinacci e un visto­so cerotto sulla fronte. È ancora molto scossa anche suor Teresa, una delle suore dell’epi­scopato. «La mia più grande preoccupazione è stata quando ho visto l’alloggio dell’arcive- scovo distrutto; per fortuna lui non era nelle sue stanze, qualche minuto prima del terre­moto era sceso al piano di sotto perché non si sentiva bene». Vivo per miracolo sostiene suor Teresa. A confermarlo anche i primi sopral­luoghi nella Curia e lo stesso monsignor Mo-­linari: la campana del Duomo è caduta pro­prio sull’appartamento dell’arcivescovo. Ma lui non vuole parlarne. Preferisce continuare la sua Via crucis nei luoghi della disperazione. Due volte in un giorno nella Scuola della Fi­nanza di Coppito dove allineate ci sono le ol­tre duecento salme.
Un silenzio quasi surrea­le, interrotto di tanto in tanto dai singhiozzi di genitori e figli che piangono i propri cari. «Ho benedetto le salme e incontrato i parenti del­le vittime - racconta l’arcivescovo - , li conosco quasi tutti, è uno strazio enorme. Io promet­to tante preghiere e cerco di offrire tutta la so­lidarietà possibile perché anch’io in questo momento mi sento limitato e povero come gli altri». Tra loro anche suor Anna della casa fa­miglia Immacolata Concezione. Ma i sacerdoti ora che la terra continua in­cessantemente a tremare non elargiscono solo parole di amore. È rimasto senza casa e chiesa, ma non ha perso la voglia di stare ac­canto ai suoi fedeli e a chi soffre don Massi­miliano De Simone: cappellano del carcere dell’Aquila e parroco di Civitatomassa, a die­ci chilometri dal capoluogo, è anche volon­tario della Croce Verde e nel primo giorno dopo il sisma si è messo a disposizione. «Ho guidato l’ambulanza del 118 fino a tarda se­ra - racconta - . Abbiamo recuperato feriti e vittime nella casa dello studente e parteci­pato all’evacuazione dell’Ospedale».
Come lui Don Ramon Mangili, della parrocchia di Pile, è costantemente al telefono per far ar­rivare ai suoi trecento parrocchiani acqua, cibo e bagni chimici. «Ci sono bambini e an­ziani che hanno bisogno di viveri e medici­ne - spiega - e molti di loro sono ancora in pi­giama da due notti fa». Sarà una Pasqua senza chiese a L’Aquila, ma non senza preghiera. Per ora la Curia ha so­speso tutte le celebrazioni per la settimana Santa, tranne quella della Domenica di Pa­squa che verrà celebrata tra gli sfollati, forse nel campo di Piazza D’Armi «sempre che la Protezione Civile dia il suo permesso» preci­sato Don Daniele Epicoco. Nell’immenso o­bitorio en plein air della Scuola della Finanza si dovrebbero celebrerare venerdì i funerali dei duecento morti. Ai sacerdoti dell’Aquila infine verranno donati gli oli crismali che il Papa benedirà domani, durante la celebra­zione mattutina del Giovedì Santo.

© Copyright Avvenire, 8 aprile 2009 consultabile online anche qui.

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