lunedì 11 maggio 2009

Il Papa e l'Islam, la forza di una scelta: un dialogo senza ambiguità (monumentale editoriale di Panebianco)


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IL PAPA E L’ISLAM, LA FORZA DI UNA SCELTA

Un dialogo senza ambiguità

Angelo Panebianco

Benedetto XVI è giunto oggi a Tel Aviv dopo la sua prima tappa in Giordania.
Questo lungo viaggio in Terra santa del Papa avrà certamente an­cora molti momenti sa­lienti ma un primo bilan­cio è reso possibile dal­l’accoglienza che gli è sta­ta fin qui riservata e dalle parole, forti e inequivoca­bili, che egli ha già pro­nunciato sui rapporti fra il cristianesimo, l'ebrai­smo e l'islam.
Il viaggio del Papa è di estrema delicatezza. Non solo perché si svolge nei luoghi che sono, oggi co­me mille anni fa, il terre­no di incontro/scontro fra le tre religioni mono­teiste.
E non solo perché è proprio lì, in Medio Oriente, che si addensa­no, si sovrappongono e si intrecciano i più gravi ele­menti di conflitto che mi­naccino oggi la stabilità mondiale. E' di estrema delicatezza anche perché il Papa vi è giunto prece­duto da una lunga scia di polemiche e incompren­sioni che hanno fin qui se­gnato i suoi rapporti sia con l'ebraismo che con l'islam.
Sul Monte Nebo, in Giordania, Benedetto XVI ha colto l'occasione per ri­badire con solennità quanto ha peraltro già detto e scritto in molte oc­casioni.
Ha affermato con enfasi quanto speciale sia il rapporto fra cristianesi­mo e ebraismo, quanto «inseparabile» sia il vin­colo che li unisce. Forse non tutte le incompren­sioni spariranno di colpo ma sono state poste le ba­si per un loro superamen­to. Benedetto XVI ha par­lato così agli ebrei ma an­che, contestualmente, ai cristiani. Ha voluto dire agli uni e agli altri che an­che gli ultimi detriti so­pravvissuti dell'antico an­tigiudaismo cristiano de­vono essere spazzati via senza indugio dalle co­scienze. Inoltre, la sua presenza in Israele oggi, nella condizione presen­te, vale più di mille rico­noscimenti diplomatici. E' un'implicita affermazio­ne del diritto all'esistenza dello Stato di Israele con­tro coloro che vorrebbero cancellarlo.
Altrettanto delicato, e forse anche più delicato, è il rapporto con l'islam. E non solo a causa degli eventi che seguirono il di­scorso di Ratisbona. E' più delicato anche per­ché il Papa è impegnato in una assai difficile e complessa operazione che investe, al tempo stes­so, la sfera religiosa e quella mondana. Una ope­razione complessa che na­sce dal riconoscimento, più volte ribadito da Bene­detto XVI, che il rapporto fra il cristianesimo e l'islam è di natura diversa da quello che lega il cri­stianesimo e l'ebraismo. Quella relazione speciale che c'è, e va riconosciuta, fra cristianesimo ed ebrai­smo, non c'è, non ci può essere, fra cristianesimo e islam.
Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, al­l’epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e an­che in occasione del viag­gio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulma­no, in modo da renderlo davvero proficuo sgom­brando il campo dai ma­lintesi.
Ciò che il Papa vuol fare è di chiarire che fra cristianesimo e islam non ci può essere dialogo religioso (le due fedi sono, su questo terreno, inconciliabili) ma ci deve essere invece, fra cristiani e musulmani, un incontro inter-culturale e civile (un dialogo che potremmo anche definire laico).
Anche per ribadire questo il Pontefice è rimasto in meditazione ma non ha pregato durante la sua visita alla moschea Hussein.
E' un mo­do, l'unico modo, per spazzare via equivoci e ipocrisie rendendo possibile il rispetto reciproco e un dialogo forse foriero di buone conseguenze per le persone, cristiani e musulmani, coinvolte.
In Giordania, per lo meno, il senso della presenza del Papa sembra essere stato compre­so dagli islamici che lo hanno accolto. Così come sono state comprese le parole che il Papa ha dedicato alla condanna della violenza ammantata di motivi religiosi. Benedet­to XVI, naturalmente, è stato attento a non mettere a carico del solo mondo islamico (oltre a tutto, ciò non sarebbe stato nemmeno veritiero) la tentazione e la pratica della violenza. Ma è certo che le sue parole sulla violenza (così come quelle rivolte ai cristia­ni del Medio Oriente sul ruolo delle donne) rappresentano una sponda che il capo della cristianità ha offerto a quella parte del mondo islamico che patisce la violenza dei fondamentalisti ancor più di quanto la patiscano gli occidentali.
La presenza del Papa, e i suoi atti e le sue parole, sono assai dispiaciute ai fondamentalisti, nonché a quei personaggi ambigui, di confine (il più celebre dei quali è Tariq Ramadan), che circola­no e predicano in Occidente. Ed è un bene che sia così. Il viaggio del Papa può aiutare l'azione degli uomini, musulmani, ebrei o cristiani, alla ricerca di una pacifica convi­venza proprio perché ricorda a tutti quanta mistificazione ci sia nell'uso a scopi politici della religione e nella violenza che quell'uso porta sempre con sé.

© Copyright Corriere della sera, 11 maggio 2009 consultabile online anche qui.

Ohooooooooooooooooooooo!!! Finalmente un editoriale con i fiocchi e controfiocchi!
Stupendo questo passaggio che e' la chiave di volta del Pontificato di Benedetto XVI, cioe' l'assoluta mancanza di ambiguita':

Ciò che il Papa sta cercando di fare (un aspetto che era rimasto non chiarito, irrisolto, al­l’epoca del pontificato di Giovanni Paolo II, e an­che in occasione del viag­gio che quel Papa fece in Terra santa) è di togliere ogni ambiguità al dialogo con il mondo musulma­no, in modo da renderlo davvero proficuo sgom­brando il campo dai ma­lintesi.

2 commenti:

Carla ha detto...

scusate, non ho sottoscritto il post precedente

Anonimo ha detto...

Sì, Raffaella, sono d'accordo, questo articolo spiega con straordinaria chiarezza il senso del viaggio di Papa Benedetto. E noi, in un aprospettiva cristiana, non possiamo non pensare che la sua missione è applicazione concreta delle parole di Gesù, "amatevi gli uni gli altri.."