lunedì 14 settembre 2009
Il Papa sui vescovi: troppi lavorano per sé. Il monito: «Non cerchiamo potere e prestigio» (Vecchi)
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Il Papa a Malta nell'aprile 2010 nel 1950.mo anniversario del naufragio di San Paolo (Radio Vaticana)
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Il Papa: «Fedeli alla Chiesa, non cerchiamo potere e prestigio per noi stessi» (Bobbio)
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Il richiamo del Papa ai vescovi: quell'invito a cambiare rotta che parte da lontano. La straordinaria analisi di Tornielli
Il richiamo del Papa ai vescovi: «Molti lavorano per se stessi» (Tornielli)
Il Papa: "La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente. Esse sono il bene più prezioso che ci è stato affidato. Una tale fedeltà non ha niente di sterile e di statico; è creativa...Fedeltà non è paura, ma è ispirata dall’amore e dal suo dinamismo" (Omelia Ordinazioni Episcopali)
Vaticano. I nodi
Il Papa sui vescovi: troppi lavorano per sé
Il monito: «Non cerchiamo potere e prestigio»
Gian Guido Vecchi
CITTÀ DEL VATICANO
«San Paolo ha formulato l' essenza del ministero apostolico e sacerdotale in maniera molto chiara. Di fronte ai litigi, che c' erano nella Chiesa di Corinto tra correnti diverse che si riferivano ad apostoli diversi, egli domanda: Ma cosa è mai un apostolo? Cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Sono servitori; ciascuno come il Signore gli ha concesso».
Benedetto XVI parla in San Pietro, davanti sé cinque sacerdoti di Curia che sta per consacrare vescovi, quindi successori degli apostoli.
E le sue parole, il riferimento a «litigi» e «correnti», suonano come un richiamo severo alla Chiesa che, da ultimo sul caso Boffo, ha manifestato tensioni e divisioni al suo interno.
È stato Gesù, scandisce il Papa, a spiegare il senso del proprio sacerdozio e dell' esser servi, «il Figlio dell' uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Lui ha mostrato le «tre caratteristiche» che un sacerdote o vescovo deve avere per servire nel modo giusto: «fedeltà», «prudenza» e «bontà». Fedeltà, anzitutto, ed è qui che il monito del Papa ai vescovi si fa più esplicito: «Sappiamo come le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità».
Il servo fedele, invece, sa che «gli è stato affidato un grande bene, che non gli appartiene». Perché «la Chiesa non è la Chiesa nostra, ma la sua Chiesa, la Chiesa di Dio. Il servo deve rendere conto di come ha gestito il bene che gli è stato affidato». Ricorre qui uno degli accenti fondamentali del pontificato di Benedetto XVI: «Non leghiamo gli uomini a noi; non cerchiamo potere, prestigio, stima per noi stessi. Conduciamo gli uomini verso Gesù Cristo e così verso il Dio vivente».
A questo devono pensare i vescovi, «la fedeltà è altruismo», sillaba il Papa. «Il Signore traccia con poche linee un' immagine del servo malvagio, il quale si mette a gozzovigliare e a percuotere i dipendenti, tradendo così l' essenza del suo incarico».
Certo, si tratta di una «fedeltà dinamica», aggiunge il pontefice, non bisogna restare inerti: «Il padrone rimprovera il servo, che aveva nascosto sottoterra il bene consegnatogli per evitare ogni rischio». Ma bisogna anche evitare compromissioni mondane: «In greco, la parola che indica "fedeltà" coincide con quella che indica "fede". La fedeltà del servo di Gesù Cristo consiste proprio anche nel fatto che egli non cerca di adeguare la fede alle mode del tempo. Solo Cristo ha parole di vita eterna, e queste parole dobbiamo portare alla gente». Servi fedeli, quindi, ma anche prudenti e buoni.
E «qui bisogna subito eliminare un malinteso», chiarisce Benedetto XVI: «La prudenza è una cosa diversa dall' astuzia», rappresenta «la prima delle virtù cardinali», indica «il primato della verità» e ricerca «anche la verità scomoda». Altruismo e coraggio della verità, insomma: «Non ci lasciamo guidare dalla piccola finestra della nostra personale astuzia, ma dalla grande finestra, che Cristo ci ha aperto sull' intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita». Per questo è decisiva anche la bontà: «La bontà presuppone soprattutto una viva comunione con Dio, una crescente unione interiore con Lui. E di fatto: da chi altri si potrebbe imparare la vera bontà se non da Colui, che ci ha amato sino alla fine, sino all' estremo?». Più che a litigi e correnti, un vescovo deve badare a ben altre ferite: «Come i 72 discepoli mandati dal Signore, egli deve essere uno che porta guarigione, che aiuta a risanare la ferita interiore dell' uomo, la sua lontananza da Dio».
© Copyright Corriere della sera, 13 settembre 2009 consultabile online anche qui.
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