giovedì 20 agosto 2009

Uwe Michael Lang risponde a Rinaldo Falsini


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Il Papa: "Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima...Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta "conquistata" dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari" (Catechesi)

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Il sito dell'Isola di San Francesco del deserto

Grazie all'aiuto di Guglielmo e su segnalazione di Luigi leggiamo:

DIBATTITO SU UN INTERVENTO DI PADRE FALSINI

L’altare verso il popolo

di UWE MICHAEL LANG

In seguito alla pubblicazione su Vita Pastorale dell’articolo di Rinaldo Falsini "L’altare verso il popolo è scelta conciliare", abbiamo ricevuto una lettera di U. M. Lang, autore del volume Rivolti al Signore (Cantagalli 2006), il quale dichiara che non è d’accordo con quanto scritto.
L’argomento, pur non essendo così fondamentale, è oggi dibattuto. Proponiamo perciò ai lettori l’intervento di padre Lang e la risposta di padre Falsini e offriamo, in aggiunta, un articolo sull’orientamento nelle Chiese orientali dello specialista Stefano Parenti, più alcune brevi note sul libro Rivolti al Signore.

LA DISCUSSIONE

Una scelta imprudente?

Accolgo con piacere l’invito di Rinaldo Falsini a riaprire un dibattito sulla posizione dell’altare e l’orientamento nella preghiera liturgica (Vita Pastorale 10/2006, pp. 54-55). Questo è un dibattito che, nonostante le apparenze contrarie, non si è mai spento. Già negli anni ’60 teologi di fama internazionale criticarono l’accoglienza rapida della celebrazione "verso il popolo": tra di essi Josef Andreas Jungmann, uno degli artefici della costituzione del concilio Vaticano II sulla sacra liturgia, l’oratoriano Louis Bouyer, uno dei grandi teologi del Concilio, e Joseph Ratzinger, allora professore di teologia a Tübingen e peritus del Concilio. Le osservazioni del giovane Ratzinger non hanno perso nulla della loro rilevanza: «Non possiamo negare più a lungo che, a poco a poco, si sono fatte strada esagerazioni e aberrazioni che sono fastidiose e disdicevoli. Ad esempio tutte le messe vanno celebrate di fronte al popolo? È di assoluta importanza poter guardare il sacerdote in viso, o non potrebbe spesso essere benefico riflettere che anche lui è un cristiano e che ha ogni ragione per volgersi verso Dio con tutti gli altri confratelli cristiani della congregazione e recitare con loro il Padre Nostro?» (traduzione da J. Ratzinger, "Der Katholizismus nach dem Konzil" in Auf dein Wort hin. 81. Deutscher Katholikentag vom 13. Juli bis 17. Juli 1966 in Bamberg, Paderborn 1966, p. 253).

Interpretazione forzata

«Malgrado la loro grande reputazione», questi teologi «in principio non riuscirono a far sentire la loro voce: era troppo forte la tendenza a sottolineare il fattore comunitario della celebrazione liturgica, quindi a considerare assolutamente necessario il fatto che sacerdote e fedeli fossero rivolti l’uno verso gli altri»: sono le parole del cardinale Ratzinger, ora papa Benedetto XVI, nella sua prefazione al mio libro Rivolti al Signore. L’orientamento nella preghiera liturgica (ed. Cantagalli 2006, Siena, p. 9). Oggi, il clima intellettuale e spirituale è meno polarizzato ed è stato possibile riprendere la discussione sulla posizione dell’altare e l’orientamento della preghiera; lo dimostrano le recenti opere al riguardo che sono state accolte con notevole attenzione fra gli studiosi di liturgia.
Come dice Ratzinger, «la ricerca storica ha reso la controversia meno faziosa, e fra i fedeli cresce sempre più la sensazione dei problemi che riguardano una disposizione che difficilmente mostra come la liturgia sia aperta a ciò che sta sopra di noi e al mondo che verrà» (ibid.).
Purtroppo, non posso essere d’accordo con la tesi di padre Falsini che «l’altare verso il popolo è scelta conciliare». È ben conosciuto che i decreti del Concilio non prevedono nulla di tutto questo.
La Sacrosanctum concilium non parla di celebrazione «verso il popolo». Padre Falsini rimanda all’articolo 128 del cap. VII della costituzione: «Si rivedano [...] i canoni e le disposizioni ecclesiastiche che riguardano il complesso delle cose esterne attinenti al culto sacro, specialmente per la costruzione degna e appropriata degli edifici sacri, la forma e la erezione degli altari». Ma la sua interpretazione di questo articolo mi sembra forzata.
L’istruzione Inter oecumenici, preparata dal Consilium per l’applicazione della costituzione sulla sacra liturgia ed emanata il 26 settembre 1964, contiene un capitolo sulla progettazione di nuove (!) chiese e altari che comprende il paragrafo che segue: «Praestat ut altare maius extruatur a parete seiunctum, ut facile circumiri et in eo celebratio versus populum peragi possit [Nella chiesa vi sia di norma l’altare fisso e dedicato, costruito ad una certa distanza dalla parete, per potervi facilmente girare intorno e celebrare rivolti verso il popolo]» (Inter oecumenici, n. 91: AAS 56, 1964, p. 898).
Vi si afferma che sarebbe desiderabile erigere l’altare separato dalla parete di fondo in modo che il sacerdote possa girarvi intorno facilmente e sia così possibile celebrare rivolti verso il popolo. Jungmann ci chiede di considerare quanto segue: «Viene sottolineata solamente la possibilità. E questa [separazione dell’altare dalla parete] non è neppure prescritta, ma solo consigliata, come si può notare osservando il testo latino della direttiva [...]. Nella nuova istruzione la premessa generale di una simile disposizione dell’altare viene sottolineata soltanto in funzione di possibili ostacoli o restrizioni locali» (J. A. Jungmann, "Der neue Altar" in Der Seelsorger, 37, 1967, p. 375).
In una lettera indirizzata ai capi delle Conferenze episcopali, datata 25 gennaio 1966, il cardinale Giacomo Lercaro, presidente del Consilium, dichiara che, riguardo al rinnovamento degli altari, «la prudenza deve essere la nostra guida». E prosegue spiegando: «Soprattutto perché, per una liturgia vera e partecipe, non è indispensabile che l’altare sia rivolto versus populum: nella messa, l’intera liturgia della parola viene celebrata dal seggio, dall’ambone o dal leggio, quindi rivolti verso l’assemblea; per quanto riguarda la liturgia eucaristica, i sistemi di altoparlanti rendono la partecipazione abbastanza possibile.
In secondo luogo si dovrebbe pensare seriamente ai problemi artistici e architettonici essendo questi elementi protetti in molti Paesi da rigorose leggi civili» (traduzione da G. Lercaro, "L’heureux développement" in Notitiae 2, 1966, p. 160). Si deve ricordare in quel contesto anche una proposizione fondamentale delle norme generali sulla riforma della sacra liturgia della Sacrosanctum concilium: «Infine non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti» (cap. III. art. 23). In ogni caso, non ci si può appellare al concilio Vaticano II per giustificare le radicali alterazioni cui sono state sottoposte le chiese storiche in tempi recenti.
Per quanto riguarda l’esortazione alla prudenza del cardinale Lercaro, Jungmann ci ammonisce a non dare per scontata l’opzione concessa dall’istruzione rendendola una «richiesta assoluta, ed eventualmente una moda, alla quale soccombere senza pensare» (Der neue Altar, p. 380). L’Inter oecumenici consente quindi di celebrare la messa di fronte al popolo, ma non lo prescrive. Quel documento non suggerisce affatto che la messa celebrata volgendosi verso i fedeli sia sempre la forma preferibile di celebrazione eucaristica. Le rubriche del rinnovato Missale Romanum di papa Paolo VI presuppongono un orientamento comune del sacerdote e del popolo per il momento culminante della liturgia eucaristica.
L’istruzione indica che, al momento dell’Orate fratres, della Pax Domini, dell’Ecce, Agnus Dei e del Ritus conclusionis, il prete debba volgersi verso i fedeli: questo parrebbe implicare che in precedenza sacerdote e popolo fossero rivolti nella stessa direzione, ovvero verso l’altare. Alla comunione del celebrante la rubrica dice ad altare versus, istruzione che sarebbe ridondante se il celebrante fosse già dietro l’altare e di fronte al popolo. Tale lettura viene confermata dalle direttive della Institutio generalis, anche se queste, di tanto in tanto, sono diverse da quelle dell’Ordo Missae. La terza Editio typica del rinnovato Missale Romanum, approvata da papa Giovanni Paolo II il 10 aprile 2000, e pubblicata nella primavera del 2002, mantiene queste rubriche.

Un richiamo caduto nel vuoto

Tale interpretazione dei documenti ufficiali è confermata dalla Congregazione per il culto divino. In un editoriale di Notitiae, il bollettino ufficiale della Congregazione, si chiarisce che la disposizione di un altare che permetta la celebrazione verso il popolo non sia questione sulla quale la liturgia stia in piedi o cada. L’articolo suggerisce inoltre che, in questo problema come in molti altri, il richiamo alla prudenza del cardinale Lercaro è più o meno caduto nel vuoto sull’onda dell’euforia postconciliare. L’editoriale osserva che il cambiamento di orientamento dell’altare e l’uso della lingua corrente sono cose molto più facili che l’entrare nella dimensione teologica e spirituale della liturgia, studiarne la storia e tener conto delle conseguenze pastorali della riforma ("Editoriale: Pregare ‘ad orientem versus’" in Notitiae 29, 1993, p. 247).
Nell’edizione riveduta dell’Ordinamento generale del Messale romano, pubblicata a scopo di studio nella primavera del 2000, si trova un paragrafo che riguarda la questione dell’altare: «Altare exstruatur a parete seiunctum, ut facile circumiri et in eo celebratio versus populum peragi possit, quod expedit ubicumque possibile sit [L’altare sia costruito separato dalla parete in modo che si possa girare facilmente intorno e celebrare di fronte al popolo – il che è desiderabile ovunque sia possibile]» (n. 299). La sottile formulazione di questo paragrafo (possit – possibile) indica con chiarezza come la posizione del sacerdote celebrante di fronte al popolo non sia resa obbligatoria: l’istruzione consente semplicemente entrambe le forme di celebrazione.
In ogni modo la frase aggiunta «che è desiderabile ovunque (o comunque) sia possibile (quod expedit ubicumque possibile sit)», si riferisce alla previsione di un altare a sé stante e non al fatto che sia desiderabile una celebrazione versus populum. Eppure diverse recensioni dell’Ordinamento generale riveduto sembrano suggerire che la posizione del celebrante versus orientem o versus absidem sia stata dichiarata indesiderabile o persino proibita. Tale interpretazione è stata tuttavia respinta dalla Congregazione per il culto divino rispondendo a una domanda del cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna (sorprende che sia stata pubblicata non su Notitiae, ma sulla pubblicazione ufficiale del Pontificio consiglio per i testi legislativi, Communicationes 32, 2000, pp. 171-172). Naturalmente il paragrafo in questione dell’Ordinamento generale va letto alla luce di questo chiarimento.
Una breve digressione storica sulle riflessioni del padre Pierre Jounel: il concilio Vaticano I si tenne nel transetto destro di San Pietro e perciò si celebrava la messa all’altare nell’abside del medesimo transetto volgendo "le spalle ai padri" (espressione inadeguata). Invece, le sessioni del concilio Vaticano II furono tenute nella navata centrale. La messa si celebrava "verso l’aula conciliare", perché San Pietro è una basilica con l’ingresso orientato a est, verso cui il celebrante che stava dietro l’altare si volgeva durante la liturgia eucaristica (vedere cap. II del mio libro Rivolti al Signore).
In realtà, la questione soggiacente al dibattito liturgico è la ricezione del Concilio.
Come Benedetto XVI ha detto nel suo fondamentale discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2005, ci sono due ermeneutiche opposte: l’ermeneutica della discontinuità e della rottura e l’ermeneutica della riforma: «L’ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare».
Al contrario, l’ermeneutica della riforma, «del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato», ci guida a una rilettura dei testi conciliari nel contesto della tradizione ecclesiale. Perciò non possiamo lasciare in disparte la riflessione sulla storia e sulla teologia dell’orientamento liturgico, neanche interpretando il Concilio, come propone Falsini nel suo articolo. Come ho provato a mostrare in Rivolti al Signore, la direzione comune del sacerdote e dei fedeli nella preghiera liturgica appartiene a tutta la tradizione cristiana, d’Oriente e d’Occidente, e ha un significato ancora più attuale per la vita della Chiesa odierna.

http://www.stpauls.it/vita/0701vp/0701vp28.htm

La "controrisposta" di Falsini...clicca qui.

4 commenti:

Antonio ha detto...

Falsini? Nomen Omen...sarà pur vero che di questi pseudo riformatori ne abbiano piene le scatole!
Hanno straziato per quarant'anni la Santa Chiesa ora diciamo basta!

Antonio ha detto...

I pozzi nella Chiesa cattolica sono stati avvelenati dai preti come Falsini!
E i fedeli se ne sono andati...aprano gli occhi come ha fatto il Santo Padre o rischiano di rimanere un esercito di generali senza truppe.

f. ha detto...

quanta cattiveria in questi commenti...

DANTE PASTORELLI ha detto...

Ormai è morto e di lui non resta niente. Dunque, parce sepulto. Ma si combattano gli eredi comunque camuffati.