martedì 18 agosto 2009

I confessionali: "ospedali delle anime" (Léon Bertoletti)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

Confessionali deserti, non per un'improvvisa epidemia di santità

Léon Bertoletti

È che molti credenti preferiscono arrangiare da soli i conti con l'Altissimo.
Per gli altri, i pochi o tanti che ancora tengono al perdono sacramentale, diventa invece una caccia al tesoro trovare un prete. Innanzitutto che sia disponibile, abbia un po' di calma e non manifesti l'ansia da prestazione (da assoluzione) di chi, naufragando in troppi impegni, pensa ad altro. Poi che, per grazia, indossi anche uno straccio di stola viola: possibilmente non sopra una t-shirt sbiadita, un jeans e scarpe da tennis.
Si dice il peccato, non il peccatore. Tocca adeguarsi.
Ma esistono chiese dove, a fianco del confessionale, si vede un campanello annerito. Un cencio attaccato con lo scotch (lurido pure quello) invita a suonare, se proprio ci si vuole confessare.
Già uno ci pensa due volte, anche tre.
Tuttavia, al dotato di volontà ferrea succede perfino di scampanellare, pure ripetutamente, e attendere invano che arrivi qualcuno. Aspetta e spera, la penitenza non si avvera.
Esistono parroci pignoli che scrivono sul bollettino: confessioni al sabato dalle 15 alle 18. Punto. Uno si reca nel giorno prefestivo e vede la fila di bimbi devoti ben indottrinati dalle suorine. Chissà, forse gli adulti devono prendere l'appuntamento. Perché nel tempio, dal lunedì al venerdì, al mattino come al pomeriggio, non circolano né sacerdoti né penitenti.
Papa Ratzinger, aprendo l'Anno sacerdotale, ha scritto: "I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli di fronte a questo sacramento".
Già, per cortesia, si riaprano gli "ospedali delle anime".
Benedetto XVI indica due modelli per questo progetto: il Curato d'Ars e lo Stigmatizzato del Gargano. Giovanni Maria Vianney e Padre Pio sono stati confessori instancabili, capaci di passare giornate intere ad ascoltare credenti afflitti.
Alla coppia si può aggiungere un altro fraticello della famiglia cappuccina, san Leopoldo Mandic: piccolo di statura, esile di corporatura, alto e robusto nella fede. Anche Padre Leopoldo, venerato nel convento di Santa Croce a Padova, non si risparmiava. Con risultati evidenti. I padovani si mettevano in coda, aspettando anche ore, per andarlo a trovare.
Se le file fanno parte più della storia che dell'attualità, la colpa non sta da una parte sola. Ci sono ancora santuari con penitenzierie dal flusso ininterrotto di devoti.
Rappresentano eccezioni, però,
rispetto al vuoto delle parrocchie. Durante la settimana, le confessioni sembrano tacitamente soppresse; alla domenica tocca magari esporre i propri limiti infilandosi nel confessionale durante lo svolgimento della messa, dunque qualcosa si perde comunque.
Inoltre, se nei fedeli è venuto meno il senso del peccato, forse dipende anche da quei preti perfino altolocati che hanno lavato le colpe nel nome dello psicologismo e del sociologismo, invece che del Padre, del Figlio e dello Spirito. Sono cadute le grate: nel senso che si è assistito alla banalizzazione della penitenza, della riconciliazione, della conversione, trasformate in semplice e conveniente direzione spirituale.
Intanto i confessionali si sono riempiti di ragnatele. Su questo va notata una dimenticanza di Papa Benedetto. Si è scordato di sollecitare i sacrestani a passare la pezza. In attesa di un prete che sappia attendere. E di fedeli infedeli capaci di chiedere scusa.

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