lunedì 6 aprile 2009

Le parole del Papa nella Domenica delle Palme: quattro interrogativi (Zavattaro)


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BENEDETTO XVI - Quattro interrogativi

Le parole del Papa nella Domenica delle Palme

Fabio Zavattaro

Ci sono quattro interrogativi nelle parole che papa Benedetto pronuncia nella Domenica delle Palme, ventiquattresima Giornata mondiale della gioventù, celebrata, quest’anno – e anche il prossimo – nelle diocesi.
Quattro interrogativi che accompagnano la riflessione in questa Settimana Santa, attesa della Pasqua: abbiamo veramente compreso il messaggio di Gesù, figlio di Davide? Abbiamo capito che cosa sia il Regno di cui ha parlato nell’interrogatorio davanti Pilato? Comprendiamo che cosa significhi che questo Regno non è di questo mondo? O desidereremmo forse che invece sia di questo mondo?
Non sono domande da poco ed è attorno a queste domande che il Papa riflette, facendo memoria dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, accolto dalla gioia della folla. Immagine che torna nella processione che ha aperto la liturgia domenicale in piazza San Pietro, processione tra rami di ulivo e palme.
Ma torniamo alle parole dell’omelia di Domenica delle Palme e vediamo qual è, allora il messaggio. È in quel chicco di grano che “se non muore rimane solo; se invece muore, produce molto frutto”. Con la sua morte e resurrezione “Gesù oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo”. È dunque, un incontro, ma è irrilevante la sua durata: può bastare anche un attimo. L’importante è vedere, ascoltare. Vedere Gesù è lo scopo che ha spinto migliaia di giovani lo scorso anno a varcare l’Oceano per raggiungere Sydney per la Gmg. Gesù è il risorto, è “in cammino verso la vastità del mondo e della storia”; va dai lontani che diventano vicini “e proprio nella loro lingua, nella loro cultura, la sua parola viene portata avanti in modo nuovo e compresa in modo nuovo”.
La seconda domanda trova qui una duplice risposta: il regno di Cristo passa attraverso la Croce – “Gesù si dona totalmente, può come Risorto appartenere a tutti e rendersi presente a tutti” – e la seconda caratteristica è che il suo Regno è universale, “si adempie l’antica speranza di Israele: questa regalità di Davide non conosce più frontiere”.
Questo è possibile perché “non è una regalità di un potere politico, ma si basa unicamente sulla libera adesione dell’amore”; e significa che “nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua cultura, il suo tempo e il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda, rinunciando a qualcosa di nostro”. L’universalità, dice il Papa, “è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale. L’universalità e la croce vanno insieme. Solo così si crea la pace”.
Ed ecco di nuovo quel chicco di grano. Con Giovanni dice: “Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna”. Grande paradosso del cristiano che soltanto nell’abbandono di sé, soltanto nel dono disinteressato “dell’io in favore del tu, soltanto nel sì alla vita più grande, propria di Dio, anche la nostra vita diventa ampia e grande”. Amare significa lasciare se stessi, donarsi, “diventare liberi da sé”. E allora abbiamo davvero compreso il messaggio di Gesù? Abbiamo davvero capito cosa significhi che il suo regno non è di questo mondo? Si tratta, nella realtà, non di riconoscere un principio, “ma di vivere la sua verità, la verità della croce e della risurrezione. E per questo, di nuovo, non basta un’unica grande decisione. È sicuramente importante osare una volta la grande decisione fondamentale, osare il grande sì, che il Signore ci chiede in un certo momento della nostra vita”.
Un sì decisivo che va “quotidianamente riconquistato nelle situazioni di tutti i giorni in cui, sempre di nuovo, dobbiamo abbandonare il nostro io, metterci a disposizione, quando in fondo vorremmo invece aggrapparci al nostro io”. Una vita retta chiede sacrificio e rinuncia, afferma il Papa che parla di se stesso, e dice: “Se getto uno sguardo retrospettivo sulla mia vita personale, devo dire che proprio i momenti in cui ho detto sì ad una rinuncia sono stati i momenti grandi e importanti della mia vita”.
In questo sì, in questo abbandonarsi alla volontà di Dio che è la verità e l’amore, appartiene anche l’impegno che dobbiamo avere verso chi soffre, chi chiede aiuto.
Così ricorda il Papa il dramma dei “nostri fratelli e sorelle africani, che pochi giorni fa hanno trovato la morte nel Mare Mediterraneo, mentre cercavano di raggiungere l’Europa”. Tragedie che, purtroppo, si ripetono da tempo, cui non possiamo rassegnarci; anzi, proprio le dimensioni del fenomeno, afferma Benedetto XVI “rendono sempre più urgenti strategie coordinate tra Unione europea e Stati africani, come pure l’adozione di adeguate misure di carattere umanitario, per impedire che questi migranti ricorrano a trafficanti senza scrupoli”. La soluzione è nella capacità delle popolazioni africane di “affrancarsi dalla miseria e dalle guerre” con l’aiuto della comunità internazionale. Chiede anche a quei Paesi che ancora non l’hanno fatto, di “aderire alla Convenzione per l’interdizione delle munizioni a grappolo”.
Una parola ancora ai giovani, che in molti hanno animato la processione che dall’obelisco di piazza San Pietro ha raggiunto il sagrato della basilica vaticana e che vivono l’attesa dell’appuntamento di Madrid dell’agosto 2011, quando nella capitale spagnola sarà celebrata la ventiseiesima Giornata mondiale della gioventù. Ricorda il passaggio della croce delle mani dei giovani australiani a quelle dei loro coetanei spagnoli, e dice: “La croce è in cammino da un lato del mondo all’altro, da mare a mare”. Accompagnare la croce è ritrovare la propria strada, e toccando la croce, tocchiamo il mistero di Dio: “Tocchiamo il mistero meraviglioso dell’amore di Dio, l’unica verità realmente redentrice. Ma tocchiamo anche la legge fondamentale, la norma costitutiva della nostra vita, cioè il fatto che senza il sì alla Croce, senza il camminare in comunione con Cristo giorno per giorno, la vita non può riuscire”.
Le domande che abbiamo posto all’inizio, trovano così sintesi e risposta in quel sì, in quella scelta che presuppone una rinuncia, ma che rende, afferma Benedetto XVI, più grande e più ricca la vita.

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