mercoledì 4 novembre 2009
Il giurista Riccardo Chieppa: "Il Crocifisso fondamentale nella storia e nella cultura d’Occidente" (Grasso)
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INTERVISTA A CHIEPPA
«Fondamentale nella storia e nella cultura d’Occidente»
Giovanni Grasso
«Non conosco che alcuni stralci della sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, pur tuttavia quelli resi noti mi suscitano una serie di interrogativi di notevole rilevanza e molte perplessità». Il giurista Riccardo Chieppa, presidente emerito della Corte Costituzionale, scuote la testa leggendo la decisione europea sul crocifisso. Una decisione, spiega, «che non solo non è condivisibile, ma contraddice anche sentenze precedenti dello stesso organo, che avevano sancito il rispetto della peculiarità specifica di ogni Paese rispetto alle tradizioni, ai simboli e alla cultura».
Ci si appella al principio di laicità, contenuto – sembra dire la sentenza – anche nella Costituzione italiana...
Le cose non stanno così, almeno in Italia.
Il principio di laicità – immedesimato nei principi fondamentali della nostra Carta e come tali non derogabili da nessuna convenzione internazionale – non comporta un agnosticismo, una estraneità, un’ostilità o un disvalore rispetto alla religione o ai sentimenti religiosi (ateismo compreso); ma al contrario è basato su una concezione positiva dei sentimenti religiosi, quali essi siano, e su una apertura verso il radicamento dei valori.
Eppure, secondo i giudici di Strasburgo, il crocifisso nelle scuole arriverebbe addirittura a minare la democrazia italiana...
Il pluralismo e la società democratica devono sicuramente essere aperti a tutti valori e non disconoscerli. Quindi non si può in nessun modo, in nome dell’eguaglianza, giungere a una eliminazione di un valore; al massimo si è sentito ipotizzare una sorta di aggiunta di altri valori purché non offensivi dei costumi e della sicurezza di tutti. Né può essere ammessa la pretesa di soppressione di un valore tradizionalmente accettato in un determinato popolo, con l’effetto di mortificare una coscienza largamente maggioritaria.
Il riferimento concreto che ha originato la sentenza riguarda il presunto vulnus all’eguaglianza tra scolari di diverse fedi.
Alla luce di quanto ho detto prima, credo che in questo campo di diritti fondamentali, l’equiparazione sia ammissibile: ma deve avvenire senza ledere i diritti degli altri. Insomma non verso il basso, come divieto o comportamento negativo verso ogni valore riconducibile anche indirettamente a sentimento religioso; ma verso l’alto, in cui tutti i soggetti possano essere egualmente rappresentati con simboli od altro; ovvero nella società lavorativa di oggi, la questione non deve essere di abolire, in nome del diritto di eguaglianza, la festività domenicale, quanto semmai quella di garantire a tutti gli altri di vivere non in contrasto con la professione di religiosa e i relativi precetti (mense, cibo, giorni festivi).
Colpisce nella sentenza anche un passaggio, in cui si identifica il crocifisso con il cattolicesimo, quando si può per lo meno dire che è un simbolo cristiano...
Mi ha lasciato molto sorpreso questa affermazione che è ampiamente contraddetta dalla presenza del crocifisso in tutte le manifestazioni della cultura e dell’arte europea, in molte cime dei monti. Il crocifisso rappresenta un aspetto fondamentale della storia e cultura di popoli europei. Quanto all’Italia il crocifisso, secondo una tradizione culturale e il costume di vita popolare, assume un valore, quando è collocato al di fuori di un luogo di culto, non religioso; ma di simbolo di questa tradizione, richiamo ai valori, che naturalmente non esclude la esistenza di altri valori. E anzi il crocifisso – come affermato dalla sentenza del Consiglio di Stato italiano n. 7314 del 2006 – esprime in chiave simbolica l’origine dei valori di tolleranza, di rispetto, di valorizzazione della persona, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell’autorità.
L’impressione è che si voglia arrivare a una scuola asettica, senza valori o tradizioni.
Se il crocifisso e ogni aspetto religioso dovessero essere banditi dalle scuole pubbliche italiana si presenterebbe con maggiore gravità la giusta pretesa, inderogabile, di quei genitori non contrari a un sentimento religioso di scegliere per i figli il tipo di insegnamento e di scuola che sia conforme ai propri principi; e il contestuale dovere dello Stato di adeguarsi direttamente o con contributi che rendano effettivo tale diritto. In caso di inadempienza ,allora sì che la Corte di Strasburgo dovrebbe occuparsi seriamente di risarcimenti.
© Copyright Avvenire, 4 novembre 2009 consultabile online anche qui.
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