martedì 30 giugno 2009

Toccare il sacro, San Paolo è qui (Bruno Forte)


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TOCCARE IL SACRO, SAN PAOLO È QUI

di BRUNO FORTE

«SIAMO raccolti presso la tomba dell’Apostolo, il cui sarcofago, conservato sotto l’altare papale, è stato fatto recentemente oggetto di un’attenta analisi scientifica: nel sarcofago, che non è stato mai aperto in tanti secoli, è stata praticata una piccolissima perforazione per introdurre una speciale sonda, mediante la quale sono state rilevate tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino. È stata anche rilevata la presenza di grani d’incenso rosso e di sostanze proteiche e calcaree. Inoltre, piccolissimi frammenti ossei, sottoposti all’esame del carbonio 14 da parte di esperti ignari della loro provenienza, sono risultati appartenere a persona vissuta tra il I e il II secolo. Ciò sembra confermare l’unanime e incontrastata tradizione che si tratti dei resti mortali dell’apostolo Paolo. Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione».
È con queste parole che nella celebrazione dei primi Vespri della solennità dei Santi Pietro e Paolo Benedetto XVI ha annunciato al mondo il risultato delle indagini svolte sulla tomba dell’Apostolo nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura.
La cautela dell’uomo di studio evidente nella precisa ricostruzione del procedimento seguito e in quell’espressione «sembra confermare» si è unita alla sincera confessione dell’uomo di fede e del pastore: «Tutto questo riempie il nostro animo di profonda emozione». Perché? Che cosa ha di così importante il risultato della ricerca compiuta? Che cosa dice alla sensibilità spesso scettica e distratta di noi, figli del post-moderno, eredi della crisi della ragione totalizzante e del tramonto dei suoi miti ideologici?
Il primo motivo che rende “intrigante” quanto il Papa ha annunciato è l’idea che la traccia sicura dell’esistenza storica dell’Apostolo e della sua conclusione a Roma è lì, a portata di mano, tangibile come la pietra che l’avvolge. Paolo che giganteggia nella storia del cristianesimo e dell’Occidente, fino a essere chiamato il secondo “fondatore del cristianesimo” non è una figura evanescente, un mito costruito dal desiderio, ma quella persona storica, che in quel luogo preciso ha realizzato il commovente compimento della sua parabola terrena, descritto con immagini potenti in una delle Lettere: «Io infatti sto già per essere versato in offerta ed è giunto il momento che lasci questa vita. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Timoteo 4,6). È lì, in quel luogo della Roma di oggi, che Paolo si è offerto in sacrificio, ha sciolto le vele, ha concluso la sua lotta, è giunto al traguardo, conservando in tutto questo il dono più grande, quello che gli ha cambiato la vita e che con la sua passione ha consegnato al mondo: la fede. È come se le parole scritte ardessero di vita nuova in quel sarcofago custodito nei secoli: le spoglie terrene di Saulo di Tarso, i resti di quella carne di Paolo schiaffeggiata dall’angelo di Satana e vittoriosa sul male, sono proprio lì. Uno come noi, uno di noi, che come noi ha corso, ha lottato, ha chiuso gli occhi alla scena del mondo, si è offerto lì per amore in sacrificio, fedele al suo Signore, a dimostrare col dono totale di sé la verità del suo annuncio. Tutto questo, veramente e senza retorica, «riempie il nostro animo di profonda emozione».
C’è poi una seconda ragione che rende significativo il risultato dell’indagine compiuta: sin dagli inizi quel corpo devastato dalla morte cruenta è stato oggetto non solo di immensa pietà, ma di venerazione e tenerissimo amore. Lo dimostrano con la loro silenziosa eloquenza quelle «tracce di un prezioso tessuto di lino colorato di porpora, laminato con oro zecchino e di un tessuto di colore azzurro con filamenti di lino». Sembra perfino gridarlo quella rilevata «presenza di grani d’incenso rosso»: in pieno contrasto con l’apparente vittoria dei loro persecutori, i cristiani sin dall’inizio hanno tributato all’Apostolo i segni di un onore e di una venerazione, che esprimevano la consapevolezza di un immenso debito verso di lui, di una gratitudine profonda e commossa. Se a questo si aggiunge il fatto che quel «sarcofago, conservato sotto l’altare papale, non è stato mai aperto in tanti secoli», custodito come reliquia preziosa fino a quasi scomparire nella solenne sacralità del luogo eretto a testimoniarne la presenza, si comprende come quell’amore per Paolo ha attraversato i secoli, ha legato fra loro generazioni di cristiani, quasi a trasmettere di testimone in testimone la sua passione per il Vangelo, il suo ardente amore per il Signore Gesù, di cui ha voluto essere nient’altro che il servo e l’Apostolo, il prigioniero innamorato e fedele fino alla fine. L’emozione dei risultati dell’indagine scientifica comunicati dal Papa si colora qui dell’altro, provocatorio significato: quanto Paolo è stato, quanto egli ha annunciato al mondo e consegnato alle sue lettere, quanto i suoi resti mortali ci comunicano, non vuol essere soltanto oggetto di stupita ammirazione. Paolo, come Cristo, chiede imitatori. Così Søren Kierkegaard chiarisce la differenza: «Un imitatore è ossia aspira a essere ciò ch’egli ammira; un ammiratore invece rimane personalmente fuori: in modo conscio o inconscio egli evita di vedere che quell’oggetto contiene nei suoi riguardi l’esigenza d’essere o almeno d’aspirare a essere ciò ch’egli ammira» (da Esercizio del cristianesimo). Perciò «tutta la vita del Cristo sulla terra, dal principio alla fine, fu indirizzata assolutamente ad avere solo imitatori e a impedire gli ammiratori». Così è anche per Paolo, che in modo rinnovato dalla traccia eloquente della sua vicenda terrena sembra lanciare la sfida a una decisione, che si può prendere solo pagando di persona: «Camminare soli! Sì, nessun uomo, nessuno, può scegliere per te oppure in senso ultimo e decisivo può consigliarti riguardo all’unica cosa importante, riguardo all’affare della tua salvezza... Soli! Poiché quando hai scelto, troverai certamente dei compagni di viaggio, ma nel momento decisivo e ogni volta che c’è pericolo di vita, sarai solo» (S. Kierkegaard, Il Vangelo delle sofferenze). Solo come lo fu Paolo, in quel tramonto della sua esistenza terrena, fiammeggiante come uno degli stupendi tramonti romani, quando fu decapitato con la spada alla terza pietra miliare sulla Via Ostiense, nel luogo detto “Aquae Salviae”, per essere sepolto dove ora sorge la Basilica di San Paolo fuori le Mura, scrigno dei suoi resti mortali, eloquenti oggi più che mai, al pari di tutta la sua vita.

© Copyright Il Messaggero, 30 giugno 2009 consultabile online anche qui.

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