domenica 28 giugno 2009
Secondo il teologo di Tubinga, Hünermann, il Papa non poteva rimettere la scomunica ai vescovi lefebvriani (Galeazzi)
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ROMA
Peter Hünermann, teologo di fama mondiale e ordinario di Dogmatica alla Facoltà Teologica cattolica dell’Università di Tubinga, presiede la società europea di Teologia cattolica. Anticipiamo un brano del saggio pubblicato sul numero 3/2009 della rivista "il Mulino", in uscita giovedì prossimo.
Un giudizio teologico della crisi attuale nella Chiesa cattolica, causata dalla remissione della scomunica dei quattro vescovi della fraternità sacerdotale San Pio X, può basarsi su pochi punti di riferimento.
Gli eventi dolorosi e la storia mutevole di questa vicenda appaiono segnati da un alto grado di costanza, in base al quale è possibile formulare un giudizio teologico. Già dopo la richiesta di chiudere il seminario svizzero di Ecône (nel 1974), l’arcivescovo Lefebvre denuncia pubblicamente il fatto che papa e vescovi seguirebbero nel Concilio Vaticano II e nelle riforme una tendenza neo-modernista e neo-protestante che sarebbe in contraddizione con la tradizione cattolica.
Scrive Lefebvre in una professione di fede personale del 21 novembre di quell’anno: «Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa da diciannove secoli».
Nonostante i numerosi sforzi romani, Lefebvre si irrigidisce nel suo rifiuto della libertà di coscienza e religiosa, del dialogo ecumenico ed ebraico-cristiano così come della riforma liturgica.
A dispetto dei pressanti avvertimenti romani, egli conferma questo rifiuto con l’ordinazione sacerdotale illegittima del 29 giugno 1976 e la conseguente sospensione «a divinis». Poi il 30 giugno 1988 consacra quattro vescovi e, insieme a loro, viene scomunicato.
Il 24 gennaio 2009 Benedetto XVI dispone la remissione della scomunica dei quattro vescovi della fraternità sacerdotale San Pio X.
Ciò rappresenta un errore d’ufficio che suscita scandalo. Fondamentalmente, quest’atto concede ai vescovi che governano la fraternità la comunione ecclesiale senza i presupposti canonici e senza aver stabilito più dettagliatamente quale «status» avranno nella Chiesa. La sospensione dall’ufficio rimane per il momento valida. Questo errore d’ufficio è grave, perché significa dispensare dalla piena accettazione del Concilio Vaticano II.
Esso è indirizzato contro la fede e i costumi, la cui conservazione è affidata in modo speciale, per tutta la Chiesa, al successore di Pietro.
La remissione della scomunica è pertanto, a mio parere, nulla.
La lettera di Benedetto XVI, pubblicata l’11 marzo 2009, conferma la problematicità della questione: «La scomunica colpisce persone, non istituzioni. Un’ordinazione episcopale senza il mandato pontificio significa il pericolo di uno scisma, perché mette in questione l’unità del collegio episcopale con il Papa. Perciò la Chiesa deve reagire con la punizione più dura, la scomunica, al fine di richiamare le persone punite in questo modo al pentimento e al ritorno all’unità.
A vent’anni dalle ordinazioni, questo obiettivo purtroppo non è stato ancora raggiunto». Quando il Papa poi constata nella sua lettera: «La remissione della scomunica mira allo stesso scopo a cui serve la punizione: invitare i quattro Vescovi ancora una volta al ritorno», e poi aggiunge: «Questo gesto era possibile dopo che gli interessati avevano espresso il loro riconoscimento in linea di principio del Papa e della sua potestà di Pastore, anche se con delle riserve in materia di obbedienza alla sua autorità dottrinale e a quella del Concilio», questa conclusione è semplicemente incomprensibile.
La lettera prosegue: «La remissione della scomunica era un provvedimento nell’ambito della disciplina ecclesiastica: le persone venivano liberate dal peso di coscienza costituito dalla punizione ecclesiastica più grave. Occorre distinguere questo livello disciplinare dall’ambito dottrinale. Il fatto che la fraternità San Pio X non possieda una posizione canonica nella Chiesa, non si basa in fin dei conti su ragioni disciplinari ma dottrinali. Finché la Fraternità non ha una posizione canonica nella Chiesa, anche i suoi ministri non esercitano ministeri legittimi nella Chiesa».
Ci si domanda non arbitrariamente come si possa qui dividere in modo così netto la scomunica dall’ambito dottrinale complessivo, risultando chiaro che essa è stata inflitta a causa dell’ordinazione episcopale e per motivi dottrinari. La lettera di Benedetto XVI non entra nel merito del collegamento tra questi due aspetti. Ecco il motivo per cui la Chiesa si trova davanti a una questione particolarmente grave. Nella sua storia situazioni così complicate sono state per lo più straordinariamente difficili da risolvere.
© Copyright La Stampa, 28 giugno 2009
Cio' che suscita scandalo e' che un teologo cattolico si permetta di giudicare scandaloso (appunto!) un atto di misericordia del Santo Padre.
Mi pare che Cristo stesso abbia conferito a Pietro (cioe' al Papa) la facolta' di legare e di sciogliere.
Non credo che nel Vangelo risultino nominati anche i professori di Tubinga.
Stupisce ancora una volta che i teologi che si autodefiniscono "progressisti" e che accusano la Chiesa di non essere abbastanza misericordiosa si mettano poi, quando fa comodo, a difendere le scomuniche e/o ad auspicare che ne vengano inflitte altre.
R.
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5 commenti:
Ai tempi di Lutero si diceva Doctor Romanus Asinus Germanus...leggendo le elucubrazione di questo teologo tedesco possiamo ben dire Doctor Germanus Asinus Romanus!
Gesù disse: A te ...Pietro darò le chiavi del Regno dei cieli...
Quanta cattiveria in certi preti...e si definiscono pure cristiani!
Ma il Cuore di Cristo trionferà...
Lasciamo stare per il momento i professori di Tubinga e le loro conclusioni riguardo a ciò che può o non può fare un Papa.
A prescindere dai presupposti, dai quali parte un uomo come Hünerman e i quali non condivido: ha messo il dito nel pieno di una piaga infiammata che obiettivamente esiste. Tutto il procedere della remissione della scomunica manca di un quadro giuridico preciso, e ora si continua a pagare lo scotto per questa mancanza. I vescovi tedeschi per esempio, e innanzitutto un "fedele" come il vescovo di Ratisbona che si è fatto venire quasi un ictus per la faccenda delle ordinazioni (last but not least: vietava ai soccorritori dei maltesi - infermieri e medici - richiesti dai vigili del fuoco, per poter eventualmente intervenire nel corso delle ordinazioni, alle quali partecipavano 1500 persone, di essere presenti pena eliminazione del sostegno economico da parte della diocesi)si muovono lungo una linea analoga a quella di Hünerman.
Si avrebbe potuto evitare tutto questo; purtroppo, nel mondo, le persone di buona volontà sono la minoranza. E le inadempienze di Roma erano/sono sconcertanti.
Per fortuna Hunermann è ormai professore emerito, ma, ovviamente, ancora i tubinghiani controllano tutti i media e le università.Sono mesi che stanno martellando con la storia della Fraternità e non mollano l'osso, anche perché hanno trovato il cuneo per impedire al Papa la reconquista della Germania e alienargli le simpatie. E, finora, sembra che ci riescano.Saluti, Eufemia
Credo che al Papa di queste opinioni/incursioni emerite sulle prerogative del Papato non importi davvero un tubinga
Correzione:
la notizia data dalla rivista "Focus" riguardante il comportamento nei confronti dei maltesi non corrisponde a verità. Questo chiarisce oggi l'ufficio per le comunicazioni della diocesi di Ratisbona, definendo la notizia un "strano frutto della fantasia".
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