venerdì 6 novembre 2009

La Ue interferisce su Cristo come sul lardo di Colonnata. I giornalisti politicamente corretti ed i salotti chic (Tosti)


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La Ue interferisce su Cristo come sul lardo di Colonnata

PRIMO PIANO
Di Massimo Tosti

Già oggi gran parte delle leggi italiane sono delle mere ritrasposizioni di norme europee

La Corte europea di Strasburgo come strumento di un'Europa impicciona e uniformatrice

Nel secolo scorso (il Medioevo prossimo trascorso) un intellettuale liberale di modesto livello, Benedetto Croce, spiegava «perché non possiamo non dirci cristiani». Roba vecchia. Oggi un aspirante premio Nobel (per la teologia o l'aritmetica, si lascia libera scelta ai giurati di Stoccolma), Piergiorgio Odifreddi, ribalta l'asserzione, formulando un nuovo postulato: «Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici)». Aveva fatto il suo esordio in libreria con il «Matematico impenitente», per traslitterare poi l'aggettivo in quello più sfizioso di «impertinente». Poi è approdato alle questioni alte della coscienza e della fede, abolendo la propria qualifica professionale, trasformandosi tout-court in impertinente e basta. Logico che sia stato lui, fra i primissimi al traguardo, a esprimere pieno appoggio alla sentenza della Corte europea di Strasburgo che ha condannato la presenza del Crocefisso nelle aule scolastiche italiane.
Sembrava, in principio, che la sua dovesse restare una voce pressoché isolata. La politica, salvo rarissime eccezioni, si è messa in processione dietro il simbolo della Cristianità. Pier Luigi Bersani, neosegretario del Partito democratico, ha deplorato la pronuncia della Corte, difendendo «l'antica tradizione» e sostenendo che, in questa occasione, il buonsenso è stato «vittima del dritto». Sullo stesso versante si è schierata l'Italia dei Valori. Scontati i giudizi dell'Udc e del Pdl, meritano di essere segnalati i commenti di Gianfranco Fini che (in diverse occasioni recenti) aveva criticato le posizioni del Vaticano, e che oggi denuncia «il laicismo più deteriore, con la negazione del ruolo de cristianesimo», e della Lega, memore di una tradizione fideista che risale all'XI secolo quando l'arcivescovo di Milano, Ariberto da Intimiano, issò la croce e il gonfalone sul Carroccio, quando Corrado il Salico pose l'assedio alla città. In termini squisitamente politici, il partito di Bossi ha indicato nel Crocefisso l'antidoto all'«Eurabia», con un omaggio postumo a Oriana Fallaci.
Un bel clima da unità nazionale (come ai tempi della Lega Lombarda contro Federico Barbarossa), con qualche occhiata di disgusto per i pochi dissenzienti («Como è co' i forti, e abbandonò la Lega», declamava la ballata di Carducci: «Il popol grida: l'esterminio a Como»).
Ma, dopo il primo sbandamento, i comaschi hanno ripreso coraggio. Corrado Augias (su la Repubblica) ha riesumato una sentenza della Corte di Cassazione (numero 439, 01/03/2000) che considerava la presenza del Crocefisso, «elemento distintivo di una religione» in contrasto con l'articolo 3, comma 1 del testo costituzionale.
E Rina Gagliardi (su Il Riformista) definisce «saggia» la sentenza di Strasburgo e considera curiosa la levata di scudi della maggioranza degli esponenti politici, tirando la conclusione che «in Italia si può (forse) toccare tutto, ma non il potere del Vaticano».
Va a finire che l'ingerenza nella nostra vita nazionale è del papa e non dei «saggi» soloni europei, che ficcano il naso dentro casa nostra per condannare un povero Cristo con la stessa disinvoltura con la quale si pronunciano sul lardo di Colonnata o sugli ingredienti della pizza napoletana.
Potrebbe apparire singolare che siano i giornalisti (o i matematici) a porsi in prima linea negli applausi alle parrucche incipriate di Strasburgo, se non si tenesse conto delle regole del politically correct e dell'effetto che fa nei salotti chic distinguere in modo netto la religione dalla cultura, con uno spirito di laicismo (non di laicità) che non lascia scampo ai simboli della tradizione intrecciati con la fede.
Se la Corte ci avesse condannato per aver coniato sulla moneta da un euro l'Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, si sarebbero ribellati anche loro.
Ma le «divine proporzioni» leonardesche hanno lasciato un segno, nel nostro essere italiani, di gran lunga inferiore all'Uomo sul Golgota. Nella sua mediocre cultura, Benedetto Croce questo l'aveva capito.

© Copyright Italia Oggi, 6 novembre 2009 consultabile online anche qui.

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