giovedì 20 novembre 2008
Suor Ilde: mai parlato ai media di eutanasia (Bellaspiga)
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ETICA E GIUSTIZIA
Suor Ilde: mai parlato ai media di eutanasia
La religiosa: dico solo no all’accanimento terapeutico Il superiore generale: «Assurda cultura della morte»
«Ho passato l’esistenza nel soccorrere persone con gravi limiti e mai li ho ritenuti 'vegetali'» Il sacerdote: «La legislazione vuole appropriarsi del diritto di stabilire quando una vita è degna»
Era a Genova per ritirare il Premio ' Una donna fuori dal coro', suor Ildefonsa, quando ha parlato con i giornalisti dicendosi contraria all’accanimento terapeutico ( come sostiene del resto la Chiesa). Parole che da alcuni media sono state interpretate invece come una rinuncia alle cure, se non un’implicita apertura all’eutanasia. È la stessa religiosa a scrivere una lettera (vedi box) in cui spiega alla superiora generale, madre Maria Irene, il suo pensiero e si rammarica per il modo in cui è stato interpretato. Un paradosso: il riconoscimento internazionale di cui era stata insignita viene attribuito a ' quelle donne che col loro impegno costante e silenzioso ridanno dignità umana a coloro ai quali la dignità è stata calpestata'. E suor Ildefonsa, si legge nelle motivazioni, ' ha dedicato più di 60 anni a soccorrere gli altri lavorando in Italia, Madagascar, Polonia, Bielorussia...'.
Donandosi cioè proprio a vite ridotte ai minimi termini per le quali oggi qualcuno invoca la ' dolce morte'. Non a caso il Premio si definisce ' una finestra su quella parte di mondo che il silenzio fa cadere nell’oblio, l’occasione di ascoltare la voce di chi di solito è obbligato a tacere'.
DA MILANO
LUCIA BELLASPIGA
Se ci sono persone che la sofferenza la toccano con mano, ogni giorno e ogni notte, nei suoi limiti più estremi e apparentemente disumani, questi sono proprio gli orionini: mille religiosi, 850 religiose e un numero elevatissimo di laici che in trenta nazioni dedicano l’intera loro esistenza a quello che alcuni oggigiorno definirebbero il più vano degli esercizi, l’assistenza a vite bisognose di tutto. Solo chi ha visitato certi loro reparti, chi ha visto l’impegno profuso dietro pazienti del tutto privi - almeno per quanto se ne può sapere - di facoltà mentali e reazioni consce, può capire il loro carisma. «Che per noi di don Orione è di aiutare la 'vita debole' in tutte le sue forme - precisa don Flavio Peloso, superiore generale della congregazione - . Per questo anche solo un possibile equivoco nato attorno alle parole della nostra consorella ci ferisce in modo particolare ».
Suor Ilde, dedita da oltre mezzo secolo con le Piccole Suore Missionarie della Carità di don Orione alla dignità e alla cura di vite ridotte ai minimi termini, certamente non nega poi la stessa dignità quando la vita è la sua.
La sua e nostra vocazione, così come don Orione l’ha voluta, è di riempire con la carità la verità rivelata da Cristo e insegnata dal magistero circa la sacralità e l’amore alla vita debole: debole perché nascente, o perché stabilmente limitata (per disabilità o malattie), o perché in 'diminuzione' (gli anziani).
In effetti le parole di suor Ilde sono equilibrate e chiare. Non si è mai lontanamente sognata di accennare all’eutanasia. Perché, a partire dal Secolo XIX e poi a seguire con i quotidiani che hanno ripreso immediatamente la notizia, è sorto l’equivoco?
L’abbaglio forse nasce dal fatto che suor Ilde, che conosco molto bene, voleva ribadire il netto no all’accanimento terapeutico: un rifiuto sacrosanto, che la Chiesa sostiene senza esitazione alcuna precisando cosa e quando debba intendersi 'accanimento terapeutico'. Leggo che suor Ilde ha parlato anche di 'testamento biologico', considerandolo nel suo significato ristretto di 'rifiuto dell’accanimento terapeutico'. Purtroppo nella battaglia ideologica scatenata su questi temi si fa passare come 'accanimento terapeutico' anche il semplice e doveroso e caritatevole 'aiuto alla vita', come nel caso di Eluana Englaro.
Perché allora tanto clamore?
Attualmente la legislazione vuole appropriarsi del diritto di stabilire quando una vita è degna e quando no. Con la tecnica dei casi pietosi si prepara la spallata, si creano le premesse per far passare un’ideologia e una legislazione che si appropria del diritto di vita e di morte.
Una prospettiva molto pericolosa: se passa l’idea di un diritto privato di decidere della propria vita, tanto più si arriverà a un diritto pubblico in potere di farlo... Il ritorno a un fosco passato, nella sostanza.
Viene in mente l’immagine dell’ufficiale nazista che ad Auschwitz, sul binario della morte, decideva con un semplice movimento di un dito, con un sì o un no, se i deportati dovevano finire direttamente al forno crematorio o sopravvivere.
Perché molti oggi sembrano propendere sempre per scelte di morte anziché di vita? Si difende più il 'diritto a morire' che non il diritto a vivere, come sarebbe ovvio e naturale...
'Morte e vita si sono affrontate in un poderoso duello', recitiamo nella sequenza liturgica di Pasqua. È quanto avviene ancora oggi tra la cultura della vita e la cultura della morte. I cristiani sono in prima linea in questo duello: professando l’amore alla vita professano l’amore al Dio della vita. Abbiamo la fiduciosa tranquillità e costanza che l’ultimo a vincere è Dio, è la vita. Questo ci anima a resistere all’assurda cultura della morte che oggi tanto spaventa.
© Copyright Avvenire, 20 novembre 2008
Ribadisco il concetto: religiosi, religiose, sacerdoti, vescovi, cardinali e semplici fedeli laici si facciano "furbi" ed evitino qualsiasi ambiguita' che possa essere strumentalizzata dai media la cui slealta' dovrebbe essere ormai nota a molti...
R.
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2 commenti:
Infatti, Cara Raffaella mi domando come ancora ci siano religiosi che si fidano cecamente della stampa; non è la prima volta e non sarà l'ultima, che verranno usate parole e frasi per i comodi dei grandi giornaloni e per far passare messaggi che sono tutto ed il contrario di tutto.
Volevo fare una precisazione ulteriore, confermando comunque quello che ho scritto nel mio post riferito a questo episodio.
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