martedì 18 novembre 2008

Zio Berlicche scrive a Malacoda: "Lo dicevo io che Concita ha stoffa" (Tempi)


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Lo dicevo io che Concita ha stoffa

di Berlicche

Mio caro Malacoda, sapevo che prima o poi Concita De Gregorio, la nuova direttrice dell’Unità, ci avrebbe dato soddisfazione, ma non osavo sperare tanto.
Contavo sulla sua vena sentimental-reazionaria, ma neanch’io credevo che l’uso emozionale di categorie umanistico-cristiane potesse arrivare a un simile rovesciamento delle posizioni in campo.
Le sue due colonne sull’Unità di lunedì 17 novembre, sotto questo aspetto, sono esemplari. L’abilità è tutta nell’usare ogni argomento e il suo contrario a seconda della convenienza. Dopo aver sostenuto con prime pagine, interviste, articoli e fotografie la richiesta del signor Englaro per l’eutanasia di sua figlia, dopo averla trasformata in grido… «adesso su Eluana per favore facciamo silenzio». Dopo anni di campagne politiche e sociali contro la debolezza del pensiero cattolico che non sa lottare per la giustizia, soprattutto quella sociale, perché affetto dai sentimenti di compassione e di carità, ecco d’improvviso un attacco a «tutti coloro che inneggiano ai valori della compassione cattolica senza mostrare, di umanità, neanche l’ombra». Poi, poche righe dopo aver eccitato emozioni e sentimenti, una nuova giravolta: «Non possiamo arretrare davanti a chi abdica sistematicamente alla ragione per invocare miracoli» (il miracolo sarebbe quello del risveglio di Eluana, lasciato intendere come possibile da una fiction sull’uscita dal coma di un ragazzino, trasmessa su RaiUno).
Il tempo di tornare freddamente razionali ed ecco rispuntare le lacrime dell’indignazione, perché «è un’indecenza accanirsi su una persona così addolorata, così tremendamente provata, così stanca e così sola».
Nel pendolarismo tra ragione e sentimenti la nostra preziosa Concita non deve aver avuto il tempo di guardare i fatti e le sono sfuggiti i vari sondaggi che, con variazioni dal 52 all’83 per cento, schierano la maggioranza degli italiani a fianco del signor Englaro.
Ma non stiamo a fare i precisini, rischieremmo di perderci il capolavoro finale: tutta questa battaglia, questo alternarsi di grida e silenzio, di sentimenti e di freddo diritto è fatto «in nome del padre. Suo padre, un padre, nostro padre, padre nostro». Non è meraviglioso, sottoscritto dalla direttrice del giornale delle battaglie per il divorzio contro l’oppressione del maschio sulla donna, del giornale della celebrazione della vittoria nel referendum sull’aborto contro la schiavitù cui maschi violenti obbligavano il corpo delle donne, del giornale di quella sinistra che dal ’68 in poi teorizza la rivoluzione contro i padri padroni, oppressori, violenti, possessivi, responsabili di tutte le depressioni e i sensi di frustrazione giovanili?
Non è stupendo, dopo quarant’anni di lavoro per cancellare la figura del padre (compresa la dichiarazione della sua inutilità se non ai fini della procreazione, almeno a quelli dell’educazione e della costituzione di una famiglia) vedere la prima pagina del giornale della sinistra italiana intitolata al “Padre nostro”? E il suo editoriale “In nome del padre”? Ti sarebbe mai venuta in mente una bestemmia migliore? C’è sempre da imparare.

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

© Copyright Tempi, 18 novembre 2008

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