sabato 18 aprile 2009

Le università europee e la crisi culturale della modernità: analisi degli interventi di Benedetto XVI (Enrico dal Covolo)


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Le università europee e la crisi culturale della modernità

Emmaus e la sfida della ragione ampliata

È in corso a Uppsala l'incontro del Gruppo di coordinamento della sezione università della Commissione catechesi, scuola e università del Consiglio delle Conferenze episcopali d'Europa. Pubblichiamo stralci di uno degli interventi.

di Enrico dal Covolo

I due discepoli si fermarono un momento "con il volto triste". La crisi dei discepoli di Emmaus corrisponde per molti aspetti alla crisi che viviamo noi oggi. Più precisamente, in riferimento a ciò che qui ci interessa di più, Benedetto XVI constata che le università europee vivono e operano in un contesto di crisi culturale, che è "la crisi della modernità".
Secondo la diagnosi del Papa, tale crisi è causata dalla diffusa adesione a un falso modello di umanesimo, che "pretende di edificare un regnum hominis alieno dal suo necessario fondamento ontologico" (Discorso del 23 giugno 2007).
Pertanto, fedele alla metodologia di Emmaus, il Papa invita gli universitari a studiare in maniera esauriente la crisi della modernità. Ancora una volta, bisogna camminare insieme! È importante avviare il dialogo, e saper ascoltare ("Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi?").
In questa direzione il magistero complessivo di Benedetto XVI offre numerosi spunti di riflessione.
Possiamo riferirci per esempio al terzo capitolo del suo libro Gesù di Nazaret, dove parla delle tentazioni nel deserto.
Le tre tentazioni, spiega il Papa, hanno un "nucleo perverso in comune": si tratta in ogni caso di "rimuovere Dio", stabilendo una falsa gerarchia dei valori. La tentazione - osserva Benedetto - si nasconde sotto "la pretesa del vero realismo. Il reale è ciò che si constata: potere e pane. A confronto, le cose di Dio appaiono irreali, un mondo secondario, di cui non c'è veramente bisogno" (p. 51), e di cui alla fine si può fare tranquillamente a meno.
È importante osservare che con questo tipo di discorso Benedetto XVI non intende minimamente svalutare il progresso scientifico e tecnologico, e neppure i valori terrestri, intramondani - come invece gli è stato rinfacciato da qualche parte -. Fra l'altro, pochi pontefici hanno insistito come lui su alcuni valori, come il rispetto della natura e l'ecologia, per un sano sviluppo del pianeta.
Piuttosto, egli intende ribadire con forza la giusta gerarchia dei valori, per garantire la speranza autentica dell'uomo.
Un mondo che rifiuta Dio come unico assoluto valore, relegandolo nella sfera di un'opzionale pratica religiosa individualistica, precipita fatalmente nel baratro del non senso. I valori intramondani, sganciati dal riferimento all'unico assoluto valore, perdono il loro significato autentico, e - indebitamente assolutizzati - diventano degli idoli, trappole mortali che uccidono la dignità dell'uomo.
Questo è il vero dramma del progresso tecnologico nella società avanzata. Quando esso non è opportunamente relativizzato con un riferimento esplicito ai valori assoluti della persona umana, allora il presunto "progresso" si rivela fallace e dannoso per una crescita globale dell'uomo.
La concezione del mondo come regnum hominis, decisamente rigettata dal Papa, genera una falsa speranza. Essa si appoggia su una lettura della realtà meramente orizzontalista, nella quale trovano spazio solo alcuni valori terrestri, come la pace, la tolleranza, la giustizia sociale, la salvaguardia del creato, senza alcun riferimento a Dio.
È la grande sfida che la modernità nella sua crisi pone al credente: questi valori - perché tali essi sono - quando vengono indebitamente assolutizzati lasciano l'uomo senza salvezza e senza speranza (cfr. Spe salvi).
Viceversa, i valori terrestri sopra elencati trovano il più ampio spazio di crescita e di sviluppo in un mondo disposto a riconoscere il proprio limite, in obbedienza a Dio, che svela all'uomo il vero volto dell'uomo e del mondo, e che indica la verità assoluta di Sé - e dell'uomo - nell'amore di chi è disposto a dare la propria vita per coloro che ama.
I discepoli "lo riconobbero allo spezzare del pane": allora si ricordarono che le Scritture spiegate da lui "avevano fatto ardere il loro cuore". Ciò significa che per giungere all'incontro più pieno occorre realizzare in profondità l'esperienza viva, realissima di Gesù Cristo, unico Signore e Salvatore della nostra vita. Certo, il racconto di Emmaus insiste per questo sui sentieri assolutamente privilegiati dell'ascolto della Parola e della celebrazione dei sacramenti. Ma, in maniera mirata al nostro tema - ferma restando, in ogni caso, l'indicazione fondamentale del vangelo di Luca - il Papa nei suoi due discorsi indica una via per uscire in maniera positiva dalla crisi, e - in definitiva - per vivere "da cristiani in università".
Si tratta in sostanza di ampliare la nostra idea di razionalità, affinché la ragione possa incontrare efficacemente la Verità.
Stando a un tema ricorrente soprattutto nelle catechesi patristiche di Benedetto XVI, già i Padri della Chiesa - cioè i primi maestri della nostra fede, dopo gli scritti del Nuovo Testamento - hanno robustamente ampliato la ragione: hanno "ampliato" il lògos dei Greci, di illustre marca platonico-stoica, per esprimere così il Lògos della predicazione cristiana, la seconda Persona della Trinità beata, il Figlio di Dio divenuto carne nel grembo di Maria, l'unico Salvatore del mondo.
Alle profonde radici di questo ampliamento della ragione sta la scelta netta della fede cristiana primitiva: "La fede cristiana ha fatto la sua scelta netta: contro gli dei della religione per il Dio dei filosofi, vale a dire contro il mito della consuetudine per la verità dell'essere" (Introduzione al cristianesimo, iii; cfr. Discorso del 7 giugno 2008).
Ritornando al nostro oggi, il Papa ci invita a capire che "la crisi della modernità non è sinonimo di declino della filosofia. Anzi la filosofia deve impegnarsi in un nuovo percorso di ricerca per comprendere la vera natura di tale crisi" (era questa la prima istanza), e per "individuare prospettive nuove verso cui orientarsi": ed è precisamente questa la seconda istanza (Discorso del 7 giugno 2008).
Ecco dunque la prospettiva nuova raccomandata da Benedetto XVI: "Il concetto di ragione deve essere "ampliato", perché sia in grado di esplorare e di comprendere quegli aspetti della realtà che vanno oltre la dimensione meramente empirica". E prosegue: "Ciò permetterà un approccio più fecondo e complementare al rapporto tra fede e ragione".
Tale prospettiva, da lui affacciata nel Discorso del 23 giugno 2007, è stata poi ripresa e sviluppata - monograficamente, per così dire - nel successivo Discorso del 7 giugno 2008: di fatto, esso va riletto interamente in questa prospettiva.
A ben guardare, capita qui, nel caso del rapporto tra fede e ragione, qualche cosa di simile a ciò che il Papa stesso insegna in Deus caritas est riguardo alle relazioni tra èros e agàpe: "Quanto più ambedue, pur in dimensioni diverse", scrive il Pontefice nel n. 7 della sua prima enciclica, "trovano la giusta unità nell'unica realtà dell'amore, tanto più si realizza la vera natura dell'amore in genere".
Un po' allo stesso modo, solo una ragione aperta alla fede - una ragione che di fatto approda alla fede, pur nel rispetto delle necessarie distinzioni tra ragione e fede e dei rispettivi itinerari - consente all'uomo di attingere alla verità profonda del suo essere, che è l'Amore. L'uomo infatti è creato "a immagine e somiglianza" di quel Dio, capace di "volgersi contro se stesso" per amore (ivi, n. 12). Questa è la vera "chiave" di interpretazione della storia e dell'esistenza umana.
In fondo, rileva ancora il Papa nel discorso del 23 giugno 2007, "il sorgere delle università europee fu promosso dalla convinzione che fede e ragione cooperassero alla ricerca della Verità, ognuna secondo la sua natura e la sua legittima autonomia, ma sempre operando insieme armoniosamente e creativamente al servizio della realizzazione della persona umana in verità e amore".
Di fatto, solo l'incontro con Gesù Cristo, Verità e Amore, riaccende il cuore a nuova speranza, che non è solo la speranza di questo mondo, ma quella definitiva, dei cieli nuovi e della terra nuova.
Ma non basta ancora. Il progetto della vita nuova, che scaturisce dall'incontro con Cristo, va vissuto e testimoniato nel quotidiano, nell'oggi. È questo il realismo della fede nel quale il Papa individua il contributo fondamentale che la presenza dei cristiani in Università può offrire all'umanesimo del futuro. La Chiesa oggi - afferma infatti Papa Benedetto - è chiamata "a escogitare metodi efficaci di annuncio alla cultura contemporanea del "realismo" della propria fede nell'opera salvifica di Cristo" (Discorso del 23 giugno 2007).
Il cosiddetto "realismo della fede" nel pensiero di Papa Ratzinger si fonda sul fatto che al centro della nostra fede non sta un insieme di asserti teorici, ma l'incontro realissimo - proprio come a Emmaus - con una Persona, Gesù di Nazaret, il Salvatore. Così il medesimo realismo della fede si oppone a una visione meramente intellettualistica e astratta di Dio.
In questo, il Papa dipende dai suoi maestri prediletti, che sono i grandi scrittori e dottori della Chiesa, da Origene ad Agostino, fino a san Bonaventura. Per tutti loro, la forma più alta della conoscenza è l'amore.
L'esperienza vera, "reale" di Gesù Cristo - spiega ancora il Papa - non si può limitare alla semplice sfera intellettuale. Essa "include anche una rinnovata abilità: (...quella) di lasciarci entusiasmare dalla realtà, la cui Verità si può capire (solo) unendo l'amore alla comprensione".
Il "realismo della fede" si esprime anzitutto nei santi, testimoni privilegiati della Verità e dell'Amore. Ma un vibrante appello alla testimonianza il Papa lo rivolge a tutti i credenti, e in particolare - fra di loro - ai professori universitari, che sono "chiamati a incarnare la verità della carità intellettuale, riscoprendo la loro primordiale vocazione a formare le generazioni future non solo mediante l'insegnamento, ma anche", appunto, "attraverso la testimonianza profetica della propria vita".
In tale prospettiva, oltre a riprendere il discorso dei "laboratori" della cultura e della fede, il Papa auspica "una rete attiva di operatori universitari impegnati a portare la luce del Vangelo alla cultura contemporanea" (Discorso del 23 giugno 2007).

(©L'Osservatore Romano - 18 aprile 2009)

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