sabato 21 novembre 2009
A colloquio con Bruno Cagli, tra gli invitati all'incontro del Papa con gli artisti: Non si può abbandonare la musica sacra all'improvvisazione (O.R.)
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INCONTRO DEL SANTO PADRE CON GLI ARTISTI: LO SPECIALE DEL BLOG
A colloquio con Bruno Cagli, tra gli invitati all'incontro del Papa con gli artisti
Non si può abbandonare la musica sacra all'improvvisazione
di Marcello Filotei
Certe volte le cose entrano nel mito per una dimenticanza. È il caso del convegno che si tenne nel 1985 all'abbazia di Fossanova sul tema "Musica sacra nella società attuale", uno di quegli eventi che chiunque si occupi dell'argomento si sente continuamente citare da quanti hanno avuto la fortuna di assistervi. Purtroppo non esistono gli atti, e questa è la dimenticanza, ma la lista dei partecipanti è di un livello talmente alto che non si fa fatica a credere che le mirabolanti ricostruzioni siano veritiere. Tra i promotori di quell'iniziativa c'era anche Bruno Cagli, musicologo, scrittore e attuale presidente dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia, tra gli invitati il 21 novembre all'incontro del Papa con gli artisti.
Come era 35 anni fa il rapporto tra sacro e musica?
Molto dinamico, ma in un clima di disattenzione da parte delle autorità ecclesiastiche, nel senso che si era aperti a molti esperimenti, ma la riflessione sul sacro in musica era abbastanza limitata. Ad esempio quando organizzavo in quegli anni la messa per la festa di santa Cecilia ci tenevo che fosse cantata in latino. A chi mi chiedeva di scegliere una versione in italiano rispondevo che in repertorio si trovano centinaia di capolavori in latino, mentre ben poco di quel livello è reperibile in volgare. La sproporzione deriva dal fatto che nel passato scrivere musica sacra era un obbligo sociale. Ora non è più così, e questo è un grande vantaggio perché chi oggi affronta la musica sacra lo fa con consapevolezza e per libera scelta. Questo può migliorare sensibilmente il rapporto tra il compositore e il sacro.
In primo luogo, dunque, comprendere a pieno la tradizione.
La discussione aperta nel 1985 si basava su differenti interpretazione dei capolavori del passato. Alcuni consideravano troppo teatrali alcune opere come la Messa da Requiem di Verdi o lo Stabat Mater di Rossini, perché avrebbero utilizzato delle tecniche provenienti dalla lirica. Uno degli atteggiamenti compositivi più avversati era l'uso dei melismi, volute melodiche che secondo alcuni sarebbero state di derivazione pagana. Io ho combattuto questo equivoco perché penso che la visione vada ribaltata. Sono stati i canti alleluiatici a introdurre i melismi nella musica occidentale, solo dopo sono stati ripresi dall'opera. Quindi così come il rapporto del compositore con il sacro è oggi una scelta molto più avvertita che nei secoli scorsi, il rapporto con il repertorio sacro deve essere più consapevole e va rivisto.
In che modo?
Con un'ampiezza di vedute che restituisca la possibilità di eseguire le composizioni del passato con le particolarità stilistiche che qualche falso purista ha cercato di obliare. Per esempio Rossini viene accusato di portare in chiesa atteggiamenti teatrali, quando invece fa esattamente il contrario. Per esempio utilizza nelle opere buffe lo stile "a cappella", proveniente dalla musica sacra.
Insomma, chi ha influenzato chi?
L'influenza autentica è quella della tradizione sacra su quella profana, il contrario non è mai accaduto. La tradizione sacra è all'origine della musica occidentale, anche di quella teatrale che è nata molto tempo dopo e non poteva che fare riferimento a quella storia. Su questi argomenti, per migliorare la qualità delle esecuzioni di oggi, sarebbe utile una apertura da parte dei musicologi.
Quindi un malinteso purismo piuttosto che rinverdire gli stili esecutivi del passato ha finito per appiattire il livello delle esecuzioni?
L'approccio filologico deve essere avvertito e intellettualmente aperto se non vuole rischiare di diventare controproducente. Allo stesso tempo non si può abbandonare il sacro all'approssimazione. Mi è capitato qualche anno fa di entrare il giorno di san Francesco nella basilica dei Frari a Venezia e di uscirne perplesso. In una chiesa dove ci sono capolavori figurativi immortali ascoltare musica di basso livello, inadatta al luogo e al testo intonato, era fastidioso.
Accertato che portare il rock in chiesa non corrisponde a un atteggiamento attento alla modernità, cosa significa andare avanti in questo ambito musicale?
Affrontare un rapporto con il testo che sia dinamico, aperto dal punto di vista stilistico, ma rigoroso. Nessuno può immaginare che Verdi o Rossini affrontassero il sacro senza rigore stilistico pur utilizzando le novità del linguaggio del loro tempo.
Quali compositori si stanno misurando oggi in questo modo con il sacro?
Ce ne sono diversi e Arvo Pärt è uno di questi. Nel 2000 sono stato io a proporre di commissionare proprio a lui un lavoro su Santa Cecilia. L'idea è stata poi accolta dal Comitato per il Giubileo e ne è nato un lavoro molto interessante che ha fatto il giro del mondo. Pärt è attentissimo al recupero della tradizione, la fa con rigore ma in maniera personale e a un livello intellettuale alto. La musica sacra deve essere necessariamente dotta, perché elevato è il testo che utilizza. Questo non significa che non può essere divulgata e divulgativa, ma che deve essere affrontata con rigore. Raffaello nel dipingere l'Estasi di santa Cecilia ha indicato tre gradi di comunicazione: in alto il canto con gli angeli, al centro l'organo nelle mani della santa, ai piedi di Cecilia la musica profana. Tutto qui.
(©L'Osservatore Romano - 21 novembre 2009)
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