mercoledì 4 novembre 2009

Crocifisso a scuola: Un grave "no" culturale. Alle radici della sentenza della Corte europea (Campoleoni)


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CROCIFISSO A SCUOLA - Un grave "no" culturale

Alle radici della sentenza della Corte europea

Alberto Campoleoni

E adesso arriva anche la Corte europea dei diritti dell’uomo. L’organismo di Strasburgo ha stabilito che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche costituisce una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni, una violazione, anche, della libertà di religione, una situazione anomala e incompatibile con la laicità dello Stato.
La Corte argomenta su diversi piani accogliendo il ricorso di una cittadina italiana che aveva già interpellato la magistratura del nostro Paese contestando l’esposizione del crocifisso nelle aule frequentate dai suoi figli, in una scuola di Abano Terme. In Italia la questione si era risolta, in sostanza, ribadendo il valore del crocifisso come simbolo culturale, oltre che religioso, segno di identità e di principi che fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, in nessun modo “obbligante” ad una fede. Un simbolo, in qualche modo, della stessa laicità che si vorrebbe invece violata.
Adesso la Corte europea ribalta la questione e vede nell’esposizione del crocifisso un pericolo per la libertà religiosa, un segno di maggiore vicinanza dello Stato ad una religione particolare rispetto ad altre, un guaio per la libertà di educazione perché caratterizzerebbe l’ambiente scolastico in senso cristiano, “impressionando” i più piccoli.
Lasciamo ai giuristi il commento puntuale della sentenza della Corte europea, contro la quale, peraltro, il governo italiano ha già dichiarato di voler ricorrere. Va considerato, però, che l’orientamento espresso da Strasburgo, in realtà, non stupisce più di tanto. Esiste da tempo, in Europa, un orientamento culturale contrario alla religione e al cristianesimo in particolare. Un orientamento laicista diffuso, anche e forse soprattutto all’interno delle Istituzioni europee che individua nelle appartenenze religiose e nella manifestazione dei simboli religiosi un “pericolo” per la società. Ci si fa scudo dei temi della libertà di coscienza e della laicità, appunto, per promuovere, invece, una reale discriminazione.
Non è un caso che, nel 2007, chiudendo la ricerca europea sull’insegnamento della religione nel Continente, promossa dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa, con il sostegno della Conferenza episcopale italiana, i delegati delle diverse Chiese europee segnalavano tra l’altro, nel documento finale, la presenza in Europa di un “clima culturale” sfavorevole, preoccupato di relegare la religione nel solo ambito del privato. Questo clima, crediamo, deve preoccupare più dei crocifissi esposti nelle scuole, luoghi peraltro dove dialogo e confronto, cioè i “meccanismi” principali dell’istituzione, sarebbero in grado di neutralizzare anche eventuali improprie imposizioni alle coscienze.

Sir

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