sabato 31 gennaio 2009

Negatori della Shoah con artigli di carta: monumentale articolo di Franco Cardini


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Su segnalazione di Syriacus, che ringraziamo di cuore, leggiamo:

Negatori della Shoah con artigli di carta

di Franco Cardini

Le esternazioni di monsignor Williamson, immediatamente stigmatizzate con fermezza sia dalla Santa Sede, sia dalla stessa comunità lefebvriana di cui egli fa parte, hanno ovviamente ricondotto in primo piano le polemiche relative ai cosiddetti «revisionismo» e «negazionismo».
Al riguardo, le voci che si sono levate sono state particolarmente severe. La deputata Fiamma Nirenstein ha affermato che «il negazionismo copre un antisemitismo genocida» che «non è più un vezzo da intellettuali, ma una minaccia guidata in primis dall’Iran di Ahmadinejad (che sta costruendo l’atomica)», e che «vuole distruggere il popolo ebraico» (in «Liberal» del 29.1). Da parte sua Gad Lerner ha chiamato in causa, a proposito di Williamson, l’intera Chiesa cattolica che si ostina a distinguere tra l’antigiudaismo cristiano e l’antisemitismo nazista, sottolineando come il vescovo tradizionalista sia «il prodotto degenere di una corrente di pensiero più vasta» («la Repubblica», 29.1).
Sono solo due voci, che cito non solo perché appartengono a due ebrei, ma anche perché si tratta di miei vecchi amici personali. Dissento quindi da loro totalmente, ma cordialmente.

E noto con dispiacere che i cattolici hanno detto cose ancora più gravi e più inesatte, fino a giungere a conclusioni deliranti: un vescovo tedesco ha potuto spingersi fino ad accusare il collega Williamson di «blasfemia».

Ora, che un prelato esprima pareri storici impegnativi e lo faccia molto alla leggera, è un conto (difatti il Vaticano gli ha opportunamente imposto di tacere); che così facendo addirittura bestemmi, è comunque improponibile.
Voglio dire che non bisogna perdere la calma. Ormai da anni assistiamo a una pericolosa confusione di piani e di giudizi. Le parole «revisionismo» e «negazionismo» sono divenute due deterrenti, usando i quali si sono addirittura messi insieme personaggi molto eterogenei tra loro: quali Ernst Nolte, uno storico illustre; David Irving, personalità strana e inquietante ma studioso di valore e autore si ricerche apprezzate (attualmente è in prigione in Austria per un delitto d’opinione); e tipi come Robert Faurisson, che possono essere anche sospettati di monomanìa ma ha fatto sul sistema concentrazionario nazista rilievi interessanti, per quanto inquinati poi da una poco coerente assoluzione globale dell’hitlerismo dall’accusa di genocidio.
Ora, debbono esser chiare alcune cose.
Primo: la shoah è una realtà immensa, spaventosa e incontrovertibile, comprovata da documenti e testimonianze che possono senza dubbio venir riconsiderati e all’interno dei quali possono anche trovarsi errori e perfino falsificazioni, che tuttavia non sposterebbero praticamente di nulla le enormi responsabilità di chi tali delitti concepì e attuò e di chi ne fu esecutore o complice.
Secondo: la shoah può e dev’essere oggetto di studio attento e spregiudicato come qualunque altro avvenimento storico; e se nel corso delle ricerche avvenga d’imbattersi in errori, falsificazioni, valutazioni inesatte sul numero delle vittime o altro, è dovere degli studiosi segnalarlo e della società civile accogliere criticamente tali rilievi.
Terzo: dando per scontato che qualche fanatico antisemita possa travestirsi da studioso per screditare la causa ebraica o quella israeliana togliendo credito alla shoah, la comunità dei ricercatori professionisti ha tutti gli strumenti per smascherarlo.
Quarto: premesso il punto precedente, nessuno può essere autorizzato a istituire un processo alle intenzioni contro chi s’impegni nello studio della shoah dando per scontato che questo o quell’eventuale ridimensionamento di alcuni episodi che la riguardano sia frutto di disonestà e di preconcetto antisemitismo. Quinto: è inaccettabile, nonostante sia già accaduto in alcuni paesi, che si stabilisca per legge un’interpretazione «canonica» e «definitiva» della storia, dichiarando crimine qualunque deroga da essa; ciò corrisponde a un intollerabile attentato alla libertà di pensiero (in seguito a queste leggi aberranti si sono arrestati in Austria David Irving e in Germania non solo il sessantasettenne Ernst Zuendel, ma perfino la sua legale, avvocatessa Sylvia Stolz).

Ma a questo punto si profila una realtà allarmante. Lo si chiami come si vuole, ormai il «revisionismo» sta facendo breccia; cresce il numero di chi non osa ammetterlo, ma viene impressionato e turbato da certe argomentazioni. E sapete perché? Per il fatto che se ne perseguitano i sostenitori e che li si condanna senza dar loro il diritto di parlare e senza controbattere.

Ma in questo modo si crea nell’opinione pubblica la crescente sensazione che se ne abbia paura, e che essi stiano dicendo cose vere: e questo sì può costituire la premessa a una nuova ondata di pregiudizio antisemita.

Io credo che «revisionismo» e «negazionismo» siano tigri di carta.

A me non interessa che il vescovo Williamson subisca sanzioni o condanne. Desidero che mi dimostri quanto afferma con prove documentarie certe, se può. Lo faccia davanti a una commissione di esperti scelta con criteri sicuri. O taccia e si vergogni. Questo è il solo modo per cancellare per sempre i calunniatori della shoah. Israele e il mondo ebraico hanno tutto l’interesse a imporre questo confronto: che sarebbe, anche massmedialmente, un formidabile spettacolo. Che cosa stiamo aspettando?

© Copyright Gazzetta del Mezzogiorno, 31 gennaio 2009 consultabile online anche qui.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Grande!
Negare sarebbe assurdo, ridurre la gravità del giudizio sarebbe folle e malvagio, ma approfondire ed eventualmente rettificare qualche dato è semplice studio storico.
Non si può difendere il metodo scientifico a corrente alternata.
Anche laddove ci fosse da rivedere qualche numero al ribasso, non cambierebbe nulla circa il giudizio, visto che basta una sola foto dell'olocausto per far gridare i cuori di orrore e tutti abbiamo visto quei bambini senza carne e quelle persone accatastate come rifiuti, precipitando in fondo all'anima davanti allo spavento e al ribrezzo del male che si annida nell'umanità, nella nostra umanità.

Anonimo ha detto...

Buon articolo, nel complesso, questo di Cardini.

Però non risulta che il "Vaticano" abbia ingiunto a Williamson di tacere. Ha preso le distanze, in modo quanto mai chiaro e preciso. Semmai è stato Fellay a imporgli ufficialmente il silenzio, oltre al buon senso. E il "Vaticano" ha sicuramente apprezzato.

David Irving, in realtà, non è più in prigione dal 2006, liberato dopo la condanna per reato d'opinione.

Nell'enfasi di Cardini sull'idea della gogna mediatica poi, fosse anche per uno sprovveduto negazionista, ci vedo un qualcosa di inutilmente sadico e persecutorio.
Lo si confuti in un sereno e pacato dibattito, con la forza della verità, delle prove disponibili e delle dolorose testimonianze di chi ha visto.
Questa sarebbe la vera vittoria. Senza inutile acredine.

Anonimo ha detto...

Temo - ahimé! - che la posizione ragionevole del Cardini (Toscano verace, e quindi non avvezzo ai peli linguali, oltre che storico serio) subirà una prevedibile sorte:
o la stigmatizzazione, oppure (se il personaggio è un 'osso duro') la censura e il passaggio sotto silenzio totale.
Purtroppo, sull'"Olocausto" non si può più non dico parlare, ma nemmeno cercare di ragionare. E' stato preso in ostaggio da alcune fazioni di interessi politici particolari, e la comunità scientifica intera viene tenuta con la rivoltella alla nuca, dovesse mai andare 'fuori dal seminato'.
E le implicazioni di questo stato di cose sono gigantesche, non si fermano solo alla scienza decurtata e imbavagliata, e alla questione palestinese. Esse toccano tutti noi, a cominciare dal mondo dei credenti. Per condannare il Nazismo (e chi si ripresenti con idee anti-umane) non abbiamo bisogno di aderire a questa 'seconda Fede' che è diventata l'Olocausto. Ci basta condannare lo spirito scientista che brama l'eugenetica e l'eutanasia, e che si sta ripresentando ancora oggi nonostante tutti i "Mai più!" e gli slogan auschwitziani.