domenica 19 aprile 2009

Benedetto XVI, quattro anni al servizio della verità: dal primo Messaggio nella Cappella Sistina alla storica lettera ai vescovi (Rosoli)


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Benedetto XVI, quattro anni al servizio della verità

Il 19 aprile 2005 Joseph Ratzinger veniva eletto Papa. Fra le sue priorità indicò l’attuazione del Vaticano II, l’impegno per la «piena e visibile unità» dei cristiani, il dialogo con l’ebraismo e le altre fedi

DI LORENZO ROSOLI

«Nell’intraprendere il suo mi­nistero il nuovo Papa sa che suo compito è di far risplen­dere davanti agli uomini e alle donne di oggi la luce di Cristo: non la propria luce, ma quella di Cristo», scandiva mercoledì 20 aprile 2005 Benedetto XVI nel suo pri­mo messaggio, al termine della Messa nel­la Cappella Sistina con i cardinali che il giorno prima lo avevano eletto.
Sono pas­sati quattro anni da quelle ore memorabili che videro il successore di Karol Wojtyla additare fra i cardini del proprio pontifica­to l’attuazione del Vaticano II, l’impegno per la «piena e visibile unità» dei cristiani, il «dialogo aperto e sincero» con gli ebrei, con i fedeli di altre religioni, con i non cre­denti appassionati al «vero bene» dell’uo­mo e della società.
«Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore», aveva detto con voce commossa il giorno precedente, mar­tedì 19 aprile 2005, benedicendo i fedeli che affollavano piazza San Pietro.
«Mi con­sola il fatto – aveva aggiunto – che il Signo­re sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vo­stre preghiere».
Una richiesta che avrebbe rinnovato pochi giorni dopo, domenica 24 aprile, nella Messa per l’inizio del ministe­ro petrino.
Già lunedì 18 aprile l’allora de­cano del Collegio cardinalizio Joseph Rat­zinger, nella Missa Pro Eligendo Romano Pontifice, aveva chiamato alla preghiera perché la Chiesa potesse ricevere, dopo Wojtyla, com’era stato con Wojtyla, il dono di un pastore «secondo il cuore» del Signo­re.
Per annunciare a tutti che «incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio». E che «quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferen- za». E che di fronte alla crescente «dittatu­ra del relativismo» possiamo trovare nel «Figlio di Dio, il vero uomo», la «misura del vero umanesimo».

Un «apostolo» fra le genti

Quattro anni dopo quelle espressioni pos­sono essere d’aiuto per rileggere – senza pretesa alcuna di esaustività – gli ultimi dodici mesi di pontificato di Ratzinger.
Dodici mesi intensissimi.
Che hanno in­trecciato momenti di vera gioia con altri di prova e di sofferenza. Ma sempre per far ri­splendere la «luce di Cristo». L’Anno Paoli­no, aperto il 28 giugno 2008 con Bartolo­meo I e gli esponenti di altre Chiese e co­munità ecclesiali.
Il Sinodo sulla Parola di Dio, nell’ottobre scorso, che ha chiamato in Vaticano al reciproco ascolto non solo vescovi da tutto il mondo ma anche il pa­triarca ecumenico di Costantinopoli e un rabbino.
I quattro grandi viaggi internazio­nali: negli Stati Uniti e all’Onu (15-21 aprile 2008); a Sydney, in Australia (12-21 luglio 2008), per la Giornata mondiale della gio­ventù; in Francia (12-15 settembre), a Pari­gi e poi a Lourdes, nel 150° delle apparizio­ni mariane; in Camerun e in Angola (17-23 marzo 2009), la «prima» di papa Ratzinger in Africa.
Le quattro visite pastorali in Ita­lia: a Savona e Genova (17-18 maggio 2008), a Santa Maria di Leuca e Brindisi (14-15 giugno 2008), a Cagliari (7 settem­bre 2008) e a Pompei (19 ottobre 2008).

La misericordia e la chiarezza

Fra tante occasioni gioiose, una vicenda che voleva essere un «gesto discreto di mi­sericordia », mentre invece è stata accolta, non da pochi, anche dentro la Chiesa, con inquietudine e perplessità: la remissione (con decreto del 21 gennaio 2009) della scomunica ai quattro vescovi consacrati nel 1988 dall’arcivescovo Lefebvre. Una vi­cenda che si è sovrapposta col «caso Wil­liamson », dal nome del presule lefebvriano negazionista, e con precedenti polemiche legate alla preghiera pro Judaeis del Ve­nerdì santo secondo il rito antico. Bene­detto XVI, dolorosamente colpito dalle ac­cuse di voler tornare indietro, a prima del Vaticano II, e di rimettere in discussione il dialogo con gli ebrei, ha saputo offrire una «parola chiarificatrice» con un gesto co­raggioso e inedito: una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica (10 marzo 2009) in cui ha spiegato respiro, obiettivi e limiti della remissione della scomunica. Parole lucide e accorate per ribadire la sua solle­citudine verso l’unità e la riconciliazione, assieme alla priorità che interpella il mini­stero petrino e la Chiesa intera: «rendere Dio presente in questo mondo» e «aprire agli uomini l’accesso a Dio», in tempi in cui «in vaste zone della terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più nutrimento».

La richiesta di preghiera e consiglio

A turbare e addolorare il Papa non furono solo talune ostinazioni e opposizioni rei­terate dalla Fraternità San Pio X riguardo all’accoglienza del Vaticano II e del suc­cessivo magistero dei Pontefici – fin qui poco di nuovo sotto il sole – ma anche al­cune aspre reazioni scaturite dall’interno della comunità ecclesiale che Ratzinger stigmatizzò con accorata severità visitan­do il Seminario Romano Maggiore il 20 febbraio scorso, quando denunciò quegli atteggiamenti di arroganza e superbia che lacerano la Chiesa riducendola a «carica­tura » di se stessa.
Non meno accorate le parole con cui – all’Angelus del 22 feb­braio, festa della Cattedra di San Pietro – chiese ai fedeli di accompagnare nella preghiera il suo servizio alla comunione e all’unità della Chiesa, così come quelle pronunciate il 29 marzo nella parrocchia romana del Santo Volto alla Magliana, quando disse che «il consiglio è un dono dello Spirito Santo e un parroco, tanto più un Papa, ha bisogno di consiglio, di essere aiutato nel trovare le decisioni».

Alla radice del vero umanesimo

Quelle parole non sono cadute nel vuoto.
Numerose sono state negli ultimi mesi le espressioni di solidarietà giunte da vesco­vi, associazioni, movimenti, semplici fe­deli, oltre che da autorevoli esponenti del mondo ebraico. Accoglienza gioiosa della sua persona e del suo insegnamento, spesso oltre le aspettative, sono emerse proprio durante i viaggi che – spiegò il Pa­pa nel discorso alla Curia romana del 22 dicembre 2008 – offrono la possibilità di rendere «pubblicamente percepibile» non solo la Chiesa ma anzitutto «la questione su Dio» e la sua «presenza» nell’«attuale o­ra della storia». Occasioni per ribadire il fondamento inviolabile della dignità u­mana che trascende la pluralità delle cul­ture, come fu nel discorso alle Nazioni U­nite. Per riscoprire le radici della gioia au­tentica, dono dello Spirito, come avvenne a Sydney con i giovani di tutto il mondo.
Per rilanciare il «messaggio di conversione e di amore che si irradia» da Lourdes e a­pre le persone e i popoli a relazioni di fra­ternità; per additare – come fece a Parigi – il senso di una «sana laicità» e il ruolo del­la religione quale «solido fondamento per la costruzione di una società più giusta e più libera» (discorso agli ambasciatori, 8 gennaio 2009). Per incoraggiare i popoli – come fece in Africa – alla riconciliazione, alla giustizia, alla democrazia, alla tutela della vita, alla scoperta della pienezza e autenticità dell’amore tra l’uomo e la don­na. Parole che nemmeno le incompren­sioni e le polemiche sulle affermazioni del Papa in materia di prevenzione dell’Aids sono riuscite a spegnere.
Ratzinger, si rammenterà, ad una domanda dei giornalisti con lui sull’aereo, aveva detto come per superare il problema dell’Aids non ba­stano i soldi, «pur necessari», né la «distri­buzione di preservativi»; la via è invece l’«umanizzazione della sessualità», insie­me alla «vera amicizia» con le «persone sofferenti». Educare. E prendersi cura. Pa­role che hanno scatenato polemiche, so­prattutto in Occidente. E consenso, a par­tire dall’Africa e da vasti, autorevoli settori della comunità scientifica.

Ora in Abruzzo e in Terra Santa

Se nei viaggi si manifesta con maggiore e­videnza il respiro universale del suo magi­stero, vi sono poi le innumerevoli occasio­ni di magistero «ordinario» offerte nelle u­dienze, catechesi, omelie, Angelus, lettere, incontri pubblici e privati che strutturano la fitta «agenda» del Papa e che lo hanno visto toccare temi cruciali – dal valore del­la vita alla salvaguardia del creato, dalla li­bertà religiosa alla lotta alla povertà; dalla relazione fede-ragione alle sfide della se­colarizzazione, del materialismo, del ni­chilismo; dagli orizzonti della «legge natu­rale » ai destini della democrazia e alle re­sponsabilità della scienza di fronte all’i­dentità profonda dell’umano...
Così è sta­to con le riflessioni offerte durante l’ulti­mo Triduo pasquale – la gioia della Risur­rezione, la sua «realtà storica», la «luce» del Risorto per un’umanità disorientata...
Lontana dallo sguardo dei media c’è poi la quotidianità fatta di preghiera, studio, col­loqui, decisioni da prendere, lavoro oscu­ro e nascosto – com’è la gestazione della terza enciclica dedicata ai temi sociali.
Tutto perché possa risplendere «non la propria luce, ma quella di Cristo». Che fra pochi giorni, il 28 aprile, il Papa recherà all’Abruzzo ferito dal sisma. E che a mag­gio attingerà nella stessa terra del Nazare­no, dove sarà pellegrino di pace e di ricon­ciliazione.

© Copyright Avvenire, 19 aprile 2009

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