giovedì 1 ottobre 2009

Il Cristianesimo alla base dello Stato liberale. I diritti umani? Prima non c'erano (Marcello Pera)


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Il cristianesimo alla base dello Stato liberale

I diritti umani? Prima non c'erano

Pubblichiamo un estratto della relazione introduttiva del convegno "I quesiti del futuro: religione e cultura politica", organizzato dalla Fondazione Adenauer di Roma e dal Centro di Studi Europei di Bruxelles e tenutosi presso la Pontificia Università Gregoriana.

di Marcello Pera

I diritti umani sono (dovuti a, basati su) una scelta morale. Mai come in questo caso, è la morale che fonda il diritto. Se si scrive in una legge giuridica che gli uomini sono tutti uguali, è perché si crede che esista una legge morale che stabilisce che gli uomini devono essere tutti uguali. È la legge morale che dà forza ai nostri diritti fondamentali. È la legge morale che li rende intangibili. È la legge morale che li rende universali.
Quale legge morale? Questa è una domanda che la cultura politica europea oggi non si fa più, anche se la sollevò sessanta anni fa al momento dell'uscita dalla barbarie nazista e un po' la ripeté al crollo del comunismo. Se se la facesse, troverebbe proprio nella storia europea la risposta adatta. Perché, sì, noi siamo figli della cultura greca, ma non è nella Grecia che è nata l'idea dell'uguaglianza di tutti gli uomini rispetto ai loro diritti, del cittadino della polis come del barbaro. Siamo eredi della tradizione romana, ma non è a Roma che si predicava che gli uomini sono tutti uguali, il civis romanus quanto lo schiavo o il liberto. Siamo, alcuni, anche un po' mescolati con la tradizione araba, ma non è nell'islam che il rispetto di tutti, credenti e infedeli, uomini e donne, è un principio religioso fondamentale. No. La legge morale da cui dipende la cultura dei diritti umani è la legge morale cristiana.
Perché lo è? Perché nel cristianesimo, e più in generale nella tradizione biblica, l'uomo è creato a immagine di Dio. E se l'uomo rispecchia Dio fino a essere fatto come lui, allora ogni uomo è una persona, è figlio di Dio, fratello di ogni altro uomo, membro della stessa famiglia. Questa filiazione - un'autentica genealogia concettuale - la spiegò bene, a quelli che già la sapevano e a quelli che non volevano saperla più, Giovanni Paolo ii in una sua Esortazione apostolica del 2003 non a caso intitolata all'Europa. Egli disse: "Dalla concezione biblica dell'uomo, l'Europa ha tratto il meglio della sua cultura umanistica, ha attinto ispirazione per le sue creazioni intellettuali e artistiche, ha elaborato norme di diritto e, non per ultimo, ha promosso la dignità della persona, fonte di diritti inalienabili" (Ecclesia in Europa, 25). E aggiunse: "Certamente non si può dubitare che la fede cristiana appartenga, in modo radicale e determinante, ai fondamenti della cultura europea. Il cristianesimo, infatti, ha dato forma all'Europa, imprimendovi alcuni valori fondamentali. La modernità europea stessa che ha dato al mondo l'ideale democratico e i diritti umani attinge i propri valori dalla sua eredità cristiana" (ibidem, 108).
Ecco allora una risposta alla nostra domanda. La scelta morale che sta alla base dei diritti umani è la scelta morale cristiana. E qui sarebbe inutile ripetere una risposta a chi non capisce o finge di non capire: non è un'obiezione che la Chiesa cattolica abbia impiegato quasi due millenni per proclamare formalmente i diritti umani, o che molti prelati di casa nostra pongano ancora mano all'aspersorio al solo sentir parlare di liberalismo (mentre si inginocchiano quando sentono dire di democrazia, socialismo, umanismo, e così via). Il punto è concettuale. Come siamo d'accordo che, se si toglie il cristianesimo, non si spiega l'Europa, allo stesso modo dovremmo essere d'accordo nel dire che, se si toglie la morale cristiana, si toglie anche il fondamento dei nostri Stati liberali.
È qui che il secolarismo odierno sbaglia. Nella sua versione corrente, esso intende negare il valore positivo della religione cristiana, oppure eliminarla dalla cultura politica, oppure attribuirle solo un valore consolatorio nel foro privato. Sembrano due omaggi ai princìpi della tolleranza e della cittadinanza, invece sono due errori.
Il primo errore riguarda le conseguenze di questo secolarismo. Se è vero che il fondamento del nostro Stato liberale è una scelta morale cristiana, e se è vero che lo Stato liberale è uno Stato secolare, allora, come ho già detto, senza quel fondamento, si mette a rischio lo stesso Stato liberale e secolare. Esso diventa una cittadella senza guarnigione: come si potrebbe sostenerlo e difenderlo?
Il secondo errore riguarda la mancanza di comprensione di sé da parte del secolarismo. Ho citato le due principali ragioni addotte a sua difesa. Limitiamoci alla tolleranza. Con quale argomento fu introdotta, ad esempio da John Locke, questa idea e con quale argomento la si difende pure oggi? Con l'argomento che il magistrato civile, l'autorità politica, non è competente sulle questioni di coscienza. Ma perché l'autorità politica dovrebbe disinteressarsi della religione dei suoi cittadini? Non ha forse interesse a tenerli uniti? Non ha forse l'obbligo di usare la forza contro chi volesse trasgredire le norme della convivenza adducendo convincimenti religiosi? Non è tenuta a giudicare quale religione di quale gruppo è meglio confacente all'ordine che essa deve tutelare?
No, non è pragmatico l'argomento a favore della tolleranza. L'argomento vero è che l'uomo è contemporaneamente due cose: è coscienza riflettente e animale razionale e sociale. Più precisamente, è anima e corpo. Come anima, l'uomo è in contatto con il suo Dio, a lui solo risponde e di fronte a lui soltanto si fa testimone della propria fede e responsabile dei propri atti. Come corpo, è un cittadino, è sottoposto all'autorità politica e a essa deve obbedienza. L'anima è di Dio, il cittadino è dello Stato. Questo, chiaramente, è un argomento religioso, più precisamente è la concezione religiosa cristiana del "dare a Dio e dare a Cesare", della separazione fra Stato e Chiesa. È da questa concezione che nasce la tolleranza: Cesare non può entrare nel rapporto che l'uomo ha con Dio e perciò Cesare deve rispettare, essere tollerante, con ogni cittadino. E così deve essere ogni uomo rispetto a ogni altro.
Per precisare e chiudere su questo punto. L'idea della tolleranza politica presuppone una teologia politica cristiana (esattamente come, per dirla in breve, l'idea della tolleranza scientifica, cioè l'idea che la sfera della scienza non interferisce con la sfera della fede, presuppone la metafisica cristiana di Galileo e altri, secondo cui Dio è autore e del libro della natura e del libro della Scrittura). Non a caso l'idea della tolleranza nasce in Europa da grandi pensatori cristiani - con la sola eccezione, ma complicata, di Spinoza - almeno a partire da Sebastian Castellio (De haereticis an sint persequendi, 1544) fino ai sommi Locke e Kant. Se il secolarismo oggi nega qualunque rapporto fra politica e religione, nega anche il fondamento di quella stessa tolleranza che vuole promuovere e finisce col distruggere se stesso. È esattamente la parabola dell'Illuminismo: nato come movimento di liberazione, si è liberato delle vecchie gerarchie sociali e intellettuali, comprese quella della Chiesa, poi si è liberato anche di Dio, e alla fine ha perduto se stesso.

(©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2009)

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