sabato 7 novembre 2009

Caro Gesù, chi vuol cancellarti ha già perso (Il Giornale)


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Caro Gesù, chi vuol cancellarti ha già perso

di Redazione

Caro Gesù, hanno provato a cacciarti di nuovo.
A condannarti, farti sparire di nuovo. Come duemila anni fa, chissà perché, il primo moto di insofferenza, la denunzia che porta alla rimozione forzata della tua morte (come se la tua croce fosse un’auto parcheggiata pericolosamente in seconda fila), vengono da una città famosa per le Terme. Non più Roma, ma Abano, dove, peraltro - è giusto tu lo sappia - i nuovi senatori e onorevoli della capitale giungono sovente a sguazzare e a rilassarsi tra fontane di idromassaggi e tappeti di fango salutare, magari in compagnia di famigliari, amici e amanti di vario tipo, visto che i soggiorni termali sono tranquillamente rimborsabili grazie alle tasche di noi contribuenti.
Vado spesso anch’io alle Terme di Abano e Montegrotto (naturalmente pagando di tasca mia, fino all’ultimo, salatissimo euro); dolori alla schiena, irrigidimenti del collo, vertigine dei cervicali. Niente in confronto a quello che hai patito tu.
Eppure in nessun posto, come in quelle piscine, ti ho incontrato così di frequente. Perché, dietro allo smeriglio lussuoso delle insegne dei bar, ristoranti, hotel di lusso, discoteche per ogni età, esiste un’umanità lacerata e dolente; un popolo di vecchi con i giorni oramai scaduti, di disabili con i giorni scaduti da quando sono nati, di malati terminali che si aggrappano alla vita con la stessa commovente ostinazione che tiene le loro mani tremolanti incollate ai bordi delle piscine.
Sono «i dannati» delle vita che, come un informe, obliquo mantello, ti venivano dietro ovunque; ti seguivano ad ogni passo, in un numero infinito, pronti a reclamare un tuo gesto di misericordia, il miracolo che riscattasse la loro disgrazia, l’abbraccio finale capace di liberare il male più atroce. Sono ancora gli stessi di allora; e forse, immergendo l’animo provato e la carne straziata dentro il vortice quieto e caldo dell’acqua, hanno l’illusione di sentire ancora la tua mano tiepida che scivola lungo il viso e il tuo sorriso, raro come le tue lacrime, che li fa tornare sani, puri, come bimbi scalpitanti. Un sorriso di madre che ha sempre una riserva di pazienza, o di padre, che, anche quando è sfinito dal lavoro e dai crucci, tornando a casa, spalanca le braccia per dire ai figli: «Venite qui. Venite a me».
Ti cercano, ti cerchiamo sempre. E, stamani, ancora di più. Perché anche chi, fino a ieri, non si è mai accorto della tua presenza nei muri di una scuola, nella sala d’aspetto di un ospedale o di un ufficio postale, ad un tratto ha alzato gli occhi per rassicurarsi che tu ancora ci sia.
Questo, caro Gesù, è un altro dei tuoi miracoli: hai sostituito l’autunno con l’estate; hai tramutato una giornata di novembre nella lunga notte di San Lorenzo. Così è se, in queste ore, milioni di occhi si alzano, decollano, rimangono sospesi e non ne vogliono sapere di tornare giù; non intendono partecipare al funerale di una stella, dedicandole un desiderio, ma rivolgere la loro speranza ad un astro che non può, non deve cadere mai.
Stavolta però, a ben guardare, non hai fatto tutto da solo. Perché questo tuo ultimo prodigio è stato fortemente aiutato, addirittura provocato, proprio da coloro che, invece, intendevano infliggerti l’ennesima umiliazione. Nel tuo palpito di estrema sofferenza, hai detto: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Hai ragione: non lo sappiamo. Non sappiamo, né sapremo mai come anche il gesto più crudele teso a cancellarti, sia esso compiuto in nome di una religione diversa ed avversa, sia invece realizzato in forza di un fanatico laicismo globalizzato, finisca per ottenere l’esatto effetto opposto.
Più qualcuno cerca di confinare le tua vita e la tua morte dentro gli schemi di una tradizione e di una fede particolari, e più l’universalità della croce e della resurrezione erompono con la potenza di un vulcano; più si prova a relegarti nella dogmatica icona del «figlio di Dio» di esclusiva proprietà cristiano-cattolica, e più le tue stigmate ci sanguinano addosso, ci spaccano dentro, ricordandoci che un uomo, tutti gli uomini diventano Dio quando sono disposti a morire per la salvezza di qualcun altro. E che Dio diventa un uomo, tutti gli uomini, fino a soffrire e a tormentarsi insieme a loro, ogni volta che qualcuno sacrifica se stesso per affermare ciò che è bene, ciò che è luce.
È dunque inutile, caro Gesù, che io ti dica: «Dai, non prendertela».
Tu non te la sei mai presa. In fondo, sei l’uomo più laico che io conosca. Sai perfettamente che chi prova, con tutte le sue forze, ad allontanarti, in verità, non sta facendo altro che struggersi per la distanza che lo separa da te. E rinnegandoti, oltraggiandoti, intona la preghiera forse più sacra, di sicuro più autentica. Ti sta chiamando. Ti sta dicendo: quanto mi manchi.

© Copyright Il Giornale, 7 novembre 2009 consultabile online anche qui.

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