venerdì 7 novembre 2008
Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger (Osservatore Romano)
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Fede e ragione in John Henry Newman e Joseph Ratzinger
Un nuovo e più ampio senso della razionalità
di Luca M. Possati
"Con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell'uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo".
Era il 12 settembre 2006 quando, con queste parole pronunciate nell'aula magna dell'università di Ratisbona, Benedetto XVI evocava la necessità di riscoprire l'amicizia tra fede e ragione, quella "coesione interiore nel cosmo della ragione" superiore a ogni scetticismo, autentico approdo di una critica della razionalità moderna non negativa, distruttrice, bensí capace di introdurre un allargamento del concetto stesso di ragione, dall'interno del quale ritrovare l'aspirazione umana alla verità, e quindi la ragionevolezza della fede.
Proprio in quest'urgenza si manifesta con nitidezza una linea di continuità nella riflessione di Benedetto XVI, in profonda sintonia con un altro grande filosofo e teologo, ch'egli stesso definí un "modello", un "grande maestro della Chiesa": il cardinale John Henry Newman.
All'importanza di un tale dialogo per la Chiesa di oggi, alla sua immensa utilità per far fronte alle sfide lanciate da quella che in tanti chiamano postmodernità - in primis nichilismo e relativismo, con tutte le loro ripercussioni sociali, etiche ed economiche, come confermato dalla più stringente attualità - è stato dedicato l'incontro "Fede e ragione" tenutosi a Roma organizzato dal Centro internazionale degli Amici di Newman - la cui direzione spetta alla Famiglia Spirituale "L'Opera" - alla presenza di numerose autorità accademiche ed ecclesiastiche, tra cui monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, e il rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, Lorenzo Ornaghi. Momento centrale dell'evento, la conferenza del professore Fortunato Morrone, dell'Istituto Teologico Calabro-Catanzaro, sul tema "L'urgenza di una nuova amicizia tra fede e ragione secondo John Newmann e Benedetto XVI".
La questione del dialogo tra fede e ragione investe la vita stessa dell'uomo nella sua estrema concretezza. La fede non è una serie di dottrine separate, da apprendere a memoria, tanto meno un sentimento. È invece un movimento di tutta l'esistenza umana. Questo è un punto molto chiaro, sia per Benedetto XVI che per Newman: in una prospettiva più ampia, fede e ragione non possono entrare in conflitto, ma convergono spontaneamente verso una sola verità.
"Per i cristiani - ha spiegato Morrone - la passione per la verità scaturisce dall'incontro con Gesù Cristo, che è il senso profondo della nostra vita e dignità. La rivelazione va accolta come sorgente inesauribile di verità. Lo stesso Benedetto XVI ha sottolineato che l'unico mezzo attraverso il quale possiamo pensare in maniera proficua la ragione è la fede, contro ogni uso distorto, ogni applicazione di schemi vuoti, inutili, spesso invocati dagli stessi credenti".
Legati da una comune familiarità con l'opera di sant'Agostino, Newman e Benedetto XVI riconoscono l'importanza delle grandiose possibilità che il progresso della scienza ha aperto all'uomo moderno. Queste non vanno affatto rifiutate. Dio non chiede all'uomo di sacrificare la propria ragione. Il punto è che quest'ultimo si realizza davvero soltanto se fede e ragione si parlano, entrano in dialogo. La scienza stessa, con la sua volontà di obbedienza alla verità, porta in sé un interrogativo che la trascende. Solo così diventa possibile uno scambio tra culture diverse che possa essere pieno di frutti per il futuro dell'umanità. "Il Papa - ha aggiunto Morrone - spinge verso una visione molto più concreta di quella degli empiristi. Rinnegando la fede, l'illuminismo ha appiattito la ragione su uno sterile scientismo, su ciò che è verificabile nell'esperimento; al contrario, un corretto uso della ragione non può che portare alla fede".
Il problema centrale di Newman ne La grammatica dell'assenso (1870) è la scoperta di un nuovo e più ampio senso della razionalità: possibile credere in qualcosa e non essere capaci di provarlo? Come la mente ha bisogno della percezione, così la fede ha bisogno della coscienza, dell'interiorità quale via maestra per raggiungere l'Assoluto. "La centralità del concetto di coscienza in Newman - scrive Joseph Ratzinger - deriva dalla centralità del concetto di verità e in base ad essa si può comprendere".
Infatti, per Newman "il decidersi della fede non è diverso dal decidersi della ragione - ha spiegato Morrone - piuttosto, il primo spinge il secondo a guardare più in alto, al di là di ogni scetticismo". Contro la visione empirista di stampo humeano - per evitare, non solo le derive opposte del materialismo positivistico e del cieco fideismo, ma altresì l'ideale laico della tolleranza, che non significa vero dialogo ma tranquilla convivenza e reciproca sopportazione - Newman propone uno scavo paziente, tenace e aderente alla realtà data per rintracciare le radici a cui si àncora l'itinerario dell'uomo, dalla prima consapevolezza alle forme più complesse dell'intuizione, che da ultimo si proiettano al di là dell'orizzonte stesso del mondo presente.
"Newman parla della fede come origine dello spirito filosofico - ha commentato Morrone - in effetti, che cosa può temere la scienza dal cristianesimo, che fin dal principio si pone come religione del lògos, della ragione creatrice, aperta a tutto quel che è veramente razionale?".
(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2008)
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