sabato 21 novembre 2009

Anche agnostici all'incontro del Papa con gli artisti (Carlo Dignola)


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Anche agnostici all'incontro del Papa con gli artisti

Monsignor Ravasi: infranto il vincolo fra arte e fede. Rondoni: si ritrovano nell'esperienza

Il Papa ha chiamato a Roma gli artisti, di ogni genere e grado: 500 pittori, scultori, architetti, scrittori, musicisti e cantanti, registi, attori di cinema e teatro, danzatori, persino fotografi. Soprattutto italiani, ma con qualche notevole eccezione. Fra gli invitati oggi in Cappella Sistina (diretta tv su Skytg24, Sat2000, Telepace dalle 10,55) i non cattolici, gli agnostici e anche gli atei sono davvero parecchi, segno che il Papa non vuole parlare ai «suoi». Qualche nome a caso: Chiappori, Jodice, Pomodoro, Mitoraj, Viola, Botta, Gregotti, Libeskind, Arbasino, Bevilacqua, Camon, Mastrocola, Tamaro, Mazzantini, Valduga, Baglioni, Branduardi, Pärt, Venditti, Avati, Banfi, Basilico, Foà, Golino, Guerritore, Ronconi, Scola, Soleri, Taviani, Zanussi, Zeffirelli, Greenaway, Lizzani, Maselli, Monicelli, Moretti…
Sono passati dieci anni dalla Lettera agli artisti di Giovanni Paolo II. Karol Wojtyla in gioventù – caso molto raro per un Papa – era stato davvero un artista, un attore di teatro e scriveva poesie, ma il suo gesto non ha lasciato il segno. Benedetto XVI anche in questo caso si riallaccia idealmente più a Paolo VI, all'apertura verso questo mondo che tentò 45 anni fa, proprio con un analogo invito in Sistina. Montini ottenne qualche risposta più significativa, anche se certo, osservando le chiese e gli oratori di oggi il suo coraggioso «la Chiesa ha bisogno di voi» rivolto agli artisti non sembra aver portato molto frutto.
Monsignor Ravasi, che è l'uomo che Benedetto XVI ha messo a presidiare il côté culturale del suo pontificato, nel convocare gli artisti a Roma non è andato per il sottile. Sulla doppia pagina che domenica 8 novembre Avvenire ha dedicato alla presentazione dell'incontro in Vaticano ha ricordato che san Giovanni Damasceno nell'VII secolo diceva ai cristiani: «Se un pagano viene e ti dice: "Mostrami la tua fede", tu portalo in chiesa e fagli vedere la decorazione di cui è ornata e spiegagli la serie dei sacri quadri». Oggi a guardare certe figure pseudo-cubiste alle vetrate è più facile convertirsi al nihilismo. Quel «vincolo così stretto» tra arte e fede, «lo si deve realisticamente riconoscere, si è allentato fino al punto di infrangersi», dice il presidente del Pontificio consiglio della Cultura. «Da un lato, in ambito ecclesiale si è spesso ricorsi al ricalco di moduli, di stili e di generi delle epoche precedenti, oppure ci si è orientati all'adozione del più semplice artigianato o, peggio, ci si è adattati alla bruttezza che imperversa nei nuovi quartieri urbani e nell'edilizia aggressiva innalzando edifici sacri simili, come sarcasticamente diceva padre Turoldo, a garage sacrali ove è parcheggiato Dio e vengono allineati i fedeli».
Anche se qualche architettura fa eccezione – è la spietata analisi di Ravasi – «l'arte ha imboccato le vie della città secolare, archiviando i temi religiosi» e anche «tutto quel "grande codice" che era stata la Bibbia. Si è consacrata a esercizi stilistici sempre più elaborati e provocatori, si è rinchiusa nel cerchio dell'autoreferenzialità, si è affidata a una critica esoterica incomprensibile ai più, e si è asservita alle mode e alle esigenze di un mercato non di rado artificioso ed eccessivo. Un po' di verità c'era nella definizione coniata da Henri Meyers a proposito dell'artista contemporaneo: "Un uomo che non prostituisce mai la sua arte, eccetto che per denaro"». Ravasi non ha usato il tono felpato curiale. Ha messo le carte sul tavolo: l'incontro in Sistina non sarà un cocktail.
Gli ha risposto, a stretto giro di posta – sullo stesso Avvenire – Davide Rondoni, poeta, anche lui tra gli invitati. Che ha messo in luce un'altra posizione, cattolica ma diversa da quella di Ravasi: «Credo che il punto in cui arte e fede si incontrano sia principalmente l'esperienza umana dell'artista», dice Rondoni. Più che attingere simboli sacri dalla tradizione «l'arte trova il suo rapporto con la fede nella esperienza vitale dell'artista. È la sua esperienza umana il luogo, il campo, il drammatico teatro in cui si gioca il rapporto. Non mi rallegrerei dunque se aumentassero le citazioni dalla Bibbia nell'arte contemporanea. C'è più fede nel Dio dell'Essere in una mela di van Gogh o in una bestemmia di Testori che in mille madonnucce impagliate che vediamo in giro». Rondoni scrive che molti artisti del '900 hanno guardato a Cristo, ma è con la Chiesa che si è consumata la rottura; con una certa pedanteria cattolica: «"Non voglio Cristo come suocero", scrisse Rimbaud. Ma i preti non leggono Rimbaud né Claudel né il gran genio cristiano dell'800 Baudelaire. E quasi non tremano nemmeno per Leopardi».
Un gruppo di studiosi internazionali ha rivolto al Papa un appello «per il ritorno a un'arte sacra autenticamente cattolica». C'è carne al fuoco, insomma.

© Copyright Eco di Bergamo 21 novembre 2009

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