lunedì 23 novembre 2009
Incontro Papa-artisti: interviste a Giacomo Poretti e Giuseppe Tornatore (Muolo)
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INCONTRO DEL SANTO PADRE CON GLI ARTISTI: LO SPECIALE DEL BLOG
Giacomo Poretti
«Il Papa ha ragione: pure noi umili comici seminiamo brandelli di luce e di speranza»
DA ROMA MIMMO MUOLO
«Ha ragione il Papa. La bellezza prima di ogni altra cosa». Giacomo Poretti si presenta al colloquio con i giornalisti con l’ironico sorriso che lo ha reso celebre insieme ai suoi compagni di avventura: Aldo Baglio e Giovanni Storti. Aldo, Giovanni e Giacomo, appunto. Ma questa volta la sua dichiarazione è seria come il completo elegante che indossa per l’occasione: « Noi artisti – sostiene – siamo uomini gettati nell’abisso per riportare in superficie brandelli di luce e di speranza. In questo senso, come diceva anche Giovanni Paolo II nella Lettera agli artisti, la nostra funzione è importante».
Complimenti. Davvero lei ha letto la «Lettera agli artisti»?
Certo, non sono mica analfabeta. E poi, sono venuto preparato. Ho studiato, come vede.
E questo studio, unito all’ascolto delle parole di Benedetto XVI, che cosa le ha suggerito?
Mi ha suggerito che il Papa ha ragione. La via della bellezza è ineliminabile nella nostra vita. Noi artisti, specie noi comici che siamo un po’ i parenti poveri dell’arte, spesso lo avvertiamo inconsapevolmente. In altri termini sentiamo che abbiamo qualcosa dentro da dare agli altri e cerchiamo di darlo. L’incontro odierno ci ha dato l’altra faccia della medaglia, cioè la riflessione, il senso, la consapevolezza appunto. Quello di Benedetto XVI è un discorso da rileggere attentamente.
Che cosa porta Giacomo della sua esperienza di fede nel lavoro del trio?
La fede sostiene tutta la mia vita. Ma nel lavoro non metto etichette. Così come non le mettono Aldo e Giovanni, che pure hanno un loro percorso di ricerca spirituale. Direi che questa nostra ricerca si esprime per esempio attraverso un tipo di comicità che vuole riprodurre i meccanismi spensierati dell’infanzia e dell’ingenuità oppure che, come accade ad esempio ne Gli svizzeri , vuole stigmatizzare certi modi ossessivi di vivere: la rigidità del poliziotto, la stupidità di chi è chiuso su stesso, la mancanza di relazione con l’altro.
Se avesse potuto parlare al Papa cosa gli avrebbe detto?
Il mio grazie per il coraggio che ha avuto nel riunire così tanti artisti di provenienze, fedi e culture diverse. Noi sappiamo che cosa opera lo Spirito Santo in chi crede. Ma anche chi non crede può esprimere la bellezza e la verità.
Come mai è venuto da solo?
Non so perché l’invito sia stato rivolto solo a me. Secondo Aldo e Giovanni, sicuramente si sono sbagliati. Io ho ribattuto che invece avevano visto giusto. E Aldo ha concluso: «Non ci posso credere».
© Copyright Avvenire, 22 novembre 2009
Giuseppe Tornatore
«Ha parlato davvero a tutti, credenti e atei, dando una carezza alla cultura bistrattata»
Mimmo Muolo
DA ROMA
L’ incontro con gli artisti è «una carezza fatta dal Papa alla cultura, in un momento in cui essa non fa che prendere schiaffi da tutti». Parola di Giuseppe Tornatore, il regista premio Oscar che al termine dell’udienza è visibilmente contento.
Quali sono i motivi della sua soddisfazione?
Glielo dico senza mezzi termini. Di questo incontro mi è piaciuto tutto. L’atmosfera e i contenuti. Penso che il Papa ci abbia rivolto un grande discorso, fuori dagli schemi e pieno di concetti importanti. In particolare la bellezza, che comprende anche l’equilibrio sociale e civile che dovremmo avere tutti nella società. Infine ho apprezzato particolarmente che Benedetto XVI abbia parlato a tutti indistintamente: credenti e no.
Arte e fede, dunque, possono essere ancora amiche?
Lo sono anche quando non lo pensiamo. Nel processo che porta alla produzione artistica è insita a mio avviso una ricerca di fede anche quando chi compie questa ricerca dice di non credere in Dio. Insomma il fatto artistico ha a che fare con la fede tout court, perché parla del senso della nostra esistenza.
Che cosa rifluirà di questo incontro nella produzione prossima di Tornatore?
Sinceramente non lo so. L’emozione è ancora troppo fresca e va sedimentata. Ma sicuramente non si è trattato di un incontro trascurabile. Penso che lo conserverò a lungo nel mio cuore.
E guardando invece al passato, quanto ha influito sulla sua opera la ricerca spirituale e, se me lo consente, la fede?
Le citerò due episodi. Il primo si riferisce alla Leggenda del pianista sull’Oceano, dove c’è quel personaggio che dice 'Non sei veramente fregato fino a quando hai una buona storia e qualcuno a cui raccontarla'. Ecco, io penso che la storia, cioè la memoria, e la relazione con l’altro sia elementi di ricerca del senso della vita e dunque di spiritualità.
E il secondo episodio?
Anni fa, quando il Papa era Giovanni Paolo II e al posto di monsignor Gianfranco Ravasi c’era il cardinale Paul Poupard, mi è stato assegnato proprio qui in Vaticano un premio per uno dei miei film meno noti, che si chiama Una pura formalità e che in qualche modo tratta di tematiche che riguardano l’aldilà. È uno dei premi di cui vado maggiormente fiero. Oggi a distanza di tanti anni sono contento di essere tornato qui, di aver incontrato il Papa e di aver ascoltato le sue parole, che certamente mi saranno utili.
© Copyright Avvenire, 22 novembre 2009
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1 commento:
Se l'arte è uno specchio del tempo storico in cui viene realizzata, mi viene da pensare che il problema non sia di ordine estetico ma sociale.La nostra società è drammaticamente profana, l'arte oggi è l'espressione di un momento infelice.Vi scrive chi ha promosso iniziative a riguardo, chi ha realizzato opere ispirate al sacro che non hanno avuto un pubblico perchè non c'è interesse nel promuovere forme artistiche considerate obsolete.
Esistono ancora realtà di giovani disposti a non scendere a compromessi per realizzare opere di natura povera e dissacrante, sappiate che per noi è difficile farsi sentire, aiutateci.
Grazie.
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