martedì 27 gennaio 2009
Revoca della scomunica ai Lefebvriani: i commenti di Renzo Gattegna e Gianni Baget Bozzo (La Stampa)
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Renzo Gattegna
“Così si buttano via 50 anni di dialogo”
Renzo Gattegna (presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane), dei quattro vescovi scismatici che il Papa oggi ha perdonato, uno nega la Shoah e difende l’antisemitismo. È preoccupato?
«Si tratta di un fatto estremamente allarmante e serio dal punto di vista dei rapporti ebraico-cristiani. Adesso attendiamo di vedere quali saranno le mosse della Chiesa dopo questa pagina dolorosa. Sarà molto significativo valutare le reazioni ufficiali alle terribili e inaccettabili dichiarazioni di Richard Williamson, il vescovo negazionista che Benedetto XVI ha graziato».
Il portavoce vaticano, padre Lombardi, ha specificato che revocargli la scomunica non significa condividere le sue tesi negazioniste...
«Non basta dire che sono opinioni personali sull’Olocausto di un singolo esponente della gerarchia cattolica. In seguito a questa riabilitazione è importante vedere se la Chiesa reagisce in modo convincente. Se una cosa del genere dovesse passare o sotto silenzio o senza una reazione adeguata sarebbe un messaggio sconcertante».
Per le principali associazioni mondiali dell’ebraismo la decisione di Benedetto XVI è «l’ultimo chiodo alla bara del dialogo». Cosa la preoccupa di più?
«Il dialogo tra ebrei e cattolici è cominciato con Giovanni XXIII, dura da mezzo secolo, è prezioso, va salvaguardato e non bisogna metterlo a repentaglio con dichiarazioni sconsiderate. Speriamo che restino tesi aberranti di un esponente isolato della gerarchia ecclesiastica e che la Chiesa smentisca qualsiasi condivisione. Negli ultimi tempi ci sono state decisioni che hanno creato serie difficoltà ai rapporti tra ebraismo e Chiesa cattolica, come la preghiera del venerdì santo per la conversione degli ebrei. Ci auguriamo che nuovi pronunciamenti possano rettificare le posizioni e correggere la piega presa dalle nostre relazioni».
È una tensione che ostacola il viaggio papale in Terra Santa?
«L’invito c’è stato ed è stato preso in considerazione. Rimuovere impedimenti ed equivoci dell’ultimo periodo sarebbe un buon viatico alla visita in Israele. Però il dialogo è possibile e costruttivo solo se avviene in una situazione di pari dignità delle parti che dialogano. E’ impossibile dialogare da posizioni diverse dalla parità».
© Copyright La Stampa, 25 gennaio 2009
Ancora con la Preghiera del Venerdi' Santo? A quando una richiesta di modifica del Messale conciliare?
Una domanda fintamente ingenua: come mai nessuno ha protestato in occasione degli indulti di Paolo VI e Giovanni Paolo II?
Che cosa e' cambiato da allora? Domanda retorica...
R.
Gianni Baget Bozzo
“È stato corretto l’errore di Wojtyla”
Don Gianni Baget Bozzo, lei analizza da decenni le crisi del post-Concilio. Graziare i vescovi lefebvriani è uno schiaffo a Wojtyla che li ha scomunicati?
«Joseph Ratzinger ha preparato questa svolta nell’ombra, durante i lunghi anni in cui è stato prefetto dell’ex Sant’Uffizio. Diventato Papa ha messo in atto il piano anti-scisma il cui punto fondamentale è stato nel settembre 2007 il motu proprio «Summorum Pontificum» con cui Benedetto XVI ha ristabilito nei suoi diritti la messa tridentina. Non a caso i seguaci dell’arcivescovo Lefebvre espressero subito al Papa compiacimento e gratitudine. Tra Wojtyla e Ratzinger il salto decisivo è stato questo: permettere l’uso della messa in latino secondo il rito anteriore alla riforma liturgica, in via ordinaria e senza richiesta al vescovo. A quel punto non aveva più senso per i lefebvriani restare fuori dalla Chiesa. Né per la Chiesa tenerli fuori».
È il Vaticano che si è spostato sulle posizioni dei lefebvriani o viceversa?
«C’è stato un mutamento da entrambe le parti. È cambiato il quadro generale, perciò la sanzione ecclesiastica andava rimossa in cambio del ritorno alla piena obbedienza. Giovanni Paolo II tenne duro perché le ordinazioni episcopali senza il suo permesso avrebbero scardinato il sistema e la Santa Sede ne sarebbe uscita indebolita. Giovanni Paolo II sapeva che la partita era più grande, era consapevole, per esempio, che, se avesse ceduto, si sarebbe ritrovato con i vescovi cinesi consacrati dal governo. Ratzinger, invece, non ha mai abbandonato la speranza di riannodare i fili e ha lavorato in silenzio attraverso la pontificia commissione Ecclesia Dei. In modo graduale ma inesorabile ha creato le condizioni favorevoli prosciugando l’acqua al dissenso lefebvriano».
In che modo?
«Ratzinger aveva capito da molto tempo che a rendere forti e compatti i lefebvriani era stato il cambio di liturgia. Tornando alla liturgia antica, Benedetto XVI ha rimosso il principale ostacolo. Da fine teologo ha compreso che lo scisma lefebvriano aveva per il 95% motivazioni liturgiche. Per questo, appena eletto al Soglio di Pietro, ha subito chiarito che la liturgia, come il dogma, rimane perenne, quindi il suo predecessore Paolo VI non aveva diritto di abrogare il rito antico. Era il segnale che i lefebvriani attendevano e che Wojtyla non era stato in grado di dare».
© Copyright La Stampa, 25 gennaio 2009
Appunto: Paolo VI non abrogo' mai il rito antico.
R.
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