sabato 4 aprile 2009

Domenica delle Palme. Benedetto XVI apre i riti della Settimana Santa: l’amore di Cristo vince la morte per sempre (Radio Vaticana)


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Domenica delle Palme. Benedetto XVI apre i riti della Settimana Santa: l’amore di Cristo vince la morte per sempre

Benedetto XVI presiederà domani mattina in Piazza San Pietro, alle ore 9.30, la solenne celebrazione liturgica della Domenica delle Palme. Il Papa benedirà le palme e gli ulivi e, al termine della processione, celebrerà la Santa Messa della Passione del Signore. L’evento sarà seguito in radiocronaca diretta dalla nostra emittente.
Con la Domenica delle Palme inizia dunque la Settimana Santa, culmine dell'Anno liturgico al quale Benedetto XVI ha dedicato profonde riflessioni nei suoi primi quattro anni di Pontificato. Il servizio di Alessandro Gisotti:


Nella Settimana Santa, possiamo davvero sperimentare che il nostro Dio non è lontano. Benedetto XVI mette in luce questa verità iscritta nel cuore di ogni uomo: Dio si è fatto carne per essere vicino alla nostra sofferenza e per aprirci la porta del Cielo. Con la Croce, spiega il Papa, “Gesù ha spalancato la porta di Dio, la porta tra Dio e gli uomini”. Nella Domenica delle Palme, con la quale si apre la Settimana Santa, ricorda il Santo Padre, “professiamo la regalità di Cristo”. Ma in cosa consiste questa regalità del Signore? Ecco la riflessione del Pontefice, il primo aprile del 2007:

“Riconoscerlo come Re significa: accettarlo come Colui che ci indica la via, del quale ci fidiamo e che seguiamo. Significa accettare giorno per giorno la sua parola come criterio valido per la nostra vita. Significa vedere in Lui l’autorità alla quale ci sottomettiamo. Ci sottomettiamo a Lui, perché la sua autorità è l’autorità della verità”.

All’ingresso di Gerusalemme, la folla lo acclama come figlio di Davide. Ma quando il Signore arriva al Tempio, trova commercianti di bestiame e cambiavalute che occupano con i loro affari il luogo di preghiera”. Un avvenimento che, sottolinea il 16 marzo dell’anno scorso, deve interrogarci anche oggi:

“Tutto ciò deve oggi far pensare anche noi come cristiani: è la nostra fede abbastanza pura ed aperta, così che a partire da essa anche i ‘pagani’, le persone che oggi sono in ricerca e hanno le loro domande, possano intuire la luce dell’unico Dio, associarsi negli atri della fede alla nostra preghiera e con il loro domandare diventare forse adoratori pure loro? (…) Non lasciamo forse in vari modi entrare gli idoli anche nel mondo della nostra fede?”

Nel tenere “sveglio il mondo per Dio”, combattendo i falsi idoli del nostro tempo, avverte il Papa, è fondamentale la figura del sacerdote. Il Pontefice si sofferma sul ministero sacerdotale nell’omelia della Messa Crismale, che la mattina del Giovedì Santo precede il Triduo Pasquale. Il 20 marzo dell’anno scorso, Benedetto XVI tratteggia con queste vibranti parole il modello di sacerdote, servo di Cristo nella verità e nell’amore:

“Il sacerdote deve essere uno che vigila. Deve stare in guardia di fronte alle potenze incalzanti del male. Deve tener sveglio il mondo per Dio. Deve essere uno che sta in piedi: dritto di fronte alle correnti del tempo. Dritto nella verità. Dritto nell’impegno per il bene. Lo stare davanti al Signore deve essere sempre, nel più profondo, anche un farsi carico degli uomini presso il Signore che, a sua volta, si fa carico di tutti noi presso il Padre. E deve essere un farsi carico di Lui, di Cristo, della sua parola, della sua verità, del suo amore”.

Farsi carico l’uno dell’altro. Il Papa ribadisce che l’amore, un amore smisurato, è l’insegnamento più grande che il Figlio di Dio lascia all’umanità. E’ questo il testamento che Cristo ci consegna nell’Ultima Cena. E’ quello di Dio un amore che redime, purifica e risana. Nella Messa in Coena Domini del 13 aprile 2006, il Papa spiega il significato delle parole rivolte da Gesù ai discepoli nel Cenacolo:

“’Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri’… significa soprattutto perdonarci instancabilmente gli uni gli altri, sempre di nuovo ricominciare insieme per quanto possa anche sembrare inutile. Significa purificarci gli uni gli altri sopportandoci a vicenda e accettando di essere sopportati dagli altri; purificarci gli uni gli altri donandoci a vicenda la forza santificante della Parola di Dio e introducendoci nel Sacramento dell'amore divino”.

Un amore che vince la morte: questo lo straordinario insegnamento di Gesù nel suo percorso di sofferenza verso il Calvario. Un viaggio nel male e nella morte che risveglia in noi l’amore per i sofferenti e i bisognosi. Cosi, Benedetto XVI alla Via Crucis al Colosseo il 6 aprile 2007:

“Seguendo Gesù nella via della Sua passione vediamo non soltanto la passione di Gesù, ma vediamo tutti i sofferenti del mondo ed è questa la profonda intenzione della preghiera della Via Crucis: di aprire i nostri cuori e aiutarci a vedere con il cuore”.

Vedere con il cuore, aprirlo a Cristo lasciandoci interpellare dal Suo sacrificio sulla Croce. Un mistero, afferma il 21 marzo scorso, Venerdì Santo, che pone in crisi le nostre umane certezze:

“Tanti, anche nella nostra epoca, non conoscono Dio e non possono trovarlo nel Cristo crocifisso, tanti sono alla ricerca di un amore o di una libertà che escluda Dio, tanti credono di non aver bisogno di Dio … che il Suo sacrificio sulla croce ci interpelli; permettiamo a Lui di porre in crisi le nostre umane certezze, apriamogli il cuore. Gesù è la verità che ci rende liberi di amare”.

La Croce, dunque, è “segno di riconciliazione, segno dell’amore che è più forte della morte”. E proprio per questo, è l’esortazione di Benedetto XVI, non dobbiamo arrenderci al male, ma vincerlo con il bene:

“Ogni volta che ci facciamo il segno della Croce dobbiamo ricordarci di non opporre all'ingiustizia un'altra ingiustizia, alla violenza un'altra violenza; ricordarci che possiamo vincere il male soltanto con il bene e mai rendendo male per male.” (Domenica delle Palme, 9 aprile 2006)

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