giovedì 14 maggio 2009

Benedetto XVI a Betlemme: «Sì a una patria palestinese» (Tornielli)


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Benedetto XVI a Betlemme: «Sì a una patria palestinese»

di Andrea Tornielli

nostro inviato a Betlemme

I palestinesi che soffrono hanno trovato un amico e un alleato. Benedetto XVI ha trascorso un giorno a Betlemme, ribadendo il diritto dei palestinesi ad avere uno Stato con confini certi. Ha auspicato che il muro di separazione fatto costruire dal governo Sharon dopo la seconda Intifada sia abbattuto, e ha invitato i giovani dei Territori a non cedere alla tentazione del terrorismo.
Papa Ratzinger attraversa in auto quella che gli israeliani chiamano «Porta d’onore» e i palestinesi «Porta della vergogna», perché da lì passano le jeep dei soldati per le rappresaglie nella West Bank.
Negli occhi di Benedetto XVI si fissano le immagini del filo spinato, delle torrette di guardia, degli altissimi blocchi di cemento che compongono la barriera. La stessa immagine drammatica che fa da sfondo all’incontro con i rifugiati nella scuola del campo profughi di Aida.
Fuori dal palazzo presidenziale dell’Autorità palestinese, Ratzinger è accolto da Abu Mazen, che gli parla del «muro dell’apartheid». Poco dopo, all’inizio della messa nella piazza della Mangiatoia, sarà il patriarca Fuad Twal a dire che «finché ci sarà il muro non ci sarà la pace».
Fin dal primo discorso il Papa pronuncia parole inequivocabili: «La Santa Sede appoggia il diritto del suo popolo a una patria palestinese sovrana nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti».
E spiega che una «coesistenza giusta e pacifica» può essere realizzata «solo con uno spirito di cooperazione e rispetto reciproco». Chiede «alla comunità internazionale di usare la sua influenza in favore di una soluzione» del conflitto, sperando che «i gravi problemi riguardanti la sicurezza» in Israele e nei Territori vengano «presto decisamente allegeriti così da permettere una maggiore libertà di movimento, specialmente per i contatti tra familiari e per l’accesso ai luoghi santi».
La libertà di muoversi è ciò che più manca qui. Duecentocinquanta erano i permessi richiesti dal parroco di Gaza per i cattolici della Striscia che volevano partecipare alla messa, ma il governo israeliano ne ha concessi solo 48.
Fin dal primo discorso, Benedetto XVI ricorda le vittime di Gaza, e assicura le sue preghiere per loro. Poi lancia un messaggio giovani: «Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo».
Nella Piazza della Mangiatoia, accolto da circa 5000 fedeli, il Papa celebra la messa e nell’omelia chiede ai cristiani di essere «testimoni del trionfo dell’amore sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore». Nel pomeriggio, dopo una visita alla grotta della Natività, Ratzinger passa al Caritas Baby Hospital, l’ospedale pediatrico sostenuto dai vescovi tedeschi, al quale dona un respiratore per i nati prematuri.
«L’aiuto umanitario – dice al termine della visita – ha un ruolo essenziale, ma la soluzione ad un conflitto come questo non può essere che politica».
Il culmine della giornata è l’incontro al campo rifugiati di Aida, nel cortile della scuola.
Un gruppo di ragazzi canta e balla, portando in scena grandi chiavi nere, che simboleggiano il diritto al ritorno nelle proprie case, dopo la «nakbah», la «catastrofe» del 1948, l’allontanamento dai loro villaggi al momento della nascita dello Stato d’Israele. Due bambine recitano brani dell’opera di un poeta palestinese, interpretando l’urlo straziante rivolto a chi ha tutto da chi non ha nulla. Al Papa vengono consegnate le lettere dei genitori di due prigionieri palestinesi.
Benedetto XVI ascolta, applaude e risponde, riconoscendo la «legittima aspirazione» a uno «Stato palestinese indipendente». E cita il muro che campeggia alle sue spalle: «In un mondo in cui le frontiere vengono sempre più aperte è tragico vedere che vengano tuttora eretti dei muri».
Come segno di vicinanza ai profughi, il Papa dona 70mila euro, destinati alla realizzazione di tre nuove aule nella scuola di Aida.
Nel saluto finale ad Abu Mazen afferma: «Con angoscia ho visto la situazione dei rifugiati, e ho visto il muro che si introduce nei vostri territori, separando i vicini e dividendo le famiglie». «I muri non durano sempre – conclude Ratzinger – possono essere abbattuti. Innanzitutto però è necessario rimuovere i muri che noi costruiamo attorno ai nostri cuori». È un appello lanciato al di là della barriera, alle autorità israeliane, «perché sia posta fine all’intolleranza e all’esclusione».

© Copyright Il Giornale, 14 maggio 2009 consultabile online anche qui.

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