lunedì 4 maggio 2009
Vocazioni, discorso duro: Consentire a Dio di fare il suo mestiere (Rondoni)
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Vocazioni. discorso duro
Consentire a Dio di fare il suo mestiere
Davide Rondoni
La vocazione è un colpo di genio di Dio.
È Lui che prende l’iniziativa. Come illustra, con profondità e immediatezza, il capolavoro di Caravaggio, la chiamata di san Matteo.
Mentre noi, come i protagonisti di quel quadro, ce ne stiamo lì a giocare a carte, a cercar di vincere una chiarezza circa la nostra vita, tra fortuna e azzardi, ecco il gesto di Gesù. Che chiama. La vocazione è seguire quel gesto, che ci sorprende in mezzo a tutti i giochi o tutti i pensieri che possiamo fare per capire quale è il nostro posto, il compito nel mondo.
La questione della vocazione riguarda tutti. Ognuno è chiamato a leggere senza barare – come si potrebbe fare al tavolo da gioco – i segni che Gesù gli fa. Il fatto che si celebri una giornata delle vocazioni sacerdotali è un invito anche per chi sacerdote non è a comprendere cosa è la propria vocazione. Infatti, prima ancora della questione di quale sia la forma a cui ci porta la vocazione – laica, matrimoniale, o consacrata o sacerdotale – o la vocazione di medico o di artista o quale che sia, occorre aprire il cuore e la mente alla potenza e alla libertà di Dio che fa quel gesto. Insomma occorre avere fede.
E lasciare a lui l’iniziativa. Che nel mondo, anche di oggi, è fantasiosa e vasta. Nascono vocazioni di consacrazione totale a Dio in tutto il mondo. E questo favorisce, in un pianeta globalizzato sotto molti aspetti, anche lo scambio e l’aiuto.
Ad esempio la crisi di vocazioni sacerdotali, che sta svuotando i seminari italiani e che costringerà a pensare diversamente alle parrocchie, è in parte arginata dalla presenza nel nostro paese di sacerdoti e religiosi di nazioni lontane.
Ma se questa crisi deve da un lato far meditare su quante opacità in uomini del clero scoraggiano e non invitano i giovani a seguire la loro strada, dall’altro deve far ricordare che l’iniziativa della vocazione è di Dio.
Che con questa crisi numerica ci sta pure indicando un nuovo modo di pensare alla vita della Chiesa in queste terre dove la secolarizzazione e molti altri fenomeni della vita hanno modificato il tessuto sociale e la vita della gente. Ma più radicalmente ci interroga sulla disponibilità a considerare la vita non come un possesso per sé. Il gesto di Cristo sorprende Matteo.
Lasciare tutto per seguire la presenza che pretende e poi mostra di essere la più cara e necessaria è un atto di grande libertà. Pari a quella con cui Dio fa il primo passo. La vocazione sono due libertà che si incontrano. Questa giornata cade nelle ultime settimane dell’anno di Paolo. Lui non era un eroe.
Sapeva bene di non avere grandi qualità. Ma mise la sua debolezza liberamente al seguito di Colui che l’aveva scelto. La sua vocazione, non la sua bravura incendiò e ancora dà fuoco di fede e carità al mondo. La 'qualità' di Paolo fu tutta nella disponibilità.
Che è la qualità dei semplici. Chiedere a Dio che mandi pastori al suo gregge non significa chiedere truppe di eroi. Ma chiedere che continui a toccare il cuore di gente semplice. Di gente pronta. Lo chiediamo con passione ma senza ansia. Perché ci rivolgiamo a Uno che sa fare il suo mestiere di Dio.
© Copyright Avvenire, 3 maggio 2009
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