martedì 1 settembre 2009
La visita di Benedetto XVI a Viterbo: il debito di Papa Ratzinger (Gaeta)
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CHIESA
IL 6 SETTEMBRE BENEDETTO XVI IN VISITA A VITERBO
IL DEBITO DI RATZINGER
Il Pontefice "teologo" compie un gesto di riconoscenza verso uno dei suoi ideali maestri, san Bonaventura. E conferma l’importanza ecclesiale della "città dei papi".
Saverio Gaeta
Il viaggio pastorale di domenica 6 settembre, a Viterbo e a Bagnoregio, rappresenta per Benedetto XVI innanzitutto il saldo di un debito di riconoscenza con uno dei suoi ideali maestri: san Bonaventura, vescovo e dottore della Chiesa.
E poi è la conferma dell’importanza ecclesiale della "città dei papi", per il costante intrecciarsi della sua storia con quella della Chiesa romana.
Il preannuncio informale di questa visita, papa Ratzinger lo aveva dato al vescovo viterbese monsignor Lorenzo Chiarinelli sin dal gennaio 2008.
In quella circostanza, una rappresentanza della diocesi, insieme con le autorità civili locali e i responsabili del Centro studi bonaventuriani, portarono a Benedetto XVI gli atti del convegno La fede nella storia: san Bonaventura e Joseph Ratzinger, rivolgendogli l’invito a recarsi a Viterbo. E la risposta del Pontefice fu immediata: «In effetti, a Pavia ci sono già stato!».
Il riferimento risulta esplicito per quanti conoscono l’itinerario di studi del "teologo" Joseph Ratzinger.
La sua tesi di dottorato, nel 1953, fu infatti dedicata al tema Popolo e casa di Dio nella dottrina della Chiesa di sant’Agostino (di qui la visita dell’aprile 2007 a Pavia, dove è custodita l’urna con i resti del santo).
Successivamente, il suo professore Gottlieb Sohngen gli suggerì di approfondire un autore medievale per la tesi di docenza e la scelta cadde su Bonaventura da Bagnoregio.
«Il testo che ne scaturì fu pubblicato nel 1959, con il titolo La teologia della storia in san Bonaventura», spiega il vescovo Chiarinelli, «e rappresentò una novità interpretativa del "dottore serafico", soprattutto a riguardo del suo concetto di rivelazione, inteso come il modo con cui Dio comunica sé stesso all’uomo, e nel rapporto con la visione della storia di Gioacchino da Fiore. Il professor Ratzinger capovolse la tesi corrente che Bonaventura avesse globalmente condannato il pensiero di Gioacchino, dimostrando quanto, invece, si fosse sforzato di accogliere ciò che poteva essere integrabile nell’ordinamento della Chiesa».
Monsignor Chiarinelli, come si può sintetizzare il rapporto dei pontefici con questa diocesi?
«Penso che siano sufficienti alcune cifre: 50 Papi hanno visitato la città, 18 vi hanno risieduto per più di sei mesi, 5 sono stati eletti qui e 4 vi sono sepolti. E poi non si può dimenticare che proprio a Viterbo si svolse il primo vero conclave della storia, dopo i famosi 33 mesi di sede vacante, fra il 1268 e il 1271, quando venne eletto Gregorio X. Le ricerche storiche hanno confermato che fu proprio Bonaventura a suggerire al capitano del popolo Raniero Gatti la chiusura sotto chiave (cum clave ) dei 17 cardinali, che non riuscivano a trovare un accordo».
Quale "fotografia" della diocesi viterbese presenterà a Benedetto XVI?
«Quella di una realtà ecclesiale composita, nella quale le diverse anime stanno gradualmente raccordandosi per una fattiva interazione. Infatti, Viterbo ha riunito in sé, con la riforma decisa da Giovanni Paolo II il 27 marzo 1986, ben altre quattro antiche diocesi e un’abbazia. Ciascuna realtà ha uno specifico retroterra religioso e culturale: Viterbo ha una deriva naturale verso Roma, Acquapendente risente della mentalità toscana, Bagnoregio è legatissima all’ambiente umbro, Tuscania è inserita nel contesto maremmano, Montefiascone è una specie di isola nell’ambito dell’Alta Tuscia, e poi c’è l’abbazia di San Martino al Cimino con la sua ricca storia».
Viterbo ha anche un’antica tradizione spirituale, densa di eccezionali figure di santità e di devozioni popolari molto partecipate...
«Il principale punto di riferimento spirituale è la Madonna della Quercia, venerata come patrona della diocesi nell’omonimo santuario, dove papa Ratzinger incontrerà privatamente le monache di clausura di dodici monasteri. C’è poi l’emblematica figura di santa Rosa, modello di carità e di saldezza nella fede, cui è legata la famosa processione con la cosiddetta "macchina". Altre donne sono esempi di operosità: santa Lucia Filippini, fondatrice delle Maestre Pie; santa Rosa Venerini, iniziatrice della scuola femminile; la beata Gabriella Sagheddu, nominata da Giovanni Paolo II patrona dell’ecumenismo spirituale. Senza dimenticare il cappuccino san Crispino e il beato passionista Domenico Barberi, che accolse a Birmingham la conversione dall’anglicanesimo di John Henri Newman, poi cardinale».
Quale esito vi attendete dalla presenza del Papa in questa terra?
«Il principale lo abbiamo espresso nel titolo che abbiamo dato alla visita: "Conferma i tuoi fratelli". È il tema che da qualche anno stiamo svolgendo in diocesi, in quanto quella della fede è la vera sfida per la Chiesa nella società contemporanea. In questo ambito, spero nel coinvolgimento dei giovani (in città ci sono anche circa 10 mila studenti dell’Università della Tuscia), che stanno correndo il grosso rischio della frattura religiosa con le generazioni precedenti. Infine, un rinnovato slancio di carità, che già in diocesi vede la ricchezza di 62 associazioni di volontariato e numerose strutture di accoglienza e di solidarietà».
© Copyright Famiglia Cristiana n. 36/2009
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