lunedì 5 ottobre 2009

Bagnasco: «I media fanno dire al Papa cose che non dice» (Bobbio)


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Bagnasco: «I media fanno dire al Papa cose che non dice»

nostro servizio

Alberto Bobbio

Città del Vaticano
Per i vescovi europei il rapporto tra il Papa e i media quest'anno è stato «difficile». Così hanno incaricato il cardinale Angelo Bagnasco, presidente delle Cei, di approfondire la questione nella riunione in corso a Parigi di tutti gli episcopati d'Europa, perché l'Italia è un punto di osservazione privilegiato. E Bagnasco ieri ha proposto un'analisi severa, parlando di «rappresentanza mediatica riduttiva» dell'attività e delle parole di Benedetto XVI, di «lettura parziale» e «non di rado francamente scorretta».
Gli episodi a cui si riferisce Bagnasco sono molti: dai resoconti parziali e fuori dal contesto sul celebre discorso di Ratisbona fino alla considerazioni sull'uso dei profilattici durante il volo verso l'Africa, passando per le distorsioni sul Motu proprio circa la liturgia preconciliare e la remissione della scomunica ai quattro vescovi lefebvriani.
Bagnasco denuncia l'uso di «rappresentazioni fuorvianti», di «critiche ideologiche e preconcette» e di tante «letture» per far dire al «Papa ciò che egli con tutta evidenza non dice, fino ad alimentare perfino forme di ostracismo estranee alla dialettica democratica».
L'ultimo episodio risale al viaggio nella Repubblica Ceca, quando una frase di Benedetto XVI sulle persone credenti e credibili è diventato un appello a trovare «politici» credenti e credibili. È dovuto intervenire addirittura il direttore della Sala stampa vaticana per avvisare i giornalisti a non diffondere letture sbagliate. Bagnasco ripercorre brevemente la storia del rapporto tra i media e il Papa.
Rileva che all'inizio l'informazione è stata «nel complesso adeguata e sostanzialmente positiva».
Certamente c'erano alcune «perplessità» dovute agli «stereotipi» sul cardinale Ratzinger guardiano della fede e alla sua «presunta scarsa capacità comunicativa», ma esse sono state «superate» o «comunque ridimensionate» da «un giudizio più attento ai contenuti del magistero» e sulla attrattiva esercitata sulle folle da Ratzinger, «nonostante il suo stile volutamente sobrio, incentrato sulla parola più che sui gesti».
Eppure a un certo punto è stato proprio questo tratto narrativo del pontificato a essere distorto dai media. Secondo Bagnasco, tutto ciò va in scena a partire dal secondo anno di pontificato, soprattutto con il discorso di Ratsbona, quando i media cominciano a «sovrarappresentare il Papa intellettuale e politico» che propone analisi «potenzialmente conflittuali», ma che sono utili a «fare notizia», trascurando il contesto e la complessità dei ragionamenti.
Il presidente della Cei osserva infatti che i media hanno trascurato alcuni «temi di fondo» che rivelano «le priorità del pontificato» e cioè la forza della Parola di Dio, la centralità di Gesù, il ruolo della preghiera, i richiami alla libertà non intesa come opportunità di fare ognuno ciò che vuole, ma come strumento di responsabilità, quindi il rifiuto di un'etica che porta a una sorta di «dittatura del relativismo». I media hanno ridimensionato il Papa «testimone e predicatore del Vangelo». E lo hanno fatto, spiega Bagnasco, perché il Vangelo dà fastidio, perché si sta «facendo strada un anticlericalismo interessato a nascondere il vero volto della Chiesa» e a proporre un'immagine di Chiesa che «alza muri»: «La Chiesa dei no, nemica dell'uomo e indifferente ai suoi bisogni, oscurantista e contraria alla razionalità scientifica».
O al limite una Chiesa «supinamente allineata sull'opinione pubblica che si autoproclama prevalente e progressista o semplicemente muta». Bagnasco non ci sta e rileva che la Chiesa in nome del Vangelo partecipa al «dibattito pubblico», e ciò «non può essere scambiato per una minaccia alla laicità dello Stato», perché essa non vuole «imporre a nessuno la propria morale religiosa».

© Copyright Eco di Bergamo, 4 ottobre 2009

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Niente di nuovo sotto il sole, si potrbbe dire.
Guarda cosa ho trovato sul blog di Accattoli (post Ancora un consiglio al card. Bagnasco):
Stephanus scrive,
4 ottobre 2009 @ 23:42
Guarda un po’ cosa ho trovato oggi, nel volume “Lettere del pontificato” di papa Giovanni XXIII alla lettera 46, pag. 133, datata 1959. Qui papa Roncalli scrive ai vescovi d’Italia per comunicare loro il contenuto (a 30 di distanza) del famoso discroso di Pio XI “in limine mortis” circa il decennale dei Patti Lateranensi. Papap Giovanni cita letteralmente dal discorso di Pio XI del 1939, mai pronunciato per la morte del pontefice…

«Quello che stiamo per dire a voi e di voi, dobbiamo anzitutto dire a noi e di noi. Voi sapete, carissimi e venerabili fratelli, come spesso è trattata la parola del Papa. Ci si occupa, e non soltanto in Italia, delle nostre allocuzioni, delle nostre udienze, il più spesso per alterarle in falso senso ed anche, inventando di sana pianta; farci dire delle vere ed incredibili sciocchezze ed assurdità. C’è una stampa che può tutto dire contro di noi e contro le cose nostre, anche ricordando ed interpretando in falso e perverso senso la storia vicina e lontana della Chiesa, sino alla pertinace negazione di ogni persecuzione in Germania, negazione accompagnata alla falsa e calunniosa accusa di politica, come la persecuzione di Nerone s’accompagnava all’accusa dell’incendio di Roma: fino a vere e proprie irriverenze: e si lascia dire, mentre la nostra stampa non può neanche contraddire e correggere.

Voi non potete aspettarvi che la vostra parola sia trattata meglio, anche quando è parola dei sacri pastori divinamente costituiti, parola predicata o scritta o stampata per illuminare, premunire, salvare le anime. Badate, carissimi fratelli in Cristo, e non dimenticate che bene spesso vi sono osservatori o delatori (dite spie e direte il vero), che, per zelo proprio o per incarico avuto, vi ascoltano per denunciarvi, dopo, s’intende, aver capito nulla di nulla, e, se occorre, il contrario: avendo il loro favore (bisogna ricordarcene come Nostro Signore per i suoi crocifissori) la grande, sovrana scusante dell’ignoranza.

Peggio assai quando questa scusante deve cedere il posto alla aggravante di una stolta presunzione di chi crede e dice di saper tutto, mentre evidentemente non sa neppure che cosa sia la Chiesa, che cosa il papa, che cosa un vescovo, che cosa quel vincolo di fede e di carità che tutti ci lega nell’amore e nel servizio di Gesù, Re e Signore nostro. Ci sono, purtroppo, pseudocattolici che sembrano felici quando credono di scorgere una differenza, una discrepanza a modo loro (s’intende) fra un vescovo e l’altro, più ancora fra un vescovo e il papa. »
Alessia

Raffaella ha detto...

Grande Alessia :-))
R.