martedì 13 ottobre 2009

Sinodo per l'Africa, card. Turkson: "Più che la tribù può la fede" (Gaeta)


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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Su segnalazione di Scenron leggiamo:

CHIESA

IL SECONDO SINODO PER L’AFRICA: PARLA IL CARDINALE TURKSON, DEL GHANA

«PIÙ CHE LA TRIBÙ PUÒ LA FEDE»

Aids e povertà. Ma anche l’esasperato senso di appartenenza alle diverse etnie, spesso in conflitto tra loro. Pace e giustizia possono affermarsi se si cambia mentalità.

Saverio Gaeta

Non un appuntamento rituale, ma una vera e propria sfida lanciata sia all’interno che all’esterno della Chiesa cattolica. Con il passare dei giorni, la seconda Assemblea speciale per l’Africa del Sinodo dei vescovi non si sottrae ai temi caldi.
A 15 anni dalla precedente Assemblea, svoltasi fra l’aprile e il maggio 1994, le voci che si levano nell’aula Paolo VI esprimono la volontà di centrare l’obiettivo indicato da Benedetto XVI attraverso il tema prescelto: La Chiesa in Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. «Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo (Matteo 5,13.14).

Nell’omelia inaugurale, papa Ratzinger ha additato le due pericolose patologie che stanno intaccando il continente africano: anzitutto «una malattia già diffusa nel mondo occidentale, cioè il materialismo pratico, combinato con il pensiero relativista e nichilista: il cosiddetto "primo" mondo talora ha esportato e sta esportando tossici rifiuti spirituali». In secondo luogo, «il virus del fondamentalismo religioso, mischiato con interessi politici ed economici».
Come risposta, il Pontefice ha sottolineato la necessità di far emergere il primato di Dio e di mettere in primo piano la realtà dell’infanzia e la famiglia fondata sul matrimonio. Ha quindi sollecitato «la scelta pastorale di edificare la Chiesa come famiglia di Dio» e una nuova evangelizzazione «che tenga conto dei rapidi mutamenti sociali di questa nostra epoca e del fenomeno della globalizzazione mondiale».
Anche il cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson, arcivescovo di Cape Coast in Ghana e relatore generale dell’Assemblea, non ha usato mezzi termini per analizzare uno degli aspetti più problematici del rapporto fra il mondo occidentale "sviluppato" e il continente africano: l’Africa «è stata accusata per troppo tempo dai media di tutto ciò che viene aborrito dall’umanità», perciò ora occorre «cambiare marcia e dire la verità sull’Africa con amore».

Eminenza, che cosa intendeva dire?

«Spesso, quando in Occidente si parla dell’Africa, lo si fa come se si trattasse di un unico Paese, mentre si tratta di un continente, il più grande al mondo dopo l’Asia. Il primo passo è dunque quello di cominciare a considerare le singole nazioni, superando gli stereotipi e valorizzando le specifiche identità. Questo aiuta anche noi a favorire le esperienze di democrazia e di giustizia, le buone gestioni politiche, i progetti seri di sviluppo economico che cominciano a evidenziarsi in taluni territori. Condivido un’immagine che ho letto su un quotidiano italiano: ragionando dell’Africa occorre smettere di colpire i lettori allo stomaco, presentando solo storie di carestia e guerra, ma piuttosto è ora di fare appello al loro cervello».

L’Assemblea del 1994 fu descritta da Giovanni Paolo II come occasione di «risurrezione e di speranza». Quindici anni dopo qual è il bilancio?

«Durante quell’incontro festeggiammo la fine del regime razzista dell’apartheid, in Sudafrica, ma dovemmo subito fare i conti con il conflitto etnico fra Hutu e Tutsi nel territorio dei Grandi Laghi. Parlando nell’attuale Assemblea, alcuni padri sinodali hanno sostenuto che la situazione è peggiorata, con riferimento per esempio al dramma delle migrazioni e alla tratta di esseri umani, alle persistenti situazioni di dittatura e all’aumento della corruzione, alle tragedie dell’Aids e della povertà che mietono innumerevoli vittime. Io preferisco essere ottimista e vedere la luce rappresentata da quelle donne e uomini di Chiesa che, nelle nostre comunità, riescono a offrire segni di speranza. La situazione non può cambiare se non gradualmente, perciò dobbiamo considerare ogni difficoltà una sfida da affrontare e superare».

Circa l’Aids, lei ha recentemente fatto alcune considerazioni sull’uso del profilattico, suscitando anche qualche polemica...

«In Africa, ci sono moltissime persone minacciate dall’Aids e spesso la risposta delle istituzioni è quella di offrire la falsa idea che ci si possa proteggere con i preservativi. In Ghana, la Chiesa gestisce il 30 per cento dei presìdi sanitari, cosicché abbiamo potuto ben renderci conto del fatto che la scarsa qualità di questi prodotti e l’aumento dei rapporti promiscui dovuti a questa illusoria sicurezza hanno aggravato il problema. Alcuni nostri pazienti ci hanno detto che, all’interno delle coppie sposate dove un coniuge è sieropositivo, l’utilizzo del profilattico può aiutare. In ogni caso la proposta migliore è la fedeltà matrimoniale. Un interrogativo che però propongo con forza è – visto che vengono impiegate tante risorse nella produzione e nella distribuzione dei profilattici – perché non si investe anche nella produzione di farmaci retrovirali a basso prezzo?».

Ha segnalato due persistenti problemi: le difficoltà economiche dei Paesi africani e le contrapposizioni etniche persino dentro la comunità ecclesiale. Che cosa occorre fare?

«Pochi Paesi africani riescono a sostenere autonomamente il proprio bilancio economico, mentre molti altri devono dipendere dai prestiti esteri che li pongono in condizioni di sudditanza. Perciò occorre innanzitutto aiutare i Governi a realizzare programmi di industrializzazione, con cui mettere a frutto le risorse di base locali. Per superare le questioni etniche è necessario da parte della Chiesa offrire un senso diverso di appartenenza alla comunità, indicando la fede come vero fattore aggregante, ancor più della tribù».

Cosa s’aspetta da questa Assemblea?

«Spero che le nostre riflessioni aiutino tutti, compresi i leader politici nazionali, a cominciare o a proseguire più intensamente il processo di riconciliazione. È una delle parole-chiave dell’Assemblea, ma è anche una necessità dei nostri popoli, feriti da tante sanguinose vicissitudini del passato».

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