martedì 17 novembre 2009
Dal Papa la denuncia realistica di una tragedia in crescita (Bobbio)
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Prossimamente in libreria "Benedetto XVI oltre le mode del pensiero" di Francesco Antonio Grana. In anteprima la prefazione del card. Michele Giordano
L'appello del Papa
«Inaccettabili sprechi e opulenza»
La denuncia realistica di una tragedia in crescita
«Derrate distrutte in funzione del lucro economico»
nostro servizio
Alberto Bobbio
Roma
Il Papa va alla Fao e dice basta, anche se sa che forse non servirà a nulla. Eppure parla e denuncia.
Parole forti pronunciate in francese davanti a leader che contano: «La fame è il segno più crudele e concreto della povertà». E poi aggiunge, con il tono accorato dell'appello: «Non è possibile continuare ad accettare opulenza e spreco, quando il dramma della fame assume dimensioni sempre maggiori».
Mette in fila le contraddizioni economiche che s'intrecciano attorno alla questione del cibo, diventato anch'esso strumento della bolla speculativa globale , ma dice chiaramente che se il mondo lo volesse ci sarebbe cibo per tutti. Insomma, commenta Gian Maria Vian, direttore dell'Osservatore Romano, nell'editoriale di oggi, «una denuncia chiara e realistica di una situazione intollerabile».
«Cresce il numero di chi soffre la fame, ma non se ne prende coscienza». Ecco la situazione descritta da Benedetto XVI. Si muore di fame perché aumentano i prezzi dei prodotti alimentari, perché diminuiscono le «disponibilità economiche delle popolazioni più povere» e perché i poveri hanno un accesso «limitato al mercato». Tuttavia, «la Terra può nutrire tutti i suoi abitanti», cioè globalmente la produzione di cibo «è sufficiente per soddisfare sia la domanda attuale, sia quelle prevedibile in futuro». Ma ciò non accade perché siamo di fronte ad una pratica, che Ratzinger definisce «deprecabile», di distruggere «le derrate alimentari in funzione del lucro economico». È la più vistosa contraddizione che il Papa denuncia attorno al cibo. Oggi non si produce più per mangiare, ma per far aumentare o diminuire i prezzi degli alimenti, che contano sul mercato quanto quelli dell'energia e dei prodotti finanziari creativi. I prezzi s'impennano e poi scendono in picchiata, un'altalena senza fine che riempie i portafogli degli gnomi dell'economia e svuota le pance dei poveri, complici anche le regole del mercato globale delle sovvenzioni.
Benedetto XVI parla di «egoismo» come prospettiva di «modelli orientati al solo consumo» e spiega che ciò consente alla speculazione di entrare ovunque, perfino nel mercato dei cereali, considerati come una merce simile alle altre. Invece così non dovrebbe accadere, perché pane e acqua dovrebbero essere un diritto. Benedetto XVI smonta tesi di comodo, dietro a cui ci si rifugia per lavarsi mani e coscienza, come quella che sostiene una relazione di causa-effetto tra la crescita della popolazione e la fame.
Non è vero, dice il Papa: «I dati indicano l'assenza» di tale relazione. Negli ultimi due anni non c'è stato un baby boom globale che ha aumentato le bocche da sfamare, ma il numero di chi è a rischio di morte per fame è aumentato di oltre 100 milioni e ha superato la soglia del miliardo di persone. Ma quasi nessuno se ne preoccupa, se non con dichiarazioni politiche che lasciano tutto come prima.
Il Papa così è costretto a suonare l'allarme nel consesso più istituzionale che ci sia riguardo alla lotta alla fame: «Vi è il rischio che la fame venga ritenuta strutturale, parte integrante delle realtà socio-politiche dei Paesi più deboli, oggetto di un senso di rassegnato sconforto se non addirittura d'indifferenza». Ed esclama: «Non è così, non deve essere così!». Invita a ridefinire concetti e principi delle relazioni internazionali e i meccanismi della cooperazione internazionale per favorire «una vera condivisione basata sull'amore», parola che difficilmente si usa in diplomazia.
Il Papa non se ne cura e sottolinea «il diritto di ciascun Paese a definire il proprio modello di sviluppo», la necessità di cambiare le regole del commercio internazionale per sottrarle all'obiettivo della sola logica del profitto, chiede di «scongiurare il rischio di considerare il mondo rurale una realtà secondaria» e ribadisce l'urgenza da parte dei ricchi di un «cambiamento negli stili di vita personali e comunitari, nei consumi e negli effettivi bisogni». In gioco c'è la tutela dell'ambiente, perché il degrado proviene dal «desiderio di possedere e usare in maniera eccessiva e disordinata le risorse del pianeta», ma anche il «diritto primario alla vita» di tutti.
© Copyright Eco di Bergamo 17 novembre 2009
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