lunedì 23 novembre 2009
Le ragioni dell'architettura sacra contemporanea: Costruire la fede (Maria Antonietta Crippa)
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Le ragioni dell'architettura sacra contemporanea
Costruire la fede
di Maria Antonietta Crippa
Direttore scientifico dell'Istituto
per la storia dell'arte lombarda Associazione Sant'Anselmo
La recente riflessione di Paolo Portoghesi "Lo sforzo di rendere visibile la fede" ("L'Osservatore Romano", 19-20 ottobre 2009) invita a ricordare che, nel corso del XX secolo, non sono stati molti, e non tutti balzati all'onore delle cronache, gli architetti impegnati in opere sacre. Specialmente quelli che hanno applicato non solo un grande rigore interpretativo, ma anche un attento radicamento nella dinamica di continuità che caratterizza il senso della tradizione ecclesiale cattolica secondo l'ermeneutica della riforma promossa dal concilio Vaticano ii, che è "ermeneutica della riforma, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato (...) È chiaro che (...) poteva emergere una qualche forma di discontinuità e che, in un certo senso, si era manifestata di fatto una discontinuità, nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi - fatto questo che facilmente sfugge alla prima percezione. È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma" (Discorso di Benedetto XVI alla Curia romana in occasione della presentazione degli auguri natalizi, 22 dicembre 2005).
Tale insieme di continuità e discontinuità, a livelli diversi, non può non coinvolgere anche il progetto contemporaneo di chiese e l'arte attuale per le chiese, per la cui comprensione sarebbe necessario ripercorrere quanto è accaduto lungo tutto il Novecento, secolo di grandi rivolgimenti nei modi di vita, nel quale anche la dimora quotidiana degli uomini sulla Terra è stata profondamente stravolta dalle conseguenze di una innovazione tecnologica imponente.
In uno sguardo retrospettivo alla produzione di chiese nell'Occidente nel XX secolo si coglie una diversa caratterizzazione culturale fra prima e seconda metà dello stesso. Fino agli anni Quaranta-Cinquanta del Novecento infatti, il tema dell'edificio a destinazione liturgica non ha attratto, a parte rare eccezioni, gli architetti di maggior successo. La seconda parte del XX secolo può essere ritenuta, invece, l'arco temporale nel quale è venuta alla luce, in termini sperimentali, una larga attenzione per tale problema da parte di molti artisti e architetti. In ragione anche del rapido variare dell'orizzonte culturale, segnato in ambito ecclesiale dal grande evento del concilio Vaticano ii (1962-65), si è assistito a oscillazioni tra esiti di radicale secolarizzazione e vivace recupero di senso religioso. In generale si è teso a riformare lo spazio liturgico, quindi a riorganizzare le membrature architettoniche dell'edificio ecclesiastico. L'assemblea è rapidamente divenuta fatto primario, in relazione alla volontà di suscitare una piena partecipazione dei credenti all'atto liturgico e per infondere un forte senso comunitario ai fedeli. Alcune tendenze architettoniche radicali hanno mirato a ridurre l'edificio ecclesiastico da "casa di Dio" a "casa del popolo", sottraendogli la tradizionale espressività e il valore di fulcro ordinatore della struttura urbana in cui era inserito, rendendolo uno dei recinti monofunzionali della città contemporanea.
Dagli anni Ottanta, sino a oggi, si assiste a una ripresa del carattere trascendente dell'architettura ecclesiastica, ma in un contesto di profondo disorientamento espressivo. Rara ma importante è stata la ripresa di interesse per l'ontologia del tema, per quella sua "verità" che intreccia liturgia e arte-architettura in stretto dialogo. Molto spesso tuttavia i tradizionali riferimenti spaziali alla verticalità e alla emergenza-monumentalità urbana, alla qualità emozionale-intellettiva della luce sono stati interpretati attraverso il riferimento a segni e immagini di matrice soggettiva, comunque depotenziati sotto il profilo simbolico, mentre si è ritenuto di secondaria importanza l'assetto liturgico dello spazio interno. La messa a punto dell'apparato iconografico ha risposto spesso a criteri compositivi del tutto indifferenti alle necessità di devozione e meditazione dei fedeli.
La costruzione di chiese nel XX secolo nelle diverse nazioni occidentali è avvenuta all'interno di un dibattito ecclesiastico importante, ha spesso visto il concorso di personalità di rilievo tra i vescovi, ha mosso le conferenze episcopali nazionali; i vescovi hanno dato un contributo di promozione volto a rinnovare il processo di evangelizzazione su scala nazionale. Note sono, in particolare, negli anni Trenta in Francia, le iniziative dei "Chantiers du cardinale"; negli anni Cinquanta quelle del cardinale Josef Frings di Colonia; negli anni Sessanta quelle degli arcivescovi di Bologna, Milano, Torino. Negli ultimi decenni l'apertura della Chiesa alle manifestazioni artistiche contemporanee non ha impedito una applicazione imprudente delle novità liturgiche, con accenti diversi a seconda dei liturgisti, in nuove chiese e per l'adeguamento di quelle esistenti.
Portoghesi ha concentrato la propria attenzione sul rapporto polare "Chiesa spirituale chiesa costruita"; il brevissimo excursus qui tracciato segnala un intreccio storico tra i due poli che non è facile dipanare individuando le diverse responsabilità. Tale rapporto polare può essere articolato, innanzitutto tramite la messa in luce dei fondamenti della dinamica della ricerca di architetti e artisti. Esiste infatti una riflessione sul senso del progetto architettonico che viene prima dell'opzione linguistica. Si tratta della relazione dialogica che il progettista o l'artista intrattiene con l'insegnamento e la tradizione ecclesiale, da una parte, con la cultura costruttiva e artistica del proprio tempo, dall'altra, e che prende corpo sostanzialmente nel suo vivo pensare e sentire, manifestandosi nella capacità di dar ragione della speranza che sostiene e qualifica, per sé innanzi tutto, il progetto. Non è un caso che i più consapevoli architetti costruttori di chiese si siano impegnati nella manifestazione di tali ragioni, non assumendosi il ruolo di pastori o teologi, ma dando limpida testimonianza di profonda immedesimazione nelle ragioni per le quali la Chiesa ha continuamente necessità di chiese parrocchiali, di santuari, di cattedrali, di monasteri. Si pensi, ad esempio al tedesco Rudolf Schwarz (1867-1961), interprete dell'ideazione di un "edificio sacro che può venire solo da realtà sacre", o all'italiano Enrico Castiglioni (1924-2000), per il quale l'edificio della chiesa è episodio limite dell'architettura, in quanto luogo di "inveramento di una Presenza" attiva nei segni, o a dom Hans van del Laan (1904-1991), che ha elaborato una razionale correlazione tra "natura, cultura e liturgia nell'arte sacra". Il cerchio può essere ulteriormente allargato ad altri, da Antoni Gaudì (1852-1926) a Gio Ponti (1891-1979), lungo tutto il XX secolo.
La loro produzione d'architettura e le loro riflessioni, aspetto non secondario di quel dialogo tra Chiesa e artisti invocato da Paolo VI alla chiusura del concilio Vaticano ii, segnala il superamento della penosa e fuorviante polemica, che ha attraversato tutto il secondo Novecento e che serpeggia ancora oggi, relativa all'interrogativo se debbano essere credenti o no gli architetti progettisti di chiese e gli artisti che ne definiscono il programma liturgico. Poiché testimoniano che il problema di una architettura e di un'arte sacra è endogeno, con genesi quindi all'interno della Chiesa, questi architetti invitano alla seria presa d'atto di una responsabilità, di approfondimento e comprensione, del senso e del compito della Chiesa, per corrispondervi con il proprio lavoro.
(©L'Osservatore Romano - 23-24 novembre 2009)
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2 commenti:
La Chiesa è uno spazio organizzato attorno alla Presenza reale di Cristo e luogo per culto che il Popolo di Dio rende con il sacrificio di lode.
Perchè dire in modo complicato ciò che è semplice? La catechesi del Papa sulle Chiese romaniche e gotiche è da rileggere.
L'analisi di Sgarbi sulla l'incontro degli artisti con il Papa mi pare davvero condivisibile.
Pietro
L'articolo non dice cose semplici in modo complicato. Difende esperienze molto discutibili (Colonia, Schwarz, Bologna, ecc.), che sono alla radice del disorientamento attuale. Le chiese non sono più chiese perché la ricerca teorica che c'è dietro non era e non è cattolica.
Conviene leggere "L'Architettura del Corpo Mistico", di Steven J. Schloeder, per capirlo.
Ciro
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