mercoledì 18 novembre 2009
Perché Benedetto non snobba Marx (Ruggero Orfei)
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Prossimamente in libreria "Benedetto XVI oltre le mode del pensiero" di Francesco Antonio Grana. In anteprima la prefazione del card. Michele Giordano
Perché Benedetto non snobba Marx
Ruggero Orfei
Non ha suscitato la risonanza che si poteva attendere quella che sembra essere una vera apertura di gioco. Quando l’Osservatore romano ha pubblicato un testo quasi completo del saggio del teologo Georg Sans su “Che cosa rimane di Marx dopo la caduta del muro di Berlino”, pubblicato dalla pure ufficiosa rivista dei Gesuiti La civiltà cattolica (17 ottobre), si poteva pensare ai seguiti, a un dibattito, a uno sforzo di comprensione. Non pare ci siano stati finora.
Il teologo col suo studio puntava a due risultati: il primo quello di fare un bilancio culturale dell’opera di Marx; l’altro di accreditare un’ipotesi di lavoro che parte dal presupposto che nella storia della cultura non possono esserci lacune e che pertanto occorresse cogliere quella che monsignor Olgiati avrebbe chiamato “anima di verità”. Adesso il discorso è aperto, soprattutto a causa dell’ufficialità delle sedi in cui si è iniziato, con qualche intenzione a modo suo programmatica.
L’intenzione di vederci più chiaro nel pensiero di Marx si può fare risalire a papa Benedetto XVI che già nell’enciclica Spe Salvi del 3 novembre 2007 aveva scritto a pagina 20: «Con puntuale precisione, anche se in modo unilateralmente parziale, Marx ha descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione – non solo teoricamente: con il partito comunista, nato dal manifesto comunista del 1848, l’ha anche concretamente avviata. La sua promessa, grazie all’acutezza delle analisi e alla chiara indicazione degli strumenti per il cambiamento radicale, ha affascinato ed affascina tuttora sempre di nuovo. La rivoluzione poi si è anche verificata nel modo più radicale in Russia. Ma con essa si è reso evidente anche l’errore fondamentale di Marx». Cioè non aveva detto niente su cosa si poteva attendere successivamente dalla rivoluzione, a parte il meccanicismo di certi risultati deterministici dei cambiamenti economici e sociali.
Nella più recente enciclica Caritas in Veritate il papa va oltre: il riferimento a Marx cede il passo a un vero utilizzo di categorie interpretative del capitalismo e dello sfruttamento nella società contemporanea.
Soprattutto nella valorizzazione del lavoro come creatività e come espressione della persona sulla quale devono rifluire tutti i vantaggi sociali dell’esistenza terrena.
In questa segnalazione non si può andare molto oltre e si dovranno trovare sedi di esami più accurati.
Tuttavia non mancano altri esempi di analisi sociali come quella del teologo E.-W. Böckenförde (in Il Regno, numero 10) e altri.
L’apertura di gioco non significa la fondazione di una corrente dialogante o tendente a stabilire commistioni teologiche e teoretiche, ma di assumere quel che in un grande lavoro di analisi sociale ed economica può servire a creare un nuovo ordine sociale, in uno sviluppato ambiente umano rinnovato o da rinnovare.
Per suo conto Sans fa molte precisazioni storiche, chiarendo che molto equivoci vengono non da Marx ma dal suo primo interprete che fu Engels e poi tutto il cosiddetto marx-leninismo che fu costruito per iniziativa dagli “scolastici” di Stalin quale “sistema” del materialismo storico e dialettico, insegnato negli appositi manuali di Mosca e di Leningrado.
Qui potremmo ricordare che Marx non elaborò mai un “sistema” né economico né filosofico. Morì molto prima di aver messo mano al completamento della sua opera fondamentale, Il Capitale, e prima di aver elaborato quella che a lui stava molto a cuore e che era la “dialettica”che avrebbe dovuto chiarire la sua visione generale del mondo. L’opera incompiuta aveva certi principi generali, quali ad esempio la convinzione che la rivoluzione comunista avrebbe cambiato l’uomo (Manoscritti già nel 1844), la dominanza dell’economia, la forza delle relazioni sociali, non la dominanza dello stato che sarebbe stata solo provvisoria nella transizione, l’immanentismo assoluto, come poi chiarirà in Italia Antonio Gramsci. A conferma ci sono le stesse dichiarazioni di Marx che scriveva al genero Lafargue di non essere marxista. E negava l’appellativo a se stesso e anche agli altri che volevano un “sistema politico” marxista. Engels stesso si attivò per smentire l’esistenza di un sistema marxista. Un problema di analisi di concetti e di linguaggi nonché di vicende storiche e intellettuali, che meritano un’attenzione che ancora non c’è e che quasi stranamente ci vengono segnalate senza clamore dal papa e dai suoi teologi.
© Copyright Europa 18 novembre 2009 consultabile online anche qui.
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