martedì 18 agosto 2009

Mons. Bartolucci: bene il Papa con il motu proprio "Summorum Pontificum". Ora serve una riforma dei seminari (Izzo)


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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

PAPA: MONS. BARTOLUCCI, BENE MOTU PROPRIO, ORA RIFORMI SEMINARI

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 17 ago.

''Difendere il rito antico non e' essere passatisti, ma essere 'di sempre': si sbaglia quando la messa tradizionale la si chiama 'Messa di San Pio V' o 'Tridentina', come se fosse la messa di un'epoca particolare: e' la nostra messa romana, universale nel tempo e nei luoghi, un'unica lingua dall'Oceania all'Artico''.
Lo afferma in un'intervista mons. Domenico Bartolucci, il grande musicista al quale Benedetto XVI nel 2006 ha reso onore come ''maestro perpetuo'' della Cappella Sistina, dalla quale era stato allontanato per il suo dissenso riguardo all'uso liturgico della musica moderna.
Un Papa che nel colloquio pubblicato da ''Disputationes Theologicae'', Bartolucci definisce ''una grazia immensa per la Chiesa, se solo lo facessero lavorare''.
''A dire il vero - confida il prelato ultranovantenne riguardo alla messa in latino che Papa Ratzinger ha liberalizzato due anni fa quale 'forma straordinaria' del rito in vigore - io l'ho sempre celebrata ininterrottamente, a partire dalla mia ordinazione''. Questa liturgia, rileva Bartolucci, ''non e' mai stata abolita: sono le parole del Santo Padre anche se qualcuno fa finta di non capire e anche se molti hanno in passato sostenuto il contrario''.
Secondo il grande musicista, ''la riforma e' stata fatta da gente arida'' e ''non e' affatto vero che prima la liturgia non fosse partecipata''. Sostenerlo, ricorda, ''fu una moda: tutti parlavano, tutti 'rinnovavano', tutti pontificavano, sulla scia del sentimentalismo, di riforme. E le voci che si levavano in difesa della Tradizione bimillenaria della Chiesa, erano abilmente azzittite. Si invento' una sorta di 'liturgia del popolo'''. Tutto questo pero' e' ormai alle spalle: per mons. Bartolucci, infatti, ''le giovani generazioni di sacerdoti sono, forse, migliori di quelle che li hanno preceduti, non hanno i furori ideologici mutuati da un modernismo iconoclasta, sono pieni di buoni sentimenti, ma mancano di formazione.
Vuol dire - spiega - che ci vogliono i seminari: quelle strutture che la sapienza della Chiesa aveva finemente cesellato nei secoli. Una retorica stolta fece passare l'immagine che il seminario rovinasse il prete, che i seminaristi, lontani dal mondo, rimanessero chiusi in se' e distanti dalla gente. Tutte fantasticherie per dissipare una ricchezza formativa plurisecolare e per poi rimpiazzarla con il nulla''.
Nell'intervista, mons. Bartolucci mette in quardia anche dai rischi - sperimentati prima del Concilio ma che potrebbero tornare d'attualita' - di un recupero archeologico, tanto in musica che in liturgia, di un passato lontano dal quale ci separavano i cosiddetti 'secoli bui' del Concilio di Trento.
Un 'archeologismo' insomma, che non ha nulla a che vedere con la Tradizione e che vuol restaurare cio' che non e' forse mai esistito.
Un po' come certe chiese restaurate in stile 'pseudoromanico' da Viollet-le Duc.
Fra un archeologismo che si vuol ricongiungere al passato apostolico, prescindendo dai secoli che da esso ci separano: tra un romanticismo sentimentale che disprezza la teologia e la dottrina, in un'esaltazione dello 'stato d'animo', si preparo' - ricorda Bartolucci - il terreno a quell'attitudine di sufficienza nei confronti di cio' che la Chiesa e i nostri Padri ci avevano trasmesso''.

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