sabato 10 ottobre 2009

Sinodo per l'Africa: chiusa la prima settimana di lavori. Intervista con l'arcivescovo di Addis Abeba (Radio Vaticana)


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SINODO PER L'AFRICA (4-25 OTTOBRE 2009): LO SPECIALE DEL BLOG

Sinodo per l'Africa: chiusa la prima settimana di lavori. Intervista con l'arcivescovo di Addis Abeba

Con la decima Congregazione generale, si è chiusa stamani la prima settimana di lavori del secondo Sinodo dei Vescovi per l’Africa, in corso in Vaticano sui temi della riconciliazione, la giustizia e la pace. Oggi pomeriggio, alle 18.00, i Padri Sinodali si sposteranno in Aula Paolo VI per assistere alla Preghiera del Rosario “con l’Africa e per l’Africa”, guidata da Benedetto XVI, insieme agli universitari degli Atenei romani. Collegati via satellite ci saranno anche i giovani studenti di nove Paesi africani: Egitto, Kenya, Sudan, Madagascar, Sud Africa, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Mozambico e Burkina Faso. Durante i lavori sinodali di questa mattina, intanto, si è riflettuto sul ruolo primario della famiglia come strumento di pace, sulla difesa delle donne e sulla tutela degli immigrati. La cronaca nel servizio di Isabella Piro:

Se educhiamo un uomo, educhiamo un individuo, ma se educhiamo una donna, educhiamo una famiglia e, attraverso di essa, un’intera nazione. Questa riflessione ha sintetizzato al meglio l’importanza che il Sinodo dei Vescovi ha riservato, durante i lavori odierni, alla difesa della famiglia e delle donne. Perché è da esse che inizia il processo di pace. Nel nucleo familiare, inteso come “Chiesa domestica”, infatti, si nutrono e si condividono i valori spirituali necessari alla riconciliazione. No, quindi, alle violenze sulle donne, no alla poligamia, no alla terribile usanza di sacrificare il figlio primogenito. Sì, invece, ad una maggiore diffusione della “Carta dei diritti della famiglia” perché diventi il cardine dei dibattiti democratici; e sì anche ad una catechesi familiare continua e ad organi diocesani speciali che siano in costante dialogo con le autorità civili, per assicurare che le necessità della famiglia siano rispettate.

L’Aula del Sinodo ha guardato, poi, agli immigrati africani, presenti in molti Paesi dell’Occidente e si è appellata perché non vengano mai negati loro i diritti e l’assistenza, come invece avviene frequentemente. Allo stesso tempo, i Padri Sinodali ribadiscono: non saranno le barriere politiche a fermare le migrazioni clandestine, ma la riduzione effettiva della povertà attraverso lo sviluppo economico e sociale dell’Africa.

Tra gli altri temi salienti, la necessità di una riflessione sui matrimoni misti, l’invito rivolto ai fedeli laici ad essere attivi nella vita politica, senza dimenticare i valori cristiani, e l’appello per l’abolizione della pena di morte in tutta l’Africa.

Poi, alcuni suggerimenti: pensare ad un nuovo rito di esorcismo, basato sul vecchio, per combattere la stregoneria molto diffusa in Africa; puntare al microcredito per aiutare i poveri e proteggere l’ecosistema per conseguire la pace.

Ieri pomeriggio, invece, i Padri Sinodali hanno riflettuto sul ruolo dei rappresentanti pontifici che, si è detto, danno voce al Papa nella difesa della dignità della persona e dei suoi diritti fondamentali. Centrale anche l’auspicio che si possa cancellare il debito estero dell’Africa e che si giunga alla creazione di un osservatorio permanente per la prevenzione dei conflitti. Particolare, inoltre, il suggerimento di pensare ad una pastorale nomade per tutti gli africani non stanziali.

Ma a dominare il pomeriggio di ieri è stato l’intervento di Rudolf Adada, già capo dell’Unamid, la missione di pace nel Darfur istituita nel 2007 congiuntamente dall’Onu e dall’Unione Africana. In veste di Invitato Speciale al Sinodo e alla presenza del Papa, Adada ha ricordato che con 200mila militari, 6mila poliziotti e altrettanti civili, l’Unamid è la missione di pace più grande del mondo. Ma non basta, perché il conflitto nella regione sudanese occidentale del Darfur, che va avanti da sei anni, non vede all’orizzonte un accordo di pace e questa missione di peacekeeping, in realtà, non ha pace da mantenere:

"Aujourd’hui, en termes purement numériques, nous pouvons dire…"

Certo, ha ribadito Adada, dopo il periodo critico del 2004, oggi si può dire che il conflitto del Darfur è di bassa intensità, ma solo in termini numerici, perché esso non è affatto concluso. Serve un accordo di pace, allora, che sia inclusivo e comprenda tutta la società civile.

"Il n’y a pas de solution militaire au problème du Darfour…"

Non c’è soluzione militare per il Darfur, ha aggiunto Adada, ma occorre un accordo politico. Nel suo intervento, Adada si è soffermato anche sul mandato di arresto spiccato dalla Corte penale internazionale contro il presidente del Sudan, Omar al-Bashir e, a titolo strettamente personale, ha parlato della creazione di una situazione di stallo: chi vorrebbe negoziare con un presidente che finirà arrestato?

Infine, l’Invitato Speciale al Sinodo ha chiesto un rafforzamento dell’Unamid e ha ribadito:

"L’Église a un rôle majeur à jouer dans un Soudan…"

La Chiesa è una forza di pace ed ha un ruolo preminente da svolgere nel Sudan, Paese cerniera tra due mondi, l’Africa e il mondo arabo.

Dal Sinodo è partita intanto la proposta di nominare un rappresentante permanente della Santa Sede presso l’Unione Africana che partecipi alle riunioni e possa mantenere un contatto personale con i membri di questa istituzione. L’iniziativa è stata presentata dall’arcivescovo di Addis Abeba e presidente della Conferenza episcopale etiopica, mons. Berhaneyesus Demerew Souraphiel. Nel suo intervento il presule ha anche esortato il Sinodo a studiare le cause alla base del traffico di esseri umani e delle migrazioni. “La vita degli africani è sacra e non priva di valore come invece sembra essere vista da molti media”, ha detto mons Souraphiel. Paolo Ondarza lo ha intervistato a partire dalla proposta di un rappresentante della Santa Sede all’Unione Africana:

R. – Questo sarebbe molto importante, perché la Chiesa universale ha una voce forte. Grazie a Dio, la voce del Papa e della Santa Sede ha un valore grande. Così, se la Santa Sede avesse un nunzio all’Unione Africana, la voce della Chiesa africana potrebbe essere sentita meglio.

D. – E questo lei crede sarebbe accolto bene anche da quei Paesi a maggioranza musulmana?

R. – Penso di sì, perché in molti casi i musulmani considerano la posizione cattolica, come per esempio per quanto riguarda il rispetto della vita. Noi educhiamo tanti musulmani, nelle nostre scuole e per questo loro sanno che noi svolgiamo questo lavoro senza forzare i musulmani a diventare cattolici; invece, diciamo loro che devono studiare per diventare voce per il loro popolo. Ma a livello dell’Unione Africana, più della metà dei membri sono cattolici! Ecco perché penso che questo nunzio possa anche aiutarli a prendere posizione secondo gli insegnamenti della Dottrina sociale della Chiesa.

D. – Lei ha invitato a studiare le cause che sono alla base del traffico di esseri umani

R. – Io penso che questa situazione sia molto, molto seria per quanto riguarda la tratta delle donne e dei minori. Dal Sinodo deve uscire una forte presa di posizione su questo!

D. – Lei crede che una delle cause della tratta risieda in Africa?

R. – Sì: deve esistere una sorta di “accordo” internazionale, perché le persone non arrivano facilmente in Europa! Ci sono persone che hanno già pronti i visti d’ingresso: chi organizza tutto questo? Dopo gli armamenti e la droga, la tratta degli esseri umani è ora un business internazionale!

D. – Mons. Souraphiel, mi volevo soffermare sulla situazione nel suo Paese, in particolare per quanto riguarda la vita della Chiesa, la condizione dei cristiani

R. – La Chiesa cattolica non è molto diffusa, in Etiopia, conta solo l’un per cento della popolazione. Lei sa che ha parlato, qui, il Patriarca Abuna Paulos della Chiesa ortodossa etiopica: loro rappresentano più del 45% della popolazione, per oltre 40 milioni di cristiani ortodossi in Etiopia. In Etiopia, i cristiani vogliono rimanere nel loro Paese …

D. – Lei ha detto che la povertà è una piaga per l’Etiopia

R. – Devo dire che molte donne emigrano verso il Medio Oriente: perché vanno lì? Perché in Africa non c’è lavoro. Ma per andare lì, prima di tutto devono cambiare il loro nome cristiano in un nome musulmano, devono vestire come i musulmani … Posso dire che per la prima volta, in Etiopia, la povertà sta costringendo le persone a rinnegare la loro eredità cristiana. Quindi, emigrano, non sono pagati molto perché non sono qualificati … Ecco perché dico che ci sono cose che noi africani dobbiamo cambiare. Quando le donne o altre persone emigrano, è meglio preparare bene queste persone, offrire loro una preparazione professionale qualificata in modo che possano guadagnare di più e mandare più denaro alla loro famiglia, nel Paese d’origine.

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