venerdì 23 ottobre 2009
L'apertura agli Anglicani rilancia il dialogo ecumenico (Bobbio)
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L'apertura agli anglicani rilancia il dialogo ecumenico
nostro servizio
Alberto Bobbio
Città del Vaticano
Non è assolutamente il funerale per la Comunione anglicana.
Anzi potrebbe essere vero proprio il contrario. La decisione del Papa di accogliere nella Chiesa cattolica, con una forma canonica speciale, quei gruppi di fedeli anglicani che intendono abbracciare la fede cattolica, potrebbe alla fine rafforzare l'arcivescovo di Canterbury di fronte alle derive liberali e progressiste.
E potrebbe rimettere in pista un autentico dialogo ecumenico tra Londra e Roma, rallentato fortemente negli ultimi anni dalle ordinazioni femminili, di vescovi omosessuali conviventi e dalla benedizione di coppie gay.
A tre giorni dall'annuncio della Costituzione apostolica, che regolerà il rientro nella Chiesa apostolica romana degli anglicani che lo chiederanno, si può precisare meglio quella che appare sicuramente una vera rivoluzione voluta da Benedetto XVI, uomo che non ha mai amato soluzioni facili, poiché esse di solito lasciano troppi cocci in giro e una scia di equivoci e sospetti. Ciò che è stato previsto invece ha lo spessore della complessità e non può essere liquidato come una vittoria cattolica sugli scismatici anglicani, né tanto meno indicato come un salutare indebolimento della Comunione anglicana.
Infatti, se fosse così, sarebbe stata scelta una strada più semplice, già sperimentata in passato dalla Chiesa con le comunità ortodosse, cioè l'uniatismo, Chiese orientali che mantengono tutti i loro rituali liturgici ed ecclesiali, ma sono unite a Roma, riconoscendo il primato del Papa.
Eppure l'uniatismo è stato sempre causa di divisioni e polemiche sul piano ecumenico e di accuse reciproche di proselitismo.
Invece in questo caso nessun anglicano ha accusato Roma di «rubare» fedeli. Ma neppure si può dire che nella Chiesa vi saranno fedeli anglicani di rito cattolico, cioè che mantengono tutte le tradizioni anglicane e abbracciano solo la liturgia di Roma, come avviene per alcune antichissime e apostoliche Chiese orientali.
Il cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha detto con chiarezza che chi chiederà di entrare deve condividere la fede cattolica «espressa nel Catechismo della Chiesa cattolica e accettare il ministro petrino come elemento voluto da Cristo per la Chiesa».
In pratica bisognerà tornare ad una situazione precedente l'Atto di supremazia di Enrico VIII, che fece nascere la Comunione anglicana, dopo la scomunica di Clemente VII per aver divorziato da Caterina d'Aragona e aver sposato Anna Bolena.
Insomma il Papa è preoccupato di salvaguardare la tradizione secolare della Chiesa d'Inghilterra, un patrimonio ben anteriore allo scisma, e che negli anni passati, soprattutto a metà del secolo Novecento, anche attraverso l'opera di Paolo VI, aveva fatto avvicinare moltissimo Londra e Roma, al punto che erano molti a ritenere possibile superare scomuniche reciproche e scelte scismatiche.
Ecco perché la decisione di Benedetto XVI va nella direzione di un rafforzamento del dialogo ecumenico.
La vicenda è indubbiamente delicata. Ma il fatto che sia stata accolta positivamente dall'arcivescovo di Canterbury è un segnale positivo. Non è stata una sua resa a Roma, ma un passo avanti nella cooperazione e nelle relazioni.
Potremmo dire, per semplicità, che la decisione del Papa risolve qualche problema al primate anglicano.
L'anno scorso, prima delle Conferenza di Lambeth, che ogni dieci anni riunisce vescovi delle Chiese anglicane per fare il punto su questioni dottrinali e di prassi ecclesiale, circa 300 vescovi si erano incontrati a Gerusalemme in contestazione al primate, accusandolo di essere troppo debole circa le derive laico-progressiste.
Il primate Williams li aveva rassicurati, replicando tuttavia che lui è solo il «primus inter pares» nella Comunione anglicana. Ciò nonostante 200 vescovi non parteciparono a Lambeth, con grandi rischi di un nuovo scisma dentro la Comunione, dopo quello dell'inizio degli Anni Novanta, che aveva visto staccarsi gli anglicani più tradizionalisti riuniti nella Traditional anglican community, i quali già nel 2007 avevano fatto passi formali per discutere un ricongiungimento con Roma. Ma la Santa Sede ha preferito aspettare, poiché accogliere solo i vescovi più tradizionalisti avrebbe irritato Canterbury e incrinato ancor di più il dialogo ecumenico.
La decisione di tre giorni fa invece non è frutto di trattativa: il Papa ha aperto la porta di Roma, senza compromessi, mostrando la verità della Chiesa cattolica e spiegando che ogni cristiano viene accolto con amore e misericordia.
È il metodo pastorale di Benedetto XVI, che lascia spalancata al tempo stesso anche la via del dialogo ecumenico.
L'arcivescovo di Canterbury, a questo punto, potrebbe dedicare più energie a rafforzare il suo ruolo e a rintuzzare le derive di alcune delle Chiese anglicane, meno preoccupato di uno scisma interno che avrebbe polverizzato la Comunione anglicana, con grave danno a moltissimi fedeli.
In questa prospettiva passa in secondo piano la questione dell'accoglienza dei preti sposati, rilanciata con grande risalto dai media, anche perché non è una novità. Né si può dire che il «lodo anglicano» apre la via all'accoglienza dei lefebvriani, perché in questo caso restano le difficoltà dottrinali circa l'accoglienza del Concilio.
© Copyright Eco di Bergamo, 23 ottobre 2009
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1 commento:
Raffa, sul Riformista a pag. 1 e 6 ho trovato "Divisioni tra Bagnasco e il Papa?".
Come previsto Farinella ha risposto a Bertone:
http://www.lavocedifiore.org/SPIP/article.php3?id_article=4483
alessia
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