giovedì 22 ottobre 2009
Il cardinale Newman e i preti sposati. Due commenti d’autore (Magister)
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Su segnalazione della nostra Alessia leggiamo:
Il cardinale Newman e i preti sposati. Due commenti d’autore
Sull’annunciato ingresso di comunità anglicane nella Chiesa cattolica ci sono arrivati due commenti notevoli: l’uno dai devoti del canonizzando cardinale Newman, e l’altro da un eminente studioso di liturgia, il professor Cesare Alzati.
1. Da Londra Br. Lewis Berry, dell’Oratorio di san Filippo Neri, ci segnala che già nel 1876 John Henry Newman, convertito al cattolicesimo, aveva studiato un piano per creare una sorta di Chiesa anglicana “uniate”, simile a quelle di rito orientale unite a Roma. Il piano aveva l’appoggio del cardinale Manning, all’epoca arcivescovo di Westminster.
Presto il piano fu accantonato.
Ma Newman si disse convinto che in futuro sarebbe divenuto prezioso. E il “tempo giusto” lo vedeva coincidere con una crescente sfida del secolarismo, che avrebbe messo in crisi soprattutto la Comunione anglicana e quindi avrebbe incoraggiato la parte più fervente di essa a trovare rifugio nella Chiesa cattolica, molto più solida nel custodire integra la fede e nel resistere alla sfida.
In effetti, è proprio ciò che sta accadendo in questi anni. Con la Comunione anglicana devastata dalle derive laico-radicali e con un numero crescente di sue comunità che bussano alla porta della Chiesa cattolica.
Il testo è nel sito che sostiene la causa di canonizzazione del cardinale Newman: “Benedict XVI and Anglican Converts: Newman’s Perspective“.
(traduzione automatica qui)
2. Il secondo commento ci è affidato dal professor Cesare Alzati, ordinario di storia del cristianesimo, per venticinque anni docente di storia della liturgia all’università di Pisa e autore di un recente volume capolavoro su “Il Lezionario della Chiesa ambrosiana”, edito dalla Libreria Editrice Vaticana.
Nella sua nota, il professor Alzati affronta tra l’altro una questione che è stata riaffacciata in questi giorni: quella del reintegro nel ministero – sulla scia dei pastori anglicani con moglie e figli che diverrebbero sacerdoti della Chiesa cattolica – anche dei preti cattolici ridotti allo stato laicale per essersi sposati.
Alzati esclude decisamente la cosa. E spiega perché. Ecco qui di seguito il suo commento completo.
*
Il papa Benedetto XVI, con ennesimo coraggioso gesto, si appresta ad accogliere nella comunione della Chiesa di Roma ecclesiastici e fedeli anglicani desiderosi di confermare la propria adesione alla Chiesa una e santa, professando con essa – secondo l’insegnamento dei padri oxoniensi – “quod semper, quod ubique, quod ab omnibus”, senza peraltro abbandonare il retaggio di pietà e di santità a loro trasmesso dalla Chiesa d’Inghilterra nella sua secolare tradizione, radicata in un patrimonio ben anteriore allo scisma.
Ritengo che da tale atto solenne, destinato ad assumere un fondamentale rilievo nella storia delle Chiese cristiane, venga anzitutto uno straordinario contributo alla salvaguardia della stessa tradizione della Chiesa d’Inghilterra, nei suoi aspetti più vitali e luminosi, che nei secoli scorsi si sono irradiati nel mondo intero, fino a generare la Comunione anglicana, e che nel Novecento in modo tanto decisivo hanno contribuito alla crescita della tensione ecumenica tra le diverse componenti del mondo cristiano.
Credo altresì che la decisione rappresenti, nell’immediato, non meno che in una prospettiva di lunga durata, anche un prezioso contributo alla vita intellettuale britannica, costituendo un segno di rispetto e di rinnovata attenzione ai fondamenti spirituali, che hanno alimentato la vicenda storica dell’Inghilterra e che ne hanno corroborato lo sviluppo culturale e civile.
Merita al riguardo segnalare un altro particolare aspetto, non marginale, relativo al problema dell’ordinazione dei ministri anglicani dopo il loro ingresso nella comunione cattolica.
Sono convinto che sulla questione delle ordinazioni anglicane, prima dell’introduzione del ministero femminile, si sarebbe potuta sviluppare un’ulteriore riflessione da parte cattolica, stanti gli ulteriori dati storici acquisiti al riguardo.
Ora il problema mi pare superato dai fatti e la prevista ordinazione dei ministri accolti nella comunione cattolica assume anche il significato di certificare la radice apostolica del loro ministero, sulla quale molti sono stati indotti a dubitare dalla nuova situazione determinatasi nella loro Chiesa d’origine e nella Comunione anglicana.
La prevista ordinazione non è peraltro priva di riflessi anche per l’ambito cattolico.
Quando nella prima parte degli anni Novanta i ministri, che allora lasciarono la Chiesa d’Inghilterra, furono inserti nella Chiesa romano-cattolica del Regno Unito, non mancarono all’interno di questa preti e comunità che chiesero la reintegrazione di quanti, tra gli ecclesiastici cattolici, avevano lasciato il ministero per contrarre matrimonio.
Al riguardo va osservato che – a parte il can. 10 di Ancyra che ha avuto eco soltanto in area siro-orientale – l’insieme di tutte le Chiese di tradizione apostolica ha sempre ritenuto, almeno in via di principio, che non possa darsi matrimonio dopo l’ordinazione, pena l’abbandono del ministero (cfr. can. 1 di Neocesarea).
La preventivata ordinazione dei ministri di provenienza anglicana viene a sanare, in modo generalizzato e con ogni evidenza, pure qualsiasi possibile difetto canonico al riguardo.
Il loro caso, pertanto, non potrà in alcun modo considerarsi un precedente cui riferirsi per scardinare l’ordine disciplinare all’interno del corpo ecclesiale cattolico-romano e renderà, anche sotto tale aspetto, il ministero dei nuovi ordinati pienamente conforme ai canoni antichi della Chiesa indivisa e pertanto canonicamente ineccepibile pure agli occhi dell’Oriente cristiano, sia ortodosso che unito.
Peraltro, stanti le considerazioni sopra esposte in merito alle ordinazioni anglicane, mi parrebbe auspicabile che – con modalità simile a quella seguita dalla Comunione anglicana in riferimento ai ministri di culto di dubbia successione apostolica operanti nel quadro della Chiesa costituitasi nell’India del Nord e nel Pakistan – non si procedesse all’ordinazione con la consueta formula del Pontificale Romano, ma si elaborasse una formula specifica di ordinazione, finalizzata all’esercizio, da parte di questi ecclesiastici, del ministero presbiterale nella Chiesa Cattolica.
(Di Cesare Alzati, 22 ottobre 2009).
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