sabato 14 novembre 2009

A caccia di ET su mandato del Papa (Galeazzi)


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A caccia di Et su mandato del Papa

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GIACOMO GALEAZZI

CITTA' DEL VATICANO

A caccia di Et su mandato del Papa.
«Nello spazio ci sono le condizioni per la vita extraterrestre», spiega il direttore della Specola vaticana, padre José Funes, quindi «ha senso cercare forme di vita fuori dalla Terra anche se per ora non ve n’è alcuna prova». Nonostante l’astrobiologia sia un campo nuovo e un argomento in via di sviluppo «le domande sulle origini della vita e sulla presenza di vita fuori dalla Terra, nell’universo, sono legittime e meritano seria considerazione». E la Santa Sede, risolte le implicazioni di carattere filosofico e teologico, ha deciso di affrontarle, significativamente, proprio a cominciare dal punto di vista scientifico.
Padre José Gabriel Funes, 45 anni, si occupa per incarico personale di Benedetto XVI di astrobiologia, cioè quella branca dell’astronomia che esamina le implicazioni biologiche connesse alla diffusione negli spazi interstellari, ed eventualmente su pianeti e satelliti del sistema solare, del materiale pertinente alla chimica organica che è stato ampiamente individuato sia nello studio dello spazio profondo sia delle comete. Cioè, «la scienza che studia la possibilità che vi sia vita dentro e oltre il nostro sistema solare». Consultati decine di fisici, chimici, astronomi, biologi e geologi e messi a confronto i risultati delle loro ricerche, la Pontificia Accademia delle Scienze e la Specola vaticana ritengono «plausibile» l’esistenza di centinaia di milioni di luoghi abitabili nella sola Via lattea, che è solo una dei miliardi di galassie dell’universo.
In Curia è palpabile la sensazione che l’universo ospiti forme di vita e c’è la speranza che «solo pochi anni ci separino ormai dalle prime scoperte». Su Europa, satellite di Giove, per esempio, la Santa Sede ritiene che una vasta distesa d’acqua, primo elemento necessario alla vita, giaccia sotto una calotta di ghiaccio. Occorrerà, però, attendere, per esserne certi, una missione in programma per il 2020.
«Se ci fosse un incontro tra l’uomo e forme di vita extraterrestre, capiterebbe all’umanità quello che è successo quando gli europei hanno incontrato altre popolazioni - sottolinea il gesuita Funes -. Possiamo anche immaginare cosa possano aver pensato le persone nate in America quando si sono incontrate con gli europei. Sarebbe anche un incontro di culture e civilizzazione». Sulla possibile presenza di altre forme di vita nel cosmo, aggiunge: «Non possiamo fare un grande annuncio dicendo che abbiamo scoperto la vita nell’universo. Bisogna dare agli scienziati la possibilità di poter continuare con le loro ricerche, perché nel fare ricerca possiamo imparare tante cose». Una «nuova frontiera» resa possibile «dall’inestimabile patrimonio scientifico» di Galileo Galilei che quattro secoli fa ha cambiato il modo di vedere la relazione dell’uomo con l’universo.
«Negli ultimi 15 anni – evidenzia l’astronomo del Papa - le innovazioni tecnologiche hanno portato alla scoperta di oltre 400 pianeti oltre il sistema solare. È plausibile ritenere che ci siano molteplici luoghi abitabili nella Via Lattea. Nell’universo sono dunque sparsi ingredienti compatibili con la vita». Perciò «è possibile credere in Dio e negli extraterrestri» e «si può ammettere l’esistenza di altri mondi e altre vite, anche più evolute della nostra, senza per questo mettere in discussione la fede nella creazione, nell’incarnazione e nella redenzione», assicura il direttore della Specola Vaticana. Anche se «molti astronomi non perdono occasione per fare pubblica professione di ateismo - puntualizza padre Funes - è un mito ritenere che l’astronomia favorisca una visione atea del mondo. Proprio chi lavora alla Specola offra la testimonianza migliore di come sia possibile credere in Dio e fare scienza in modo serio». Infatti, «come esiste una molteplicità di creature sulla Terra, così potrebbero esserci altri esseri, anche intelligenti, creati da Dio. Questo non contrasta con la nostra fede, perché non possiamo porre limiti alla libertà creatrice di Dio. Per dirla con San Francesco, se consideriamo le creature terrene come fratello e sorella, perché non potremmo parlare anche di un fratello extraterrestre? Farebbe parte comunque della creazione».
E «se anche esistessero altri esseri intelligenti, non è detto che essi debbano aver bisogno della redenzione, potrebbero essere rimasti nell’amicizia piena con il loro Creatore». E se questi extraterrestri fossero peccatori? «Gesù - osserva il gesuita - si è incarnato una volta per tutte. L’incarnazione è un evento unico e irripetibile. Comunque sono sicuro che anche loro, in qualche modo, avrebbero la possibilità di godere della misericordia di Dio, così come è stato per noi uomini».

dal blog di Giacomo Galeazzi

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