martedì 17 novembre 2009

L’economista Simona Beretta: il Papa insegna a valorizzare il ruolo e il contributo delle popolazioni (Cascioli)


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l’economista Beretta

Insegna a valorizzare il ruolo e il contributo delle popolazioni

DA MILANO RICCARDO CASCIOLI

Non è il cibo a mancare, ha detto ieri il Papa alla Fao, ma quell’in­sieme di istituzioni economiche che ne rendono possibile l’acces­so.
«Il riferimento è principal­mente alle istituzioni economiche interne ai singoli Paesi, perché le strutture di relazione sociale ed e­conomica sono il primo ostacolo all’accesso al cibo», afferma Si­mona Beretta, do­cente di Politiche E­conomiche Interna­zionali all’Università Cattolica di Milano e direttore del Ma­ster in Cooperazio­ne Internazionale e Sviluppo all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Interna­zionali (Aseri).

Professoressa Be­retta, può fare qual­che esempio di strutture che bloc­cano l’accesso al ci­bo?

Basti pensare al si­stema delle caste in India, che presup­pone che non ci sia­no contatti tra i membri di caste di­verse. Se la povertà si concentra in una casta diventa im­possibile un rappor­to tra chi ha e chi non ha, con il perpetuarsi di una situazione di povertà anche in presenza di disponibilità di cibo. La stessa cosa accade laddove la divisione è in base al sesso, con le bambine che muoiono di fame in percentuale molto più alta rispet­to ai maschi. Poi ci sono tanti al­tri fattori, come ad esempio la ca­pacità di conservare il cibo: se in un villaggio non c’è lo spazio per un magazzino o mancano mezzi di trasporto, per poter accedere al cibo non basta neanche avere un reddito potenzialmente adegua­to. Non dobbiamo dimenticare che la sicurezza alimentare non è solo la disponibilità di alimenti, ma l’insieme di molteplici fattori che rendono possibile un accesso al cibo, in modo regolare, ade­guato e continuativo.

Allora le istituzioni internazionali sono «assolte»?

Niente affatto, ci sono responsa­bilità importanti dei Paesi ricchi e delle organizzazioni internazio­nali, e lo spiega il Papa quando parla di cooperazione basata sul­la sussidiarietà.

Cosa vuol dire concretamente?

Che la cooperazione deve essere un rapporto alla pari, che punti alla valorizzazione e allo sviluppo integrale dei popoli poveri, a co­minciare proprio dalla sicurezza alimentare. Tanto per capirci: un conto è un tecnico europeo che arriva in un villaggio africano, stu­dia la situazione e poi se ne va do­po aver formulato un progetto che non si sa bene chi dovrà realiz­zarlo; e un altro conto sono tecni­ci europei che arrivano nello stes­so villaggio realizzando una pre­senza in cui portano le loro com­petenze ma entrando in dialogo con gli agricoltori locali, impa­rando anche da lo­ro quali terreni so­no migliori, quali i periodi delle piog­ge, e così via: in­somma un rappor­to in cui si fonde il meglio delle cono­scenze di entrambi i soggetti.

Quindi lo sviluppo dell’agricoltura ha un ruolo centrale.

Sì, ma purtroppo l’agricoltura è sem­pre più dimenticata dalla cooperazione internazionale. Già in passato, gli aiuti elementari di emer­genza assorbivano maggiori risorse ri­spetto ai progetti a­gricoli. Negli ultimi venti anni poi, men­tre sono diminuiti gli aiuti alimentari, la parola agricoltura è addirittura spari­ta dagli aiuti allo sviluppo. Le ri­sorse vengono dirottate in modo sempre più massiccio su progetti sociali, a partire da istruzione e sa­nità. Ma oggi le parole magiche per ottenere finanziamenti allo sviluppo sono identità di genere e ambiente.

A proposito di cooperazione in­ternazionale, il Papa parla della necessità di nuovi parametri, pri­ma etici, poi giuridici ed econo­mici. Quali sono?

Il parametro etico fondamentale è riconoscere l’unità della fami­glia umana. Si ha pari dignità per­ché ognuno ha immensa dignità. È la riproposizione della «legge naturale» che infatti il Papa cita e­spressamente. Come conseguen­ze, dal punto di vista giuridico c’è senz’altro l’acquisizione del dirit­to allo sviluppo, del diritto al cibo e all’acqua come parte dei diritti fondamentali della persona. Dal punto di vista economico c’è senz’altro la condanna dell’assi­stenzialismo, nemico numero u­no dello sviluppo, e invece la pro­mozione di una politica in cui i fondi per lo sviluppo siano desti­nati a progetti in cui a cooperare siano i soggetti reali. Con la sotto­lineatura che ogni Paese deve a­vere il suo spazio di decisione po­litica ed economica.

© Copyright Avvenire 17 novembre 2009

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