domenica 25 gennaio 2009

Remissione della scomunica ai Lefebvriani: il commento di Giuseppe Reguzzoni


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Riceviamo via mail e pubblichiamo:

IN DIFESA DELLA TRADIZIONE: TOLTA LA SCOMUNICA AI VESCOVI LEFEBRVIANI

Giuseppe Reguzzoni, per La Padania

É una notizia grande, di quelle che fanno sperare e danno indicazione su quale sia la strada da percorrere.
Benedetto XVI ha revocato la scomunica comminata ai quattro vescovi consacrati da Mons. Lefebvre nel 1988 e, con questo atto, la comunità lefebrviana rientra pienamente nella comunione cattolica. Ed è una comunità viva, con seminari strapieni e nessun segno di crisi.
Insieme con la promulgazione del Motu Proprio Summorum Pontificum dello scorso anno, con cui Benedetto XVI sanciva la continuità tra l’antica e la nuova liturgia e ribadiva il valore perenne dell’antico rito romano, questa decisione dà una precisa indicazione di rotta alla Chiesa cattolica: il concilio ecumenico Vaticano II non è stato un concilio di rottura e chi così lo interpreta, come il cattoprogressimo o l’ala più radicale del tradizionalismo, è fuori dalla retta dottrina.
La tradizione torna a essere ciò che è sempre stata: uno dei pilastri portanti del Cattolicesimo e, non lo si dimentichi, tradizione significa identità. Malgrado tutte le resistenze, per lo più passive, ma in qualche caso anche esplicite, da parte di tutta un’area dell’episcopato italiano, il Papa ribadisce che la Chiesa non è una Organizzazione Umanitaria di volontariato tra le altre, ma una realtà che, con tutti i suoi aspetti temporali e mondani, ha le sue fondamenta nella Trascendenza.
Le varie curie milanesi e cattodialoganti sono servite: il dialogo c’è se tu sei te stesso e se, davanti all’altro, non rinneghi nulla di te e della tua storia.
In questi anni abbiamo visto di tutto. Abbiamo visto le sperimentazioni più ardite, quasi che la liturgia della Chiesa fosse una cosa che ognuno si inventa da sé e non un dono ricevuto dall’alto. Abbiamo visto la diocesi di Milano ignorare il Motu proprio del Papa, perché non vi si accenna esplicitamente al rito ambrosiano.
Abbiamo visto il Patriarcato Ortodosso di Mosca esprimere il proprio plauso per il recupero dei valori della tradizione con questo pontificato e abbiamo percepito il silenzio imbarazzato degli “ecumenismi” meneghini. Abbiamo visto diocesi come quella di Novara perseguitare i sacerdoti “tradizionalisti” e sostenere preti e comunità sincretiste, che mescolano allegramente induismo e tradizioni cristiane. Lo sanno bene i tre sacerdoti novaresi che, per avere deciso di adottare l’antico rito, da tempo attendono le decisioni della loro Curia e su cui incombe la minaccia di una sospensione.
Lo sanno bene coloro che sono stati doppiamente scandalizzati, dall’invito a costruire moschee in ogni quartiere di Milano e dall’adesione entusiasta a questo stesso invito con la preghiera del venerdì sul sagrato del Duomo. «Erano come pecore senza pastore ...». Le decisioni di papa Benedetto in materia liturgica non riguardano solo la forma della preghiera, ma hanno a che fare con l’essenza della Chiesa stessa. Sono un richiamo formidabile a ciò che conta, a ciò per cui la Chiesa esiste. Lo ricordava - e l’abbiamo già scritto su queste pagine - un cardinale tedesco, Walter Kasper, che pure passa per progressista: «Il vero problema non è l’Islam; il problema siamo noi stessi. L’Europa deve svegliarsi, forse persino avere paura. L’Europa deve ritrovare se stessa, la propria storia e la propria cultura, deve rigenerare le sue energie spirituale e morali. L’Europa deve tornare a essere qualche è divenuta in una lunga storia. Essa non può dimenticare o, persino - cosa che spesso accade -, disprezzare la propria eredità, ma deve sostenerla con coraggio e autoconsapevolezza».
Adesso abbiamo una risposta, la più autorevole che potessimo attenderci; adesso, di fronte agli sgambetti e alle furberie clericali di certe curie che fanno politica invece che fare Chiesa, abbiamo anche una risposta concreta. Lasciamo nel loro cantuccio i preti sociologi e politologi e cerchiamo queste piccole comunità che in tante terre della Padania sono letteralmente emarginate. Alla fine del Medioevo la diocesi di Milano conobbe una crisi religiosa e morale senza precedenti. La riforma venne dal popolo, che disertò le messe dei preti nicolaiti e simoniaci (donne e soldi) e cercò quelle ortodosse. Fu il movimento “dal basso” della Pataría, che pur con qualche eccesso, contribuì a cambiare le cose, anche grazie all’appoggio dei Papi del tempo. Forse è ancora vero, davanti a tanto scandalo, che «vox populi, vox Dei», la voce del popolo è la voce di Dio, almeno per quel che ancora rimane di questo popolo.

© Copyright La Padania, 24 gennaio 2009

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