sabato 24 gennaio 2009

Così Papa Giovanni annunciò il Concilio Il più grande evento religioso del ‘900 raccontato da Capovilla (De Carli)


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Così Papa Giovanni annunciò il Concilio Il più grande evento religioso del ‘900 raccontato da Capovilla

Giuseppe De Carli

«Quando Papa Giovanni annunciò il Concilio non eravamo nascosti nelle catacombe. I fermenti pullulavano. La Chiesa appariva salda nel suo compito di custode del diritto, assertrice della dignità umana, animatrice di carità».
Monsignor Loris Capovilla (93 anni) dalla Ca’ Maitino di Sotto il Monte in provincia di Bergamo, ricostruisce i momenti della decisione più ardita del XX secolo: l’annuncio, il 25 gennaio 1959, della convocazione del Concilio Ecumenico Vaticano II. Nel suo Giornale dell’anima Giovanni XXIII annota in quel giorno: «Il punto più importante fu la comunicazione segreta ai soli cardinali del triplice disegno del mio pontificato: Sinodo Diocesano, Concilio ecumenico Vaticano II, aggiornamento del Codice di diritto canonico. Tutto ben riuscito. Io mantenni la mia continuata comunicazione con Dio.
Nel ritorno, la festa dei Romani da San Paolo fuori le Mura a San Pietro indimenticabile». Un Papa di 77 anni stupisce il mondo con la meno prevedibile delle proposte. La convocazione di un Concilio era fra le intenzioni di Pio XII. Non si pensava che fosse in cima ai pensieri di un pontefice già anziano, destinato all’ordinaria amministrazione più che a fare il traghettatore, ad essere l’artefice di un nuovo futuro per la Chiesa cattolica. Capovilla, che fu segretario particolare di Papa Giovanni, confronta le date e le note del Giornale dell’anima col proprio diario personale. Sono le note di un “umile segretario”, come si definisce il vescovo Capovilla, che sente sul collo il soffio della storia e dello Spirito. «L’annuncio del Concilio non provocò scroscio di campane a festa; invitò invece ad aprire gli occhi su una preoccupante realtà cui si doveva provvedere con rimedi radicali. Il “Papa ottimista”, il “Papa sorridente” diede l’annuncio dopo aver esplicitamente palesato la triste condizione dell’umanità dilaniata da violenze, percossa da fremiti di ribellione, tentata di volgersi alla ricerca unicamente di beni materiali, priva di libertà, incline a bruciare incenso agli idoli di turno».

Eccellenza, una decisione simile deve aver avuto una sua gestazione. O è stata frutto di una improvvisa illuminazione?

«L’accenno al Concilio appare per la prima volta nelle note personali di Giovanni XXIII, Papa da appena cinque giorni, il 2 novembre del 1958. E me lo disse».

Quale fu la sua reazione?«

Fredda e scontrosa. Nel ricevere la confidenza, il primo impulso fu quella di respingerla, impulso motivato dal desiderio di evitare al Papa l’inoltro di una strada prevedibilmente lunga e difficile, che sembrava inadatta al passo di un uomo pressoché ottantenne. Pensavo che l’impresa esigesse un uomo meno anziano e una progettazione tanto lunga da sembrare irrealizzabile nell’arco di vita di Giovanni XXIII. Non mi venne in mente, allora, che a concludere il Concilio di Trento e ad avviarnee l’attuazione erano stati due uomini simmetricamente lontani».

Si riferisce a Papa Paolo V e, forse, a Carlo Borromeo?

«Sì. Il primo eletto al supremo pontificato ad ottant’anni; l’altro, Carlo Borromeo, cardinale arcivescovo, ventiquattrenne appena. Io peccavo di efficientismo, condizionato da ottica alterata. Il progetto mi faceva paura. E stetti tutto novembre e dicembre in attesa di ulteriore maturazione della volontà papale».

C’è probabilmente, un cenno sul quindicinale della Pro Civitate Christiana di Assisi nella lettera di don Giovanni Rossi. Nella lettera pubblicata si parla di una “cosa bella e segreta” che rappresenterà uno dei “più gloriosi fasti del pontificato giovanneo”. È il 15 gennaio 1959.

«Ricordo questa lettera, ma , vede, fino al 20 gennaio sembrò che niente fosse ancora deciso. Viene informato il cardinale Tardini, Segretario di Stato. “Temevo – scrive Papa Giovanni nel suo Giornale – una smorfia sorridente e sconfortante come risposta”.
Invece al semplice tocco il Cardinale – bianco in viso e smorto – scattò con una esclamazione indimenticabile e un lampo di entusiasmo: “Oh, oh! Questa è un’idea, questa è una grande idea”. Lei mi ha chiesto se è stata una illuminazione improvvisa. Non so che dirle. Il Papa la giustificò così: “L’idea di un Concilio mi sorse in cuore con la naturalezza delle riflessioni più spontanee”».

Veniamo al 25 gennaio 1959. Fotogrammi di una giornata storica per la Chiesa cattolica.

«Dopo la messa in casa, il Papa silenzioso e raccolto si avvia verso San Paolo fuori le Mura. Forse dieci persone sanno che finita la messa egli intratterrà i cardinali a Concistoro nell’aula capitolina dell’Abbazia benedettina. Il che avviene dopo le 13,00: “Venerati fratelli, pronunzio innanzi a voi, certo tremando un poco di emozione, ma insieme con umile risolutezza di proposito il nome e la proposta della duplice celebrazione di un Sinodo diocesano per l’Urbe e di un Concilio ecumenico per la Chiesa universale”. Per un riguardo ai cardinali e ai vescovi residenti fuori Roma, la pubblicazione del testo viene ritardata, e non per apportarvi, come insinuarono alcuni, modificazioni e aggiunte».

Dunque, nessuna consultazione di Giovanni XXIII con gli episcopati o i suoi più stretti collaboratori. Bensi’ un moto dell’anima, l’esigenza di restituire al Vangelo la sua eloquenza.«Non bisogna cercare altre spiegazioni.

“La tua volontà, o Signore, è la nostra pace”. Papa Giovanni amava citare questa espressione di San Gregorio Nazianzeno. Il 25 gennnaio 1959 il Papa era sereno e raccolto; io silenzioso e intimidito, suggestionato dai nomi e dall’annuncio. Ho passato cinque ore, dalle 9,00 alle 14,00, come trasognato. Così il Concilio, come polla d’acqua scaturita dalla roccia vaticana, inizia lento e solenne il suo percorso».

Il Papa era consapevole del meccanismo che aveva messo in moto?

«Mah. Con la sua decisione, Giovanni XXIII promosse un avvenimento di cui gli era impossibile prevedere tutte le conseguenze. Papa Giovanni sapeva che Dio ispira le più grandi imprese. La grazia aiuta gli umili ad avviarle e compierle. Difficoltà e oscurità, incomprensioni e impazienze, paure e timidezze sono ineliminabili dalla nostra condotta. Non è questione di calcoli né di rischi. Giovanni non era temerario. Era uomo di fede».

Non si è mai amareggiato, Papa Giovanni, nei mesi successivi?

«Qualche amarezza c’è stata, ma ha sempre avuto una grande fiducia in Dio. Sapeva che vi erano divergenze che poi si ricomponevano nella carità e nell’obbedienza. Era severo e trepidante. “Tantum aurora est”, siamo alla prima aurora, dirà all’apertura del Concilio. Siamo agli inizi della evangelizzazione; abbiamo ancora i millenni davanti».

Aveva un punto di riferimento, oltre naturalmente la Parola di Dio?

«Sì, aveva il Kempis, ossia L’Imitazione di Cristo che considerava il “Quinto Vangelo” e che lo accompagnò per tutta l’esistenza: Bergamo, Roma, in Bulgaria, Turchia e Grecia, in Francia, a Venezia e infine sulla Cattedra di Pietro. Quel Kempis era il tangibile ricordo del parroco che l’aveva battezzato, don Francesco Rebuzzini. “E pensare – commenterà Papa Giovanni – che su questo libricciolo egli si è fatto santo. Oh, questo sarà per me il libro più caro e una delle gemme più preziose che io mi abbia” ».

Fedeltà e rinnovamento. Dopo cinquant’anni, c’è da chiedersi se quello slancio del cuore di Giovanni XXIII abbia dato frutto.

«Se lei considera i grandi pontefici che hanno applicato il Concilio si renderà conto della bontà di quella intuizione. È ridicolo parlare di rivoluzione quando si descrive il cammino della Chiesa. C’è un rinnovamento nella continuità. Nessuna rottura col passato .

L’ ha detto a chiare lettere e col suo stile particolarissimo Benedetto XVI. La Chiesa non è mai stata così unita e compatta. E milioni di persone vengono in Italia perché la barca di Pietro si è attraccata alle rive del Tevere. Oggi più che mai».

© Copyright Il Cittadino, 24 gennaio 2009

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