mercoledì 17 giugno 2009

Karl Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa (Roberto De Mattei)


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Karl Rahner, maestro del Concilio, di Martini e della coscienza relativa

Dietro l’opposizione intra-ecclesiale all’insegnamento di B-XVI c’è il pensiero di un altro influente gesuita

di Roberto De Mattei

Il nome di Karl Rahner è un passaggio obbligato per chi voglia entrare nel cuore del dibattito intraecclesiale dei nostri giorni. Come perito conciliare del cardinale Franz König il gesuita tedesco svolse, dietro le quinte, un ruolo cruciale nel Vaticano II, fino a essere definito dall’allora decano della Gregoriana, Juan Alfaro, “il massimo ispiratore del Concilio”.
Di certo ha dominato il postconcilio come conferenziere di grido e scrittore dalla alluvionale produzione, pronto a intervenire disinvoltamente su tutti i problemi del momento: i suoi titoli sono oltre quattromila, le sue opere, tradotte e diffuse in tutto il mondo, continuano a esercitare una larga influenza sul mondo cattolico contemporaneo.
Sembra giunta però l’ora di “uscire da Rahner”, come implicitamente auspicato da Benedetto XVI nell’ormai storico discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, sulle “ermeneutiche” del Concilio Vaticano II.
Lo “spirito del Concilio” a cui si richiamano gli ermeneuti della “discontinuità” ha infatti la sua fonte nel Geist in Welt di Rahner, quello “Spirito nel mondo” che è il titolo del suo primo importante libro, pubblicato nel 1939. Se in questo volume Rahner delinea la sua concezione filosofica della conoscenza, nel successivo, “Uditori della parola” (Hörer des Wortes), pubblicato nel 1941, espone la sua visione propriamente teologica. Le tesi di questi due libri e dei successivi, già lucidamente criticate dal padre Cornelio Fabro (“La svolta antropologica di Karl Rahner”, 1974), sono ora oggetto di un importante volume, a cura di padre Serafino M. Lanzetta, che raccoglie gli atti del convegno tenutosi a Firenze nel novembre 2007, con la partecipazione di eccellenti studiosi, provenienti da diverse parti del mondo: Ignacio Andereggen, Alessandro Apollonio, Giovanni Cavalcoli, Peter M. Fehlner, Joaquín Ferrer Arellano, Brunero Gherardini, Manfred Hauke, Antonio Livi, H. Christian Schmidbaur, Paolo M. Siano, (“Karl Rahner. Un’analisi critica. Le figure, le opere e la recensione. Teologia di Karl Rahner, 1904-1984”. Cantagalli).
Oggetto della scienza teologica, per Rahner, non è Dio, di cui non può essere dimostrata l’esistenza, ma l’uomo, che costituisce l’unica esperienza di cui abbiamo l’immediata certezza. Non si può dunque parlare di Dio al di fuori del processo conoscitivo dell’uomo. Dio, più precisamente, esiste “autocomunicandosi” all’uomo che lo interpella. Rahner afferma che nessuna risposta va al di là dell’orizzonte che la domanda ha già precedentemente delimitato. L’orizzonte di Dio è misurato dall’uomo che, delimitando nella sua domanda la risposta divina, diviene la misura stessa della Rivelazione di Dio. Rahner non dice che l’uomo è necessario a Dio perché Dio possa esistere, ma poiché senza l’uomo Dio non può essere conosciuto, la conoscenza umana diviene la chiave di quella che egli definisce la “svolta antropologica” della teologia. Rahner si richiama spesso a san Tommaso d’Aquino, ma di fatto riduce la metafisica ad antropologia e la antropologia a gnoseologia ed ermeneutica.
La “teologia trascendentale” di Rahner appare, in questa prospettiva, come uno spregiudicato tentativo di liberarsi della tradizionale metafisica tomista, in nome dello stesso san Tommaso. Ciò naturalmente può avvenire solo a condizione di falsificare il pensiero dell’Aquinate. Fabro non esita a definire Rahner “deformator thomisticus radicalis”, a tutti i livelli: dei testi, dei contesti e dei principi. L’esito è un “trasbordo” dal realismo metafisico di Tommaso all’immanentismo di Kant, di Hegel e soprattutto di Heidegger, acclamato dal gesuita tedesco come il suo “unico maestro”.
Rahner accetta il punto di partenza cartesiano dell’io come auto-coscienza. L’uomo, spogliato della sua corporeità, è innanzitutto coscienza, puro spirito, immerso nel mondo. Come per Cartesio e per Hegel, anche per Rahner è il conoscere che fonda l’essere, ma la conoscenza ha il suo fondamento nella libertà, perché “nella misura in cui un essere diventa libero, nella medesima misura esso è conoscente”. La coscienza coincide con la volontà dell’uomo e la volontà dell’uomo è l’attuarsi dell’Io. L’Io a sua volta non è sottomesso a nulla che lo possa condizionare, perché il suo fondamento sta proprio nella sua incondizionatezza e dunque nell’assenza di ogni oggettiva limitazione esterna.
La conseguenza della riduzione dell’uomo ad auto-coscienza è la dissoluzione della morale. La libertà prevale sulla conoscenza perché, come afferma Heidegger, dietro il cogito cartesiano irrompe la libertà. L’uomo è coscienza che si auto-conosce e libertà che si auto-realizza. Per Rahner, come per il suo maestro, l’uomo conosce e vive il vero facendosi libero. Il valore morale dell’azione non ha una radice oggettiva, ma è fondato sulla libertà del soggetto.

Forzando il n. 16 della Lumen Gentium, in cui si parla della possibilità di salvezza di coloro che “non sono giunti a una conoscenza esplicita di Dio”, Rahner afferma che la salvezza non è un problema, perché è assicurata a tutti, senza limiti di spazio, di tempo e di cultura.
La chiesa è una comunità vasta come il mondo, che include i “cristiani anonimi”, i quali, benché possano dirsi non-cattolici, o addirittura atei, hanno la fede implicita. Chiunque infatti “accetta la propria umanità, costui, pur non sapendolo, dice di sì a Cristo, perché in lui ha accettato l’uomo”. Tutti, dunque, anche gli atei, in quanto atei, si salvano se seguono la propria coscienza. Qualsiasi uomo, quando conosce se stesso, anche nel male che compie, se si accetta come tale, allora è auto-redento ed ha fede. E quanto più conosce e accetta la propria “esperienza trascendentale” tanto più ha fede. Questo, osserva giustamente il padre Andereggen, significa che ha più fede un individuo che si sia psicanalizzato freudianamente durante dieci anni, piuttosto che un religioso che preghi (p. 35).
Il cardinale Franz König, uomo di punta del progressismo conciliare, fu il grande “sdoganatore” di Rahner, in odore di eresia fino agli anni Sessanta.
Tra i numerosi e illustri discepoli del gesuita, bisogna ricordare l’ex presidente della Conferenza episcopale tedesca Karl Lehmann e, in Italia, il cardinale Carlo Maria Martini.
Le ultime interviste-confessioni di Martini, con Georg Sporschill (“Conversazioni notturne a Gerusalemme”, Mondadori) e con don Luigi Verzé (“Siamo tutti nella stessa barca”, Edizioni San Raffaele), sono di impronta rahneriana, per l’universalismo salvifico e la “morale debole”. Martini, come Rahner, ritiene che la missione della chiesa sia aprire le porte della salvezza a tutti, compresi coloro che si discostano dalla fede e dalla morale cattolica. Lo stesso Martini, istituì a Milano una “cattedra dei non credenti”, per ascoltare il loro contributo alla salvezza del mondo.
Il successore di san Carlo Borromeo, rinunciava così al compito di portare Cristo a chi non crede, per affidare ad atei dichiarati come Umberto Eco la missione di “evangelizzare” i fedeli della diocesi ambrosiana.
Non è eccessivo affermare che Rahner è il padre del relativismo teologico contemporaneo.
A confermarlo è la sua più intima confidente, Luise Rinser, che l’11 maggio 1965 gli scriveva: “Sai qual è la maggior difficoltà che mi viene da parte tua? Che sei un relativista. Da quando ho imparato a pensare come te non oso affermare nulla con sicurezza” (“Gratwanderung”, Kösel). Qualche anno dopo la stessa Rinser avrebbe solidarizzato con i terroristi Andreas Baader e Gudrun Ensslin. Rahner, da parte sua, il 16 marzo 1984, poco prima di morire, scrisse una lettera in difesa della teologia della liberazione che chiamava i cattolici alle armi in America Latina.
La lettura del libro curato dal padre Lanzetta conferma nell’idea che Karl Rahner, per lo spregiudicato uso delle sue indubbie capacità intellettuali, fu soprattutto un grande avventuriero della teologia.
Il giovane Ratzinger subì il fascino della sua personalità, ma intravide presto le conseguenze devastanti del suo pensiero e, sotto un certo aspetto, dedicò tutta la sua successiva opera intellettuale a confutarne le tesi. Oggi il nome di Rahner rappresenta la bandiera teologica di chi si oppone al pensiero antirelativista di Benedetto XVI-Ratzinger.
L’analisi critica merita di essere portata fino in fondo.

© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO

© Copyright Il Foglio, 16 giugno 2009 consultabile online anche qui.

7 commenti:

sam ha detto...

Raffaella cara, grazie di cuore. Questo sito è una miniera d'oro e questo articolo in poche parole illumina con estrema chiarezza l'impostura alla base del relativismo teologico.
Ne deriva chiaramente di un pensiero gnostico che nega la grazia e vorrebbe restringere, imprigionare e in qualche modo sottomettere Dio alla misura umana.
Alla base del pensiero di Rahner e dei suoi adepti sembra esserci lo stesso fondamento cartesiano da cui Giovanni Paolo II in "Memoria e Identità" fa discendere tutte le ideologie del male del XX secolo.
Personalmente ritengo questa corrente un'eresia fatta e finita, tra le più virulenti della storia ecclesiale.
Se mai ci dovesse essere un nuovo Concilio Vaticano, prego che sia solo per condannare questo spirito del concilio=spirito del mondo, in quanto tale e obbligare chi sta nella Chiesa ad una scelta di campo.
Naturalmente si tratta di un mio parere personale e mi affido al discernimento della Chiesa nello Spirito Santo.

M. ha detto...

Raffa, commento con un "tuo" aggettivo caratteristico: MONUMENTALE!
Grazie per la preziosissima segnalazione!

Raffaella ha detto...

:-)))
R.

leo ha detto...

Grazie di esistere o di essre esistiti, al cardinale Martini, a Enzo Bianchi, a Don Tonino Bello, a Mons. Luigi Bettazzi, a tutti quei cttolici che non vogliono smetteredi pansdare e di interrogarsi e che pensano che Dio è un po' più grande di loro e chenon tutto è comprensibile, tantomeno Dio...

Scipione ha detto...

Io ringrazio Dio e la Chiesa cattolica perchè esistono tutti quei cattolici che non hanno mai smesso di pensare... BENE, Da S. Ambrogio e S. Agostino a Benedetto XVI e cardinale Biffi passando per S. Anselmo, S. Tommaso, S. Carlo Borromeo, il curato d'Ars, padre Pio ecc. ecc. Perchè non smettere di pensare non è cosa tnto meritoria se non si evita di pensare male, anzi allora sarebbe meglio avere l'umiltà di smettere. E smettiamola pure con il solito luogo comune della ricerca per la ricerca, dell'uomo che deve sempre porsi domande e mai darsi risposte... questi sono miti laicisti... un vero cristiano una Verità dovrebbe già averla trovata... se cerca troppo significa che non gli sta più bene e quindi che non è più un cristiano. E come dice il card. Biffi.... oggi di "problemologi" ce ne sono fin troppi... sono i "soluzionologi" che mancano!

leo ha detto...

Questo Papa Benedetto lo apprezzo veramente:
La FRASE è DI BENEDETTO XVI QUANDO ERA ANCORA CARDINALE, anzi un commento al CONCILIO VATICANO II ed è stata poi ripresa in varie conferenze, l'ultima delle quali a Siena, alcuni anni orsono.


La seconda fonte è quella di un papa, anzi proprio del papa, di Benedetto XVI°, il quale, invitato a Siena per una conferenza, quando era ancora il card. Ratzinger, Prefetto della Congregazione della Fede, così si espresse pubblicamente commentando proprio la frase di Newman:

"Ben pochi - dice Ratzinger - fra i cattolici, conoscono l’autentica dottrina cattolica che, peraltro, è sottolineata anche nel Catechismo dove si cita una frase simile di Newman: “la coscienza è il primo dei vicari di Cristo.
Questo significa che i cattolici hanno il dovere di dire la verità, di riconoscerla anche quando fa male e di affermarla anche contrapponendosi a uomini di Chiesa. Quanto avrebbe da guadagnare la Chiesa dall’esistenza nel mondo cattolico di uomini liberi come erano nel Medioevo santa Caterina, Dante o Antonio da Padova, veri figli di Dio i quali sanno che non si serve Dio con la menzogna, con l’omertà e col servile vassallaggio di un certo clericalismo. Quanti fatti orrendi sarebbero stati evitati, risparmiando alla Chiesa la vergogna e l’onta".
E continua:

“Al di sopra del papa, come espressione della pretesa vincolante dell’autorità ecclesiastica, resta comunque la coscienza di ciascuno, che deve essere obbedita prima di ogni altra cosa, se necessario anche contro le richieste dell’autorità ecclesiastica.
L’enfasi sull’individuo, a cui la coscienza si fa innanzi come supremo e ultimo tribunale, e che in ultima istanza è al di là di ogni pretesa da parte di gruppi sociali, compresa la Chiesa ufficiale, stabilisce inoltre un principio che si oppone al crescente totalitarismo”.


Che dire, che concordo in toto con il Cardinale Ratzinger, ora Benedetto XVI.

Raffaella ha detto...

Attenzione: la coscienza di cui parlano i cardinali Newman e Ratzinger non e' l'autonomia del soggetto dalla Chiesa.
Non e' anarchia, non e' assoluta liberta'.
Il Cattolico non puo' prescindere dal Vicario di Cristo altrimenti si qualifica come Cristiano (se crede in Gesu') ma non come Cattolico.
Qui c'e' il testo integrale del discorso di Joseph Ratzinger:

http://paparatzinger-blograffaella.blogspot.com/2007/06/cardinale-ratzinger-il-papa-non-impone.html

In particolare:

l’identificazione della coscienza con la consapevolezza superficiale, la riduzione dell’uomo alla sua soggettività non libera affatto, ma rende schiavo; essa ci rende totalmente dipendenti dalle opinioni dominanti ed abbassa anche il livello di queste ultime giorno dopo giorno.

...

Un uomo di coscienza è uno che non compra mai, a prezzo della rinuncia alla verità, l’andar d’accordo, il benessere, il successo, la considerazione sociale e l’approvazione da parte dell’opinione dominante.

...

Il significato autentico dell’autorità dottrinale del Papa consiste nel fatto che egli è il garante della memoria cristiana. Il Papa non impone dall’esterno, ma sviluppa la memoria cristiana e la difende. Per questo il brindisi per la coscienza deve precedere quello per il Papa, perché senza coscienza non ci sarebbe nessun papato.