giovedì 25 giugno 2009
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Il tempo di studiarsi
Mentre appare sempre più probabile una visita di Obama al Papa, la diplomazia vaticana gioca le sue carte. E cerca la sintonia nonostante i mal di pancia dei cattolici americani
di Alberto Simoni
Un incontro in luglio, a cavallo del G8 dell’Aquila, fra il presidente statunitense Barack Obama e Papa Benedetto XVI, è possibile e probabile. Anche se la Casa Bianca non conferma, gli sherpa della diplomazia sono al lavoro da settimane. Si attende l’insediamento del nuovo ambasciatore americano presso la Santa Sede. A fine maggio Barack Obama ha nominato un teologo ispanico studioso di Karl Rahner, Miguel H. Diaz. Scelta delicata visto che le due precedenti candidature avanzate fuori dai canali ufficiali erano state cassate dal Vaticano. Dapprima la scure è calata sul nome di Caroline Kennedy, figlia di John F. Kennedy, quindi su quello di Douglas Kmiec, il boss cattolico del Partito democratico. Il segretario di Stato Tarcisio Bertone aveva fatto sapere di non gradire personalità attiviste e pro-choice, che avevano fatto campagna elettorale per Obama. Così la scelta del presidente è caduta su Diaz, un progressista di certa fede pro-life.
A cinque mesi dall’insediamento il presidente Usa è in una situazione delicata. Il tortuoso cammino per individuare l’ambasciatore presso la Santa Sede ne è solo un esempio. I rapporti fra Washington e Vaticano sono buoni, soprattutto se confrontati con quelli burrascosi che Obama vive con le gerarchie cattoliche in patria. Ma il cambio della guardia alla Casa Bianca dopo l’uscita di scena di George W. Bush, ha sottratto alla Chiesa il principale alleato nelle battaglie di bioetica. Nella corsa alla Casa Bianca il democratico ha incontrato l’ostilità di molti esponenti della Chiesa americana che gli rinfacciano posizioni radicali in tema di aborto e sulle questioni bioetiche e lo ritengono il “portabandiera del relativismo etico e della società secolarizzata”. Ritratto che ha preoccupato non poco la Curia. Il suo curriculum infatti sui temi cosiddetti eticamente sensibili lo pone in contrasto con la dottrina della Chiesa. Eppure a fronte di una ferma opposizione della Conferenza episcopale Usa guidata dal cardinale e arcivescovo di Chicago Francis George, il 54 per cento degli elettori americani ha optato il 4 novembre per il candidato di colore democratico.
Uno scenario complesso quindi quello dei rapporti con il mondo cattolico, nel quale Obama e i suoi consiglieri stanno tentando di muoversi con estrema cautela. Perché il presidente Usa sa che la Santa Sede può essere un alleato prezioso sul fronte internazionale. «Obama – spiega a Tempi il direttore di InsideCatholic.com Deal W. Hudson – non vuole correre il rischio di fare la fine della Pelosi che è stata trattata in modo brusco da Benedetto XVI».
Il 17 giugno infatti il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Denis McDonough ha dichiarato di considerare «la Santa Sede molto importante per le priorità della nostra politica estera». Un’affermazione che fa sorridere George Weigel, capofila degli intellettuali cattolici Usa e profondo conoscitore delle dinamiche della Curia, che spiega a Tempi: «L’Amministrazione Obama è in realtà ignorante sul ruolo della Chiesa negli affari internazionali, anche se è consapevole della statura del Papa come autorità morale».
Non è tuttavia difficile scorgere interessi comuni sull’asse Washington-Roma. Come sull’Iraq. Pur avendo criticato l’intervento militare del 2003, oggi la Santa Sede teme che un ritiro precipitoso possa far sprofondare il paese nel caos e minacciare le decine di migliaia di cristiani. C’è sintonia sul modo di percepire i rapporti con l’islam. Il discorso di Obama al Cairo (4 giugno) ha ricevuto il convinto plauso della Chiesa tanto che padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana, ha parlato di «sintonia fra Santa Sede e amministrazione statunitense». E poi un terreno comune Vaticano e Usa lo hanno individuato nell’estendere gli aiuti voluti da Bush per la lotta all’Aids e alla malaria in Africa. Sono temi in cui la diplomazia vaticana si muove in un’ottica “realista”. Il presidente ha detto a metà maggio di non considerare «il Freedom of Choice Act (Foca) la sua principale priorità legislativa», rovesciando quanto aveva sostenuto in campagna elettorale. La retromarcia è stata bene accolta in Vaticano dove la convinzione di avere a che fare con un presidente “pragmatico” anziché “radicale” si sta consolidando. E con essa la possibilità di instaurare un rapporto collaborativo con l’Amministrazione democratica. Tuttavia le questioni etiche restano l’elemento più delicato. Ma mentre lo scontro con la Chiesa statunitense è frontale, con il Vaticano i toni sono concilianti. Malgrado la ferma condanna dei “ministri” pontifici del via libera al finanziamento delle Ong abortiste all’estero e allo sblocco dei fondi federali per la ricerca sulle staminali embrionali, dalla Santa Sede sono giunti segnali di apertura e sin di apprezzamento per Obama.
Il nodo dei temi etici
L’Osservatore romano (29 aprile) ha dedicato ai primi cento giorni di Obama un editoriale in cui evidenziava che «sulle questioni etiche il presidente non ha confermato i radicali mutamenti di cui parlava». E anche sulle linee guida per regolare la ricerca sulle cellule staminali embrionali, il quotidiano della Santa Sede è stato cauto. Pur riconoscendo che le linee guida non rimuovono le basi per le critiche, queste non permettono né la creazione di embrioni per la ricerca o a scopi terapeutici né la clonazione. Una presa di posizione che ha stupito molti osservatori, anche perché giunta mentre i vescovi americani lanciavano una vera e propria campagna contro le mosse di Obama e si scagliavano contro l’invito formulato dalla cattolica Notre Dame University (Indiana) al presidente di tenere il discorso ai laureati.
L’atteggiamento della Curia tuttavia non convince alcuni analisti. Weigel ad esempio sostiene che il «Vaticano non ha una profonda comprensione di cosa l’Amministrazione stia facendo». Secondo l’intellettuale americano Obama «starebbe tentando di dividere i cattolici dai vescovi Usa. E di questo né la nunziatura di Washington, né alcune parti della Segreteria di Stato sono consapevoli». Weigel si riferisce principalmente al discorso (molto applaudito in verità) di Notre Dame, laddove Obama ha ribadito la sua posizione sul Foca e mostrato un atteggiamento volto a comprendere le ragioni della Chiesa sull’aborto. Un quinto dei vescovi Usa ha apertamente condannato l’invito al presidente di parlare dal palco dell’università. Eppure la Segreteria di Stato non ha emesso alcun commento se non appunto sottolineare che Obama «sta cercando un terreno comune».
Ragioni della diplomazia e di realismo. Anche se Hudson non la pensa così: «Il problema è che il Vaticano ha un punto di vista politico europeo e questo significa che talvolta non coglie gli aspetti della politica culturale Usa. La Curia sta a sinistra rispetto al cattolico americano medio». Ma fra il pragmatico Obama e la Santa Sede il tempo della diffidenza pare esaurito.
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